Salute
Il livello di tossicità del dibattito pubblico è sconcertante

Tutto quello che bisogna sapere su emergenza covid e vaccini vari con i dovuti riscontri. Le verità che nessuno spiega
Di Giorgio Bianchi
Ci sono elementi in abbondanza per individuare in maniera inequivocabile e precisa tutti i soggetti che stanno tutelando interessi padronali a discapito delle popolazioni, mai come ora trattate alla stregua di topi da laboratorio in un esperimento socio-economico-politico-zootecnico che non ha precedenti nella storia.
Nel momento stesso in cui avvengono fatti epocali di una gravità inaudita, si registra una massa di persone inebetite dalla propaganda, che avanza senza protestare sul nastro trasportatore che le sta conducendo al mattatoio.
Tutto quello che stiamo vivendo è stato già tentato con minor fortuna durante la pandemia di suina. Ma all’epoca l’arma definitiva per la manipolazione delle coscienze, ovvero i social network, non erano ancora stati messi a punto.
Oggi stiamo assistendo al Director’s cut della pellicola che andò in scena allora, con l’aggiunta di quelle scene che erano state scritte ma non girate in quanto gli effetti speciali non permettevano un risultato credibile.
Nel documentario di Serena Tinari dal titolo “Il fantasma della pandemia”, realizzato per la TV pubblica svizzera nel 2010 (che ho condiviso almeno cinque volte a partire dal maggio scorso), ci sono tutti gli elementi per capire che si tratta dello stesso soggetto, della medesima regia e degli stessi attori.
Particolarmente inquietante è tutto il capitolo dedicato ai vaccini.
Dura 25 minuti, guardatelo e imponete la sua visione ai vostri cari e a tutte le persone che vi sono vicine.
La questione vaccinale è quella che più di tutte dovrebbe mettere in allarme, in quanto rappresenta la casella della scacchiera sulla quale stanno convergendo tutti i pezzi dell’avversario, oltre a risultare l’aspetto che più di tutti sembra essere stato predisposto da tempo
Uno degli obiettivi a breve termine dell’operazione va delineandosi con sempre maggiore chiarezza.
E’ del tutto irresponsabile la sciatteria con la quale si sta prendendo sottogamba una questione che riguarda la salute di miliardi di persone e sulla quale insistono interessi colossali, sia dal punto di vista economico che da quello concettuale, visto che il principio che si sta cercando di far passare rischia di essere il grimaldello che potrebbe modificare le Costituzioni sostanziali delle democrazie, consentendo al potere poltico-economico di agire sul nostro corpo contro la nostra volontà e senza un motivo dimostratamente valido.
Basterebbe leggere l’atto d’accusa durissimo alla sperimentazione dei vaccini anti-Covid di Peter Doshi, editore associato del British Medical Journal, una delle riviste che – assieme a Lancet – si contende la palma di vera e propria bibbia della scienza, per capire che siamo immersi in una bolla propagandistica inaudita e che questa necessità di far compiere ai cittadini una scelta emozionale, avventata, irrazionale, rischiosa, che non porta alcun beneficio misurabile, potrebbe celare un secondo fine indicibile.
“Troppi segreti”. Così la bibbia inglese della scienza stronca i tre vaccini anti-Covid.
Tutto quello che non quadra nelle sperimentazioni nell’atto d’accusa della prestigiosa rivista britannica.
Tramite Enrica Senini
[…] Non c’è solo il caso Astrazeneca a preoccupare il British Medical Journal. Certo, la vicenda del dosaggio sbagliato potrebbe essere la spia di una sperimentazione non immune da altri errori, magari dettati dalla fretta di arrivare al risultato finale. Ma la prestigiosa rivista settimanale inglese getta un’ombra anche sui due prodotti americani. Accusati, in particolare, di aver adottato una politica di scarsissima trasparenza sui dati. Proferendo annunci che, oltre a creare una grande aspettativa in un mondo messo in ginocchio dall’epidemia da Coronavirus, mettono anche una grande pressione sulle autorità che poi dovranno validare definitivamente i vaccini prima della loro diffusione.
Ma quali sono i dati che mancano? Innanzitutto specifiche maggiori sul campione che si è sottoposto alla sperimentazione. Per dire, niente è trapelato sull’efficacia dei farmaci in alcune sottocategorie importanti, ad esempio gli anziani fragili. Inoltre, ancora non si sa delle prestazioni del vaccino a 3, 6 o 12 mesi. La percentuale di efficacia dei vaccini influenzali, invece, viene calcolata in base alla durata del periodo di copertura: una stagione. Nè, infine, si sa ancora se una persona vaccinata, oltre a non sviluppare i sintomi più gravi del Covid, è o meno in grado di contagiare gli altri.
