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Italia

Rai, servizio pubblico o voce del padrone

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La Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu Onlus) ha convocato i cittadini per domani presso la sua sede nazionale in Roma per discutere con Arturo Diaconale, direttore de “L’Opinione” e membro dell’attuale Consiglio d’amministrazione della Rai

Di Riccardo Scarpa

RAIRoma, 16 Marzo – La riforma della Rai presentata dal Governo è presto riassumibile: passa competenze rilevanti per il controllo del servizio pubblico dal Parlamento al Governo stesso. Su tutto questo la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu Onlus) ha convocato i cittadini per domani presso la sua sede nazionale in Roma (Piazza dell’Ara Coeli n. 12, ore 17,30), per discuterne con Arturo Diaconale, direttore de “L’Opinione” e membro dell’attuale Consiglio d’amministrazione della Rai; Salvatore Guzzi, docente di Diritto dell’Unione europea presso l’Università “Parthenope”; Domenico Mazzullo, psichiatra, ed il sottoscritto. Qualcuno potrebbe chiedersi cosa spinga ad affrontare proprio questo argomento la più antica organizzazione di tutela dei diritti umani in Italia, assieme al direttore del più antico giornale politico nazionale, nel momento in cui i diritti di libertà arretrano in tutto il mondo, alla libera circolazione delle persone in Europa subentrano i muri, la Turchia preme per entrare nell’Unione europea ed usa il controllo dei flussi migratorì come arma di ricatto mentre reprime la libertà di stampa, arresta giornalisti e confisca giornali, e si potrebbe continuare. In fondo, qualcuno potrebbe dire, la proposta governativa è nella logica decisionista del tempo e ha fondamento in un qualcosa di molto liberale come la separazione dei poteri: il Parlamento faccia le leggi ed il Governo amministri, e la Rai è un’impresa pubblica che deve essere ben amministrata e non lottizzata tra i partiti per assumere e collocare amici. Sia la Lidu che L’Opinione non ritengono sia così. L’informazione è strettamente connessa all’esercizio della libertà, che gli antichi giuristi romani definivano la facoltà naturale di fare quello che si vuole, se non se ne è impediti dalla forza e dal diritto. Quindi la libertà è una deliberazione su quello che si vuole fare. Luigi Einaudi affermava che occorre “Conoscere per deliberare”. Si conosce anche per illuminate intuizioni nell’intimo della coscienza, che ci fornisce le notizie più importanti, ma sul piano sociale per lo scambio d’informazioni sono i mezzi di comunicazione sociale gli strumenti usati. Il fatto che le tirannidi, lo s’è visto sempre, reprimano la libertà d’informazione ma non riescano mai ad impedire la circolazione delle idee, ci fa intuire come le collettività riescano, per una forma di telepatia idealistica, a sostenerle e farle girare anche a prescindere; ma la maggior parte degli individui ha bisogno di leggerne, di sentirne parlare, vedere, ed è ricorsa a mezzi di comunicazione sempre più perfezionati: dalle tavolette d’argilla al papiro, dagli amanuensi ai caratteri mobili di Gutenberg, dalle rotative alla televisione, fino ai “social” attraverso la Rete telematica. Non per nulla, gli inquisitori hanno sempre distrutto tavolette, bruciato libri, impedito trasmissioni televisive ed oscurato “siti”. Ecco il punto: gli inquisitori. È verissimo, non tutte le notizie messe in circolazione sono vere, attendibili, scientificamente provate, moralmente edificanti; molte sono false, improbabili, non sperimentalmente testate, disfattiste o sconce. La questione è che non tutto è scontato o facilmente determinabile. Da Euclide ad oggi s’è dato per scontato che per unire due punti la via più diretta fosse tracciare una linea retta, poi arrivò uno scapigliato e baffuto, un poco mingherlino ma del quale la prima fidanzata, poi ne ebbe molte, si dice abbia esclamato: “Che fisico!”; e spiegò che no, che anche quella era una curva, ma col centro all’infinito. Sarebbe stato il consigliere ideale per Aldo Moro il quale, pace all’anima sua, ci rifilò il primo centrosinistra parlando di “convergenze parallele”. Insomma, tutto è opinabile, anche se proprio Luigi Einaudi avrebbe di certo puntato i piedi di fronte a bilanci nei quali due più due non facesse quattro. Questo è il punto: da sempre i governi hanno pensato ad informare loro la gente attraverso gazzette ufficiali o veline del “MinCulPop”, fino a quel più sofisticato atteggiamento di censura del “politicamente scorretto”, che s’attua attraverso un arricciamento del naso d’esponenti accreditati della cultura e della vita pubblica, meglio se sedicenti liberali. Qui si pone la questione del servizio pubblico d’informazione. Non c’è dubbio, la pluralità delle fonti d’informazione, la libertà d’impresa nei mezzi di comunicazione sociale è essenziale. Però, così come si nazionalizzò la produzione d’elettricità, con buona pace di Giovanni Malagodi, per allacciare la corrente anche nella baita di montagna, cosa diseconomica per il privato, occorre informare anche in settori che non fanno “audience”, per esempio in materia culturale, e qui le televisioni commerciali mostrano tutti i loro limiti, anche oltre la decenza. Una volta Il Corriere della Sera pubblicava come domenicale “La Domenica del Corriere”, per popolarizzare la cultura, un tempo assai bene, ma quella testata, nella sua estrema decadenza, scese quasi a livello di Grand Hotel, il rotocalco di fotoromanzi. Qualcuno chiese al direttore del Corriere dell’epoca perché fosse così di cattivo gusto. Il direttore rispose così: “Altrimenti non si vende”; l’interlocutore incalzò: “allora peggioratela ancora”, e la risposta fu: “non è materialmente possibile”. Questo si potrebbe dire di molte televisioni commerciali. Quindi un servizio pubblico è utile, ma soprattutto nell’informazione corre il rischio costante di essere la Voce del Padrone. Già così com’è oggi lo è abbastanza. Non c’è dubbio che gli spazi dati a Matteo Renzi, Sergio Mattarella e Papa Francesco facciano gran parte della programmazione ma, in forza del controllo parlamentare, ed anche lasciatelo dire della lottizzazione conseguente, passano anche altre informazioni, pur se in modo molto più sintetico e se anche l’opposizione più amplificata è sempre quella di sinistra, mentre quella di destra, il più delle volte, passa solo se il mezzobusto può esprimere sdegno e censura, o riderci sopra. Se vogliamo avere la voce del padrone, la proposta del Governo, cioè di far sua completamente la Rai, va benissimo; altrimenti discutiamone tutti domani pomeriggio.

 

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