Diritti umani
Shamsia l’artista Afghana che ci fa riflettere sulla posizione delle donne nel mondo
Shamsia l’artista Afghana che ci fa riflettere sulla posizione delle donne nel mondo
Professoressa di scultura all’Università di Kabul ha avuto e ha il coraggio, attraverso la sua arte, di opporsi a quanto sta accadendo nel suo Paese, condividendo con i suoi dipinti un messaggio che offre sostegno alla libertà di espressione delle donne afgane
di Ester Campese
Nel corso di agosto, periodo acuto della crisi afgana, abbiamo incontrato spesso i dipinti di Shamsia Hassani nota più semplicemente come Shamsia. C’è stato un vero e proprio tam tam sui social, spontaneo quanto virale, che in questa calda estate diceva “Sono opere di un’artista Afghana, si chiama Shamsia Hassani. Se le facciamo girare, sarà come dare voce a lei ed a tutte le #donneafghane che stanno vivendo l’inferno!”.
Di fatto questa artista è una professoressa di scultura all’Università di Kabul oltre che graffitista afghana e ad essere la prima donna che pratica la street art in Afghanistan.
Lei ha avuto e ha il coraggio, attraverso la sua arte, di opporsi a quanto sta accadendo nel suo Paese, condividendo con i suoi dipinti un messaggio che offre sostegno alla libertà di espressione delle donne afgane, in questo momento, più che mai vessate e spinte a una regressione sociale, imposta dal nuovo governo.
I suoi sono comunque dipinti colorati, pieni di simbolismi e le delicate silhouette che realizza hanno tutte una caratteristica comune: sono senza la bocca. Come fosse di fatto nascosta da un invisibilmente “niqab” ovvero il velo che copre il volto delle donne del suo paese e che, nella maggior parte dei casi, lascia scoperti solamente gli occhi.
L’intento dell’artista è stato colto da tutti in quello che è un messaggio forte e immediato, che è la volontà di dare voce alle donne che non ne hanno. Per questo la sua “missiva” è stata accolta e sostenuta dall’intera collettività mondiale divenendo virale persino nelle chat e in qualche sorta trasformandosi in uno stendardo di libertà non solo per le donne afgane ma per tutte quelle del mondo.
La sua arte, oltre a lanciare una denuncia sulla scarsa libertà di parola e sulla condizione femminile, ci porta a fare una riflessione più ampia perché tocca un po’ tutti noi e per questo possiamo facilmente immedesimarci in questa sua comunicazione.
Questa crisi, in un’area apparentemente lontana da noi, ci riporta a delle profonde considerazioni, ancora una volta, su quella che è la reale posizione della donna nella società. Persino in occidente, così detto avanzato, questo equilibrio e le conquiste fatte in tanti anni, appaiono di questi tempi un po’ più fragili. Lo riscontriamo ancora oggi nel mondo del lavoro, ma certamente non il solo, in cui le posizioni apicali sono tuttora fortemente sbilanciate verso l’universo maschile, così come le relative retribuzioni, anche se molti passi sono stati fatti in questa direzione ma non ancora sufficienti.
Ci sono poi molte forme di burka e non sono solo quello fisico costituito dall’abito dal significato eloquente nella sua traduzione, ovvero “cortina/velo”. Nel nostro contesto sociale, riflettevo proprio pochi giorni fa con un’amica, il “burka occidentale” può manifestarsi purtroppo in quelle forme che trovo volgari e stucchevoli di quelle donne che si atteggiano, sui social e fuori dai social, che io chiamo “tette e culo sporgenti”. Secondo loro in tal modo possono trovare una qualche valenza, non accorgendosi invece che si relegano, più o meno consapevolmente, a un ruolo minoritario, ancora una volta imposto dall’immaginario maschile, svalutando loro stesse ed il genere femminile. Dicevano in una famosa canzone, Sabrina Salerno e Jo Squillo, “oltre le gambe c’è di più” e così dovrebbe in effetti sempre essere, senza per forza ricoprire una veste di oggetto del desiderio sessuale.
Insomma l’arte di questa brava artista, la sua forza espressiva e il suo coraggio, ci spingono inesorabilmente a riflettere anche su quello che accade in casa nostra. Ci giunge e viene consegnato il suo messaggio come un monito che incoraggia tutti noi a tenere alta la guardia sui diritti acquisiti che non sono mai scontati. Vale la pena ricordare, ogni tanto, che sono invece frutto di persone venute prima di noi che hanno combattuto per degli ideali, spesso sacrificandosi, offrendo a noi oggi la possibilità di una vita migliore e più dignitosa rispetto a quanto hanno avuto loro.
Rammentiamoci infine che ciò accade in questo mondo globalizzato, che ci può sembrare a volte distante, non lo è poi tanto in realtà.