Ma, al di là di queste problematiche che erano in parte già state evidenziate dalla comunità scientifica, Peter Doshi scende ancora più nel dettaglio. Innanzitutto, gli effetti collaterali. “Il comunicato stampa di Moderna – scrive Doshi – afferma che il 9% (del campione, ndr) ha sperimentato mialgia di grado 3 e il 10% affaticamento di grado 3; La dichiarazione di Pfizer ha riportato che il 3,8% ha sperimentato stanchezza di grado 3 e il 2% mal di testa di grado 3”.
Poca roba? Non proprio. “Gli eventi avversi di grado 3 sono considerati gravi” spiega l’editore associato del British Medical Journal. Ma, riguardo gli effetti collaterali, c’è un problema molto più latente. In molti casi, infatti, essi assomigliano ad alcuni dei sintomi del Covid (lieve febbre, stanchezza, dolori muscolari). Per essere sicuri che le persone del campione che avessero mostrato questi sintomi non fossero in realtà positive al Covid, sarebbe stato necessario sottoporle tutte ai test. Ma davvero tutte le persone con un sospetto Covid sono state sottoposte a un tampone di conferma? Questa è un’altra informazione cruciale senza la quale è impossibile stimare la reale percentuale dell’efficacia del vaccino. Se alcune delle persone con presunti effetti collaterali del vaccino avesse in realtà i sintomi del Covid, quel famoso 90% di efficacia si abbasserebbe sensibilmente. “I protocolli di prova per gli studi di Moderna e Pfizer – scrive Doshi – contengono un linguaggio esplicito che istruisce gli investigatori a usare il loro giudizio clinico per decidere se indirizzare le persone per i test”. Un’implicita ammissione che i tamponi non vengono fatti a tutti i protagonisti della sperimentazione, ma solo alle persone per le quali i medici lo ritengono necessario.
“Troppi segreti”. Così la bibbia inglese della scienza stronca i tre vaccini anti-Covid
[…] Il problema dei sospetti covid-19 – Tramite Fabrizio Santinelli
Tutta l’attenzione – scrive Doshi – si è concentrata sui risultati di efficacia ma per quanto riguarda Pfizer questi numeri sono pesantemente condizionati da una categoria di malattia chiamata “sospetto covid-19”, chi in sostanza è risultato sintomatico al covid-19 ma la cui positività non è stata confermata dalla PCR, ossia dal tampone molecolare. Secondo il rapporto della FDA sul vaccino della Pfizer, ci sono stati “3.410 casi totali di covid-19 sospetti ma non confermati nella popolazione complessiva dello studio, 1.594 si sono verificati nel gruppo vaccino contro 1816 nel gruppo placebo”.
“Con 20 volte più casi sospetti rispetto a quelli confermati – osserva Doshi – questa categoria di malattia non può essere ignorata semplicemente perché non c’è stato un risultato positivo del test PCR. Anzi, questo rende ancora più urgente capire. Una stima approssimativa dell’efficacia del vaccino contro lo sviluppo di sintomi di covid-19, includendoli tra i positivi, porterebbe a una riduzione del rischio relativo del 19%, molto al di sotto della soglia di efficacia del 50% per l’autorizzazione fissata dalle autorità di regolamentazione”. L’editore ammette che alcuni di questi casi di sintomatologia non confermata possano derivare dagli effetti collaterali del vaccino nella prima settimana, ma osserva: “Anche dopo aver rimosso i casi verificatisi entro 7 giorni dalla vaccinazione (409 sul vaccino Pfizer vs 287 sul placebo), che dovrebbe includere la maggior parte dei sintomi dovuti alla reattogenicità del vaccino (cioè la capacità di indurre effetti collaterali e reazioni indesiderate, ndr) a breve termine, l’efficacia del vaccino rimane bassa: 29%”.
Dunque, in parole povere, se chi ha sviluppato la sintomatologia ma non ha avuto le conferme dal tampone, rientrasse nella categoria dei positivi al Covid, l’efficacia del vaccino Pfizer sarebbe meno di un terzo di quella dichiarata del 95%.
E come potrebbe essere considerato infetto un paziente che ha sintomi ma una PCR negativa?
