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Chiara Mio: “L’azienda sostenibile”

Chiara Mio: “L’azienda sostenibile”
Professoressa di Economia aziendale all’Università Ca’ Foscari di Venezia e profonda conoscitrice dall’interno della vita delle aziende Chiara Mio individua nuove vie di “sviluppo sostenibile” affinché crescita economica, utilizzo delle risorse naturali, produzione energetica divengano tutti ambiti connessi e irrinunciabili pena il collasso del sistema.
di Riccardo Bramante
La crisi che il mondo sta attraversando, aggravata anche dalla pandemia da Covid-19 ancora in corso, ci ha posto di fronte a limiti economici, sociali e ambientali che da anni abbiamo ignorato ma che si ripropongono oggi e sempre più nel futuro, che non è possibile oltrepassare pena la distruzione stessa del pianeta su cui viviamo.
È necessario, perciò, cercare nuove vie di “sviluppo sostenibile” in modo che crescita economica, utilizzo delle risorse naturali, produzione energetica divengano tutti ambiti connessi e irrinunciabili pena il collasso del sistema.
Questi argomenti tratta nel suo recente lavoro “L’azienda sostenibile” Chiara Mio, professoressa di Economia aziendale all’Università Ca’ Foscari di Venezia e profonda conoscitrice dall’interno della vita delle aziende, facendo parte di consigli di amministrazione di società e di organismi internazionali che si occupano di sostenibilità.
In cinque asciutti articoli la Mio pone, nel primo, i concetti base riguardanti la sostenibilità visti nella prospettiva economico-aziendale; il secondo capitolo analizza il ruolo degli Stati come primi interessati alla messa in atto delle modalità di svolgimento dei relativi processi economici; il terzo capitolo tratta del contributo che ci si attende dagli stessi consumatori per favorire uno sviluppo sostenibile. Nel quarto e quinto capitolo, infine, si compie un rapido excursus sull’economia circolare e si approfondisce il tema dell’economia sostenibile dal punto di vista delle istituzioni finanziarie e delle agenzie di rating.
Il concetto di sostenibilità è estremamente complesso implicando un approccio che vada incontro alla soddisfazione dei bisogni delle generazioni di oggi senza, però, compromettere le possibilità di sviluppo delle generazioni future.
È un concetto che aveva trovato una sua prima definizione nel 1987 con il Rapporto Brundland pubblicato dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo e successivamente puntualizzato nell’Agenda per lo sviluppo sostenibile elaborato dall’ONU nel 2015 in 169 target precisi con scadenze al 2020 e 2030 che la Mio ben riassume in un modello di business che garantisca l’equilibrio delle cosiddette “tre E”: Ecologia, Equità, Economia, intendendosi, con la prima, la sostenibilità ambientale realizzabile con una drastica riduzione dell’impatto ambientale nelle fasi produttive dell’azienda; con la seconda “E” la sostenibilità sociale data attraverso la giustizia e l’eguaglianza di trattamento dei dipendenti assicurando loro, nel contempo, condizioni di sicurezza sul posto di lavoro; e, infine, sostenibilità economica come capacità di creare valore attraverso la realizzazione di materiali e servizi in grado di migliorare la vita delle persone.
Tutti obiettivi pienamente condivisibili ma che trovano, però, difficoltà ad essere realizzati a livello globale; mentre è relativamente facile applicarli in società economicamente avanzate come, ad esempio, quelle di alcuni Paesi del Nord Europa, maggiori problemi si riscontrano nelle economie in via di sviluppo in cui la creazione di profitto nelle aziende prevale immancabilmente sulle misure di sostenibilità ambientale ed economica, che comportano costi non indifferenti almeno nella fase di prima applicazione. Ne abbiamo un esempio in Italia con la annosa vicenda dell’Ilva di Taranto (per non parlare delle ancora numerose morti sul lavoro dovute all’inosservanza di adeguate misure di protezione) ma che trovano riscontro in tante altre Nazioni a cominciare dai sottosviluppati Paesi dell’Africa e del Sud America fino ai più relativamente “avanzati” Paesi come l’India e la stessa Cina impegnata nella rincorsa economica agli Stati Uniti e quindi poco propensa a devolvere risorse per la sostenibilità ambientale e sociale a scapito dell’aumento della produttività.