Attualità
Il faro sul mondo: testata e associazione catanese che porta aiuti e umanità in Libano

Alla scoperta di “Il faro sul mondo”, l’associazione e testata catanese ideata da Giovanni Sorbello, che offre un’informazione libera su politica internazionale con focus in Medio Oriente. E al contempo, è attiva con missioni in Libano, dove porta la speranza e l’umanità in condizioni di vita precarie.
Una torre, da cui lampeggia un fascio luminoso rivolto a chi è in cerca di aiuto, solo che in questo caso non si tratta della salvezza di naufraghi, ma di coloro che vivono sulla terraferma in condizioni disumane. È lì che questo fascio luminoso si irradia e porta chiarezza: è la luce di Il faro sul mondo. Testata giornalistica di politica internazionale e associazione catanese che con il suo “guardiano”, direttore e presidente Giovanni Sorbello, da 16 anni opera su due fronti: informazione e missioni umanitarie in Medio Oriente. Quattro è la cadenza dei viaggi che ogni mese l’associazione organizza per raggiungere civili innocenti che portano in occhi, mente e corpo i segni psicologici e le ferite atroci di conflitti bellici. Gli aiuti umanitari vengono raccolti grazie al contributo di collaboratori esterni, amici e relazioni strette nel tempo e includono soprattutto farmaci, accessori sanitari e per l’igiene, e articoli scolastici. La destinazione delle missioni attualmente è il Libano, dove risiedono 1,5 milioni di profughi palestinesi, siriani, libanesi e immigrati che vivono nei campi in condizioni disastrose. Libano da anni in conflitto con Israele che, dall’inizio del genocidio a Gaza del 7 ottobre, con le Idf (Forze di difesa israeliane) sta intensificando gli attacchi al suo confine.
In scenari di distruzione e povertà però continua ad arrivare l’associazione Il faro sul mondo e le sue iniziative, l’ultima a giugno, “Gocce in un oceano” ripagate dall’immensa gratitudine di chi le riceve e la consapevolezza che a ogni missione c’è sempre una sfida da affrontare. Fra queste stille di umanità, ci ha condotto Giovanni Sorbello.

Giovanni Sorbello con i membri dell’associazione Wataawanou – Giugno 2024
Quando nasce l’associazione?
«Nel 2012 dalle ceneri di un’altra che si chiamava Korrigan, con cui già facevamo diverse attività sia a livello locale, sia all’estero. La nostra attività, quindi, va avanti da 16 anni da Catania con collaboratori e simpatizzanti dell’associazione un po’ sparsi in tutta Italia.
Poi, abbiamo anche diversi collaboratori in Libano, il nostro focus, dove svolgiamo le attività principali come associazione e poi siamo anche una rivista di politica internazionale regolarmente registrata al Tribunale di Catania. Dunque, ci sono queste due anime che vanno a convergere e cerchiamo di portare avanti».
In quanti fate parte di questa realtà?
«C’è tanta gente che collabora dall’esterno. Quando svolgiamo le missioni nasce in maniera spontanea un passaparola tra i contatti e le mail. È un circuito di amicizie e conoscenze alimentato anche attraverso il giornale; sui social, invece, cerchiamo di mantenere questi contatti».
L’obiettivo principale di Il faro sul mondo?
«Dal punto di vista dell’informazione nel nostro piccolo, perché siamo consapevoli di essere minuscoli in questo enorme calderone del web, cerchiamo di informare con fonti accertate e provenienti dal campo, che difficilmente arrivano nei telegiornali. Tutto questo, nonostante le censure (i profili social sono puntualmente oscurati, e anche il sito è più volte attaccato) che subiamo, concentrandoci su un contesto geografico dove si decideranno le sorti di buona parte del mondo del Medio Oriente allargato, che finisce in Asia Occidentale.
Attraverso l’associazione, invece, cerchiamo di tradurre anche con i fatti la nostra volontà di stare al fianco degli ultimi che non si arrendono mai. Basta vedere cosa sta accadendo da 9 mesi a Gaza per capire come l’orgoglio e la fermezza di un popolo siano più forti dei massacri continui.
Per noi era necessario contestualizzare e concretizzare quelle poche risorse che riusciamo a raccogliere. Gocce in un oceano, ma piccole iniziative che hanno un’importanza particolare, perché ogni volta che andiamo in Libano verifichiamo tutto ciò che accade e le condizioni che ci sono. La nostra scelta è quella di poter verificare di persona ogni singola attività che porta avanti l’associazione anche per cercare di dare una maggiore visibilità e trasparenza a tutti gli amici che con grande altruismo e sensibilità danno i loro piccoli contributi».

Incontro di Giovanni Sorbello con la comunità di Habchit Berkayel in un villaggio nel nord del Libano – Giugno 2024
Traguardi e iniziative raggiunte dalla nascita dell’associazione?
«Dal 2008 a oggi ce ne sono state tante, più o meno indirizzate verso il settore dell’infanzia. Cerchiamo di dare priorità a scuole, centri medici per bambini, persone con disabilità e questo ci contraddistingue nelle nostre piccole attività. Poi, abbiamo avuto delle pause come quella di circa 7 anni fa: non riuscivamo ad andare avanti, perché mancavano le risorse e avevamo tante difficoltà.
Era un periodo in cui abbiamo subito attacchi sul sito e abbiamo sostenuto delle grandi spese per poterlo rimettere in sesto. Periodo che, piano piano, con un po’ di testardaggine siamo riusciti a risolvere. Poi, l’iniziativa più importante è stata nel 2022 quando siamo riusciti a fare partire da Catania verso il Libano un container con 30 tonnellate di aiuti: dai farmaci, agli accessori sanitari e per l’igiene, fino agli accessori scolastici. È stata l’iniziativa un po’ più impegnativa, soprattutto dal punto di vista economico; poi però è andato tutto bene».
L’ultima missione?
«Conclusa da poco, a giugno, e oltre a portare farmaci abbiamo acquistato sul posto due borsoni per il primo soccorso completi di tutti gli accessori e farmaci, compresi quelli per la cura del cancro di cui c’è grandissimo bisogno e non si ha possibilità di acquistare, perché costosissimi.
La parte più affascinante di ogni missione è che non sono mai uguali e nasce sempre una nuova collaborazione, conosci gente e scopri nuove storie.
La parte più difficile è il ritorno a casa. Torni con quell’amarezza che non è mai abbastanza quello che fai. Nasce una sorta di confronto e conflitto interiore, perché da un lato più di questo non riesci a fare per dei limiti e dall’altro umanamente non accetti quello che hai visto, ascoltato e conosciuto per poi tornare nel contesto nostro italiano, lontano anni luce (seppur a 2500 chilometri di distanza) con una serie di comfort che dall’altra parte sono un miraggio. Poi però, si pensa alla prossima missione».
Con quali realtà libanesi siete in contatto?
«Il centro medico Bury Center di Beirut, il direttore Dar Al – Hawraa sempre di Beirut, l’associazione Wataawanou; i campi profughi palestinesi, siriani, libanesi che sono presenti sul territorio. E ogni realtà necessita di aiuti diversi».
Il Dott.Mustapha Mehri, direttore del Centro medico Dar Al – Hawraa di Beirut – Giugno 2024
La difficoltà più grandi che avete dovuto affrontare nelle vostre missioni?
«Sono tante: dalla partenza con carichi di farmaci, alle spedizioni. Spesso abbiamo problemi per lo sdoganamento dei beni, perché se possono arrivare a crearti problemi in dogana lo fanno. Sul campo, poi abbiamo tante tipologie di pericoli, soprattutto in questo periodo.
Negli ultimi giorni, alle 6.00 del mattino ci svegliavano gli aerei israeliani che rompevano la barriera del suono solo per farti capire che sono lì e possono, in qualche modo, colpire e distruggere quando vogliono. Ovviamente, noi prendiamo tutte le precauzioni del caso, soprattutto quando partiamo con amici e altre persone.
Un altro problema è raccogliere fondi e farmaci; sono tante piccole sfide e devi essere forte per combatterle e vincerle. C’è da dire che in questo periodo abbiamo maturato esperienza e sappiamo anche come confrontarci con le difficoltà, sempre diverse da una missione all’altra».
La cosa più significativa che vi hanno detto le persone che aiutate?
«Il libanese come il palestinese, ha una personalità solare e socievole e la sua gratitudine è immensa. Ringraziano, dico, anche in maniera eccessiva per quello che è un piccolo aiuto che riusciamo a portare. Quando ci confrontiamo con la gente comune nei campi profughi e altrove, ci sono sempre momenti di grande emozione; il loro “grazie”, che viene dal cuore, ti spiazza.
Quello che facciamo non è nulla rispetto a tutto ciò che questa gente merita. Siamo noi che dobbiamo dire grazie, perché il valore umano che ci trasmettono è enormemente maggiore rispetto a quegli aiuti che riusciamo con tanta difficoltà a portare. Mi sento una persona fortunata per le tante esperienze, storie e testimonianze che mi porto dietro grazie a tutti loro. Abbiamo una sana gratificazione e testimonianza d’affetto che ci viene dai bimbi e operatori umanitari con cui collaboriamo, aspetto che per me vale tanto».
Il Libano è patria di 1,5 milioni di profughi. Quali sono le problematiche maggiori con cui devono fare i conti?
«Una percentuale impressionante su una popolazione di circa 5 milioni di abitanti e la loro condizione è spaventosa, perché vivono all’interno di campi dove c’è poco o nulla: manca l’acqua, la corrente, si beve acqua salata e le malattie si diffondono velocemente. E le realtà legate alle Nazioni Unite, le Unhcr e l’Unrwa (agenzia rifugiati palestinesi) riescono a sopperire in minima parte al fabbisogno di tutta questa gente. C’è da dire che c’è anche uno sperpero di beni e finanziamenti.
Anni fa abbiamo avuto collaborazioni e contatti con l’Unwra anche per capire la tipologia di attività e investimenti, ma il grosso dei finanziamenti da parte delle Nazioni Unite viene impegnato per spese di amministrazione e ti rendi conto poi, che è minimo ciò che può arrivare per le scuole, i centri medici, gli ospedali e quant’altro.
Quindi, la vita nei campi profughi è un girone dantesco. Ci andiamo spesso e abbiamo fatto diverse iniziative ed è una situazione drammatica sia per il numero, sia per le difficoltà nel garantire un minimo di dignità a questa gente. Il palestinese vive da 70 anni questo problema, poi dal 2011 con l’arrivo dei profughi siriani la situazione si è aggravata in maniera esponenziale».

Raccolta farmaci di Il faro sul mondo donata al Centro medico Burj Center di Beirut – Giugno 2024
I giovani libanesi che vivono in queste zone hanno speranza per il futuro?
«I libanesi, di qualsiasi ceto sociale, sono molto orgogliosi e sono convinti che alla fine riusciranno a vincere questa battaglia che dura dal ‘75 contro Israele. Loro sono abituati alla guerra e questa cosa per un occidentale è particolare: come si può essere così sereni nell’affrontare conflitti con case che vengono distrutte e ricominciare da zero? Vivere in un contesto dove hai difficoltà a trovare cibo e farmaci, e dove si muore?
Loro hanno una forza interiore che fa paura e sono certi che riusciranno ad avere la meglio in questa guerra; l’ultima del 7 ottobre da tanti è vista come una guerra determinante per il futuro, dove uno dei due Stati dovrà cedere. Questo perché sono stanchi di decenni di guerra e di dover subire; loro sono pronti a tutto a differenza di noi occidentali.
Non abbiamo questa cultura del dare, del sacrificio, difendere i propri diritti, la propria casa, i propri cari; loro non hanno nessun timore nel dare se stessi e la propria vita per qualcosa in cui credono: giustizia, libertà, diritti negati da 70 anni».
“L’impegno dell’associazione è rivolto ai popoli oppressi che spesso patiscono anche l’indifferenza dei media mainstream” si legge della vostra associazione. In cosa pecca, secondo te, l’informazione quando parliamo di catastrofi umanitarie?