Qui Doshen formula un’ipotesi: “Se molti o la maggior parte di questi casi sospetti riguardassero persone che avevano un risultato del test PCR falso negativo, ciò diminuirebbe drasticamente l’efficacia del vaccino”.
Dubbi, lo ammette lo stesso Doshi, che meriterebbero un contraddittorio basato sui numeri.
“C’è una chiara necessità di dati per rispondere a queste domande, ma il rapporto di 92 pagine di Pfizer non menzionava i 3410 casi di “sospetto covid-19”. Né la sua pubblicazione sul New England Journal of Medicine. Nemmeno I rapporti sul vaccino di Moderna. L’unica fonte che sembra averlo riferito è la revisione della FDA del vaccino della Pfizer”, scrive il medico.
I 371 esclusi dall’analisi di efficacia del vaccino Pfizer
E questo non è l’unico aspetto che non convince Doshi. “Un altro motivo per cui abbiamo bisogno di più dati è analizzare un dettaglio inspiegabile trovato in una tabella della revisione della FDA del vaccino di Pfizer: 371 individui esclusi dall’analisi di efficacia per “importanti deviazioni del protocollo entro o prima di 7 giorni dopo la dose 2”. Ciò che preoccupa è lo squilibrio tra i gruppi randomizzati nel numero di questi individui esclusi: 311 dal gruppo del vaccino contro 60 del placebo. Quali erano queste deviazioni dal protocollo nello studio di Pfizer e perché c’erano cinque volte più partecipanti esclusi nel gruppo del vaccino? Il rapporto della FDA non lo dice” è l’osservazione di Doshi.
Comitati poco trasparenti
L’editore del Bmj, spiega anche che si sa poco sui processi dei comitati di aggiudicazione dell’evento primario, quelli che hanno contato i casi covid-19. “Erano all’oscuro dei dati sugli anticorpi e delle informazioni sui sintomi dei pazienti nella prima settimana dopo la vaccinazione?” E quello che si sa non lo convince: “Sebbene Moderna abbia nominato il suo comitato di aggiudicazione composto da quattro membri, tutti medici affiliati all’università, il protocollo Pfizer afferma che tre dipendenti Pfizer hanno svolto il lavoro. Sì, membri dello staff Pfizer”.
Efficacia del vaccino in persone che avevano già il Covid?
Gli individui con una storia nota di infezione da SARS-CoV-2 o una precedente diagnosi di Covid-19 sono stati esclusi dagli studi di Moderna e Pfizer. E questo appare logico, dato la presumibile immunizzazione di cui godevano. Tuttavia, osserva Doshi dalla lettura dei dati disponibili, 1.125 (3,0%) dei partecipanti agli studi di Pfizer e 675 (2,2%) di quelli Moderna sono stati considerati positivi per SARS-CoV-2 al basale ossia al momento iniziale del trial.
“La sicurezza e l’efficacia dei vaccini in questi destinatari non ha ricevuto molta attenzione, ma poiché porzioni sempre più grandi della popolazione di molti paesi possono essere “post-Covid”, questi dati sembrano importanti. Secondo il mio conteggio, la Pfizer ha riportato 8 casi di Covid-19 sintomatico confermato in persone già positive per SARS-CoV-2 al basale (1 nel gruppo vaccino, 7 nel gruppo placebo,) e Moderna, 1 caso (gruppo placebo)”.
E questi numeri fanno riflettere il medico che osserva: “Ma con solo da 4 a 31 reinfezioni documentate a livello globale (ossia un massimo di 31 persone che hanno mostrato di reinfettarsi nuovamente in tutto il mondo), come potrebbero esserci 9 casi confermati di covid-19 tra quelli con infezione da SARS-CoV-2 al basale in studi con un follow-up mediano di due ?”
Abbiamo bisogno dei dati grezzi
Affrontare le molte domande aperte su questi studi richiede l’accesso ai dati grezzi dello studio. Ma nessuna azienda sembra aver condiviso i dati con terze parti a questo punto, osserva Doshi nelle sue conclusioni.
Pfizer afferma che sta rendendo i dati disponibili “su richiesta e soggetti a revisione”. Ciò impedisce di rendere i dati pubblicamente disponibili, ma almeno lascia la porta aperta. Quanto sia aperta non è chiaro, dal momento che il protocollo dello studio dice che Pfizer inizierà a rendere disponibili i dati solo 24 mesi dopo il completamento dello studio”.