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Italia

Don DeLillo incontra i lettori in occasione dell’uscita di ZERO K (Einaudi)

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Interviene Giuseppe Culicchia in collaborazione con Cantine Damilano

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«Tutti vogliono possedere la fine del mondo. Questo ha detto mio padre, in piedi, davanti alle finestre all’inglese del suo ufficio di New York: gestione del patrimonio, dynasty trusts, mercati emergenti. Stavamo condividendo un momento raro, contemplativo, col tocco finale dei suoi occhiali da sole vintage che portavano la notte fra quattro mura.»

Così comincia Zero K (Einaudi) di Don DeLillo, la traduzione è di Federica Aceto, le pagine sono 240. Il “grande sciamano della scuola paranoide della letteratura americana” ritorna dopo Punto omega (Point Omega, 2010) e lo incontriamo alCircolo dei lettori lunedì 24 ottobre alle ore 21 in un appuntamento aperto al pubblico. Interviene Giuseppe Culicchia.

Don DeLillo è nato nel Bronx nel 1936 e lì è cresciuto, nel quartiere italo-americano. Ha frequentato la Hayes High School e poi la Fordham dove si è laureato in Communication Arts, quindi ha lavorato per un po’ come copywriter presso l’agenzia Ogilvy & Mather. Ora vive poco fuori New York con sua moglie. Americana è il suo primo libro, pubblicato nel 1971 dopo quattro anni di lavoro in un piccolo monolocale di Manhattan. E dopo Americana sono seguiti gli altri, in fretta. Cinque in sette anni. E sono arrivati i lettori, fedelissimi.

I romanzi di DeLillo contengono divinazione e profezia, riflessione spirituale. Come ha ben raccontato Francesca Borrelli su Il Manifesto “i suoi libri sembrano via via imporre – a se stesso prima e al lettore poi – un ampliamento della grammatica della conoscenza capace di estendere i limiti del plausibile, forzare la legittimità delle nostre percezioni, mettere in dubbio la fenomenologia del reale, lasciando tuttavia che i personaggi rimangano ancorati a vite ordinarie, soffrano bisogni comuni, ma soprattutto condividano le paure e il senso del pericolo che invadono le nostre vite quotidiane.”

Ed è proprio in questo contrasto tra l’immanente e il trascendente che si gioca parte del fascino dei romanzi di DeLillo, non pochi dei quali sigillati da un titolo allusivo di uno stadio terminale: End Zone, Point Omega, Underworld, e ora Zero K: una sigla che nella realtà della fisica sta per la più bassa temperatura raggiungibile, mentre nella finzione del romanzo è il marchio dei cosiddetti “messaggeri”, quelli che scelgono di affidarsi alla criogenesi, ovvero al congelamento del loro corpo, prima che esso venga alterato dalla malattia.

Zero K è anzitutto una riflessione vertiginosa sullo scontro – che nella nostra epoca ha assunto nuovi, violentissimi sviluppi – tra scienza e religione per il controllo della vita umana. Una guerra il cui campo di battaglia è l’assoluto. Allo stesso tempo è un delicato concerto da camera, intimo e riflessivo, sui sentimenti di un figlio di fronte all’estrema decisione di un padre disposto a tutto pur di allontanare la morte dalle persone che ama; sull’impossibile ma ineludibile necessità di dirsi addio. Nessun libro, finora, aveva saputo mantenere uno sguardo tanto lucido e allo stesso tempo visionario sul pianeta Terra ad altezza del ventunesimo secolo.

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