Arte & Cultura
Intervista a Paolo Regina: “Giallista per passione”
Intervista a Paolo Regina, nato a Milano ma di origini pugliesi, scrittore di gialli e testi “noir”, e molto altro ancora
di Pierpaola Meledandri
Paolo Regina, nato a Milano ma di origini pugliesi, si ritrasferisce con la famiglia a Bisceglie nel 1965. Impara molto precocemente a leggere e scrivere da solo, guardando la trasmissione tv “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi. Dopo la maturità classica, consegue la laurea in giurisprudenza all’università di Ferrara. Diventa avvocato e lavora per molti anni come dirigente nel mondo delle associazioni di categoria, parallelamente a incarichi di docenza in marketing e comunicazione alla facoltà di lettere dell’Università di Ferrara.
Amante della musica rock e del blues, chitarrista, negli anni ’80 è stato componente della band “The Backstreets”.
Dopo aver pubblicato alcuni testi di carattere specialistico nell’ambito del marketing e del diritto, dal 2018 si dedica alla scrittura di gialli e testi “noir”.
Ha ideato e diretto alcune rassegne letterarie riservate ai più noti autori “crime” italiani e stranieri.
È il creatore della fortunata serie del capitano De Nittis, un finanziere guascone e anarchico, amante del blues, del buon cibo e delle belle donne, che investiga su misteriosi delitti a Ferrara. Le sue avventure sono un viaggio all’interno della policroma provincia italiana fatta di luci, ombre, segreti e contraddizioni. Sul capitano De Nittis, Paolