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Arte & Cultura

Quella musica voce di un popolo: le melodie popolari italiane specchio dell’identità nazionale

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L’identità di un popolo è sempre stata scandita da canzoni e temi musicali che ne hanno accompagnato le feste, le ricorrenze e le occasioni rilevanti dell’anno, al punto tale che in seguito la distinzione fra “musica folk” e “musica popolare” si è quasi del tutto persa.

 

È noto che le composizioni popolari italiane siano conosciute e divulgate dalle comunità dei nostri connazionali all’estero in quanto parte integrante di un comune patrimonio culturale, degno di considerazione perché specchio dell’identità nazionale italiana in tutto il mondo: ma da dove nascono simili brani e qual è la differenza rispetto a quelli cosiddetti “folclorici”? Sappiamo ormai che l’uomo possa aver iniziato il suo cammino sulla Terra imparando prima a cantare e poi a parlare. Del resto l’esigenza di esprimere le emozioni e i sentimenti attraverso dei suoni che hanno in seguito assunto le dimensioni e la struttura delle forme musicali odierne costituisce un aspetto comune a tutte le culture mondiali.
A tal proposito si parla appunto di musica tradizionale, popolare e folclorica: l’autore o gli autori che ne hanno realizzato i brani risultano ancora oggi sconosciuti, eppure si sono esibiti nelle medesime occasioni – feste, situazioni conviviali, rituali liturgici, momenti di intenso lavoro o di intimità domestica – per cui altri lontani, diversi interpreti hanno intonato dei canti e dei ritmi simili nell’andamento, nel carattere e negli obiettivi.
Quella folk è quindi una musica rintracciabile soprattutto nei contesti rurali dei popoli, trasmessa oralmente e suonata abitualmente da tempo immemorabile in ambiti per lo più analfabeti, nonché registrata dagli etnomusicologi sin dall’inizio del XX secolo dopo essere stata finalmente ritenuta una componente fondamentale del patrimonio rappresentativo di ogni Stato.

Nascita e funzione del genere folk

Da qui le due teorie sulla nascita di questo genere musicale: l’idea che provenga dalla musica colta e sia poi cambiato degradandosi nella trasmissione orale, e l’ipotesi che rifletta semplicemente la cultura di riferimento da cui è stato prodotto.

Qui a destra: un’immagine del Carpino Folk Festival, accreditato ONG dall’Unesco

Quest’ultima tesi è senz’altro la più credibile, avvalorata dall’indubbio apporto identitario che la musica fornisce ai membri delle varie comunità all’estero: che si tratti di italiani, irlandesi, africani o indiani, tutti si riconoscono in un genere, una melodia o un motivo musicale, capace di risollevare gli animi emotivamente e psicologicamente a maggior ragione quando ci si trova lontani dal proprio paese di origine e magari in situazioni difficili.
La musica folclorica quindi è stata la prima a svolgere la funzione di un formidabile aggregante sociale, di vitale importanza per le comunità straniere in un determinato luogo: non a caso, tra le occasioni pubbliche che più necessitano del supporto dei motivi tradizionali troviamo gli eventi religiosi, interpretati spesso da musicisti dilettanti il cui trasporto emotivo può prescindere dalla qualità estetica della melodia da intonare.

La trasformazione in musica popolare

Più in generale comunque l’identità di un popolo è sempre stata scandita da canzoni e temi musicali che ne hanno accompagnato le feste, le ricorrenze e le occasioni rilevanti dell’anno, al punto tale che in seguito la distinzione fra “musica folk” e “musica popolare” si è quasi del tutto persa.
Alcuni dei nostri brani nazionali più rappresentativi dell’italianità per esempio, a cominciare da Romagna Mia di Secondo Casadei e ‘O sole mio di Giovanni Capurro ed Edoardo Di Capua sono tuttora considerati “musica folk”, nonostante il fatto che gli autori fossero perfettamente noti e che avessero composto la musica per poi divulgarla in ambienti colti.

A destra: lo spartito di ” ‘O sole mio”

Secondo alcuni musicologi inoltre anche il repertorio delle canzoni napoletane – diffuse soprattutto dagli immigrati italiani fra ‘800 e ‘900 a partire dall’America – sarebbe da annoverare nella musica colta (sebbene di tradizione orale e quindi folclorica nelle origini), dotata di complesse caratteristiche strutturali e teoriche.

Tuttavia, a prescindere dal giudizio attribuibile alle composizioni popolari è proprio in un periodo storico come quello in cui attualmente viviamo – all’insegna delle contaminazioni culturali, identitarie e ora anche sanitarie dovute alla globalizzazione – che sarebbe opportuno riflettere sull’importanza di preservare nonché salvaguardare sempre anche il repertorio di musiche folcloriche e popolari del nostro paese, considerandolo prezioso e imprescindibile per la nostra identità quanto quello della musica classica.

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