«Il punto è uno: non c’è un’informazione libera. Lo possiamo vedere in quanto succede a Gaza; siamo di fronte a un genocidio che le stesse Nazioni Unite hanno descritto con pochi precedenti nella storia per numero di vittime e atrocità. E questo viene negato in maniera imbarazzante dai media ufficiali, perché c’è un totale asservimento a chi sta in una posizione di potere globale, come gli Stati Uniti, che hanno il monopolio assoluto e nessuno si può permettere di dire qualcosa di diverso o non allinearsi alla linea che loro scelgono, specie in politica internazionale.
Poi, per quanto riguarda Israele, in Italia nessun politico e governo si è mai permesso di mettere in discussione la sua linea politica e tutte le scelte criminali che ha compiuto. Quello che accade a Gaza da 9 mesi è disumano e se noi leggiamo e ascoltiamo le agenzie e i telegiornali, parlano in maniera serena di morti e non c’è mai nessuno che dice che Israele sta massacrando un intero popolo.
Un Governo che giura fedeltà a Israele e Stati Uniti, nega che montagne di civili innocenti vengono massacrati ogni giorno e ti vietano anche di nominare la parola “genocidio”, fa capire che siamo in un contesto dove hanno messo il bavaglio a un intero popolo. Anche perché, diciamolo, purtroppo il popolo non ha fatto nulla per tagliare questo bavaglio e c’è dunque anche una considerevole complicità da parte nostra.
Hanno avuto gioco facile, perché hanno trovato un popolo che più di abbaiare e lamentarsi non fa e per un governo così è facile vietarti di poter dire la verità o esprimere un libero pensiero e un’opinione. Questa è una parte molto triste e pericolosa a cui l’Italia si è in qualche modo consegnata. Quello che percepisco è una resa totale verso un mondo che è diventato ormai disumano; non riesco a trovare al tre parole».
Libano del sud – villaggi distrutti dai bombardamenti israeliani
Quale pensi possa essere l’escalation di questo conflitto che riguarda anche il Libano?
«Da mesi si parla di una tregua. Ammesso che accada, e spero da essere umano che venga raggiunta il prima possibile, per aiutare 2 milioni di persone che muoiono di fame, malattie, oltreché sotto le bombe, secondo me è scattato un processo che non avrà fine, almeno fino a quando non saranno decise determinate linee. Il conflitto magari subirà delle pause e rallentamenti ma è un processo da cui nessuno vuole tirarsi indietro. Da tutti è percepito come un conflitto che si concluderà con un risultato reale.
Ci potranno essere un cessate il fuoco o le tregue, però soprattutto per quanto riguarda il conflitto con il Libano (poi gli attori potrebbero essere anche di più da qui a qualche mese, perché c’è la Siria a un passo che ha mille motivi per difendersi da Israele) temo si concluderà quando uno dei due avrà ottenuto la vittoria.
Nessuno vuole tornare alla situazione di prima; la consapevolezza della gente è che dev’essere una volta per tutte: se dobbiamo morire, lo facciamo ma almeno che sia decisivo. È un pensiero molto crudo e drammatico, e difficile da accettare ma è il pensiero e la volontà del popolo che da 70 anni vive le peggiori atrocità e che oggi è stanco. Non è la morte che può preoccupare, ma un futuro che continua a essere simile al passato. Il conflitto, secondo me, avrà anche un risvolto più ampio da qui ai prossimi mesi, io spererei di no. Ma la sensazione è questa».
Prossima missione?
«Partiremo a settembre avendo sempre una costante: farmaci e beni di primissima necessità che scarseggiano sempre in Libano. Poi, di solito, facciamo delle raccolte fondi per spendere i soldi sul posto e in base alle esigenze e richieste che abbiamo cerchiamo di dare delle risposte. Una lotta che ci auguriamo di portare avanti con tanta dignità e coerenza; il pensiero è sempre quello di poter mettere il mattoncino in più e quando riusciamo in questo siamo consapevoli che è tanto».
Chi desidera contribuire alla raccolta fondi può farlo tramite bonifico su C/C postale intestato a:
Associazione Il Faro sul Mondo
IBAN: IT 39U0760116900001047099864
Causale: Emergenza Libano
Info: info@ilfarosulmondo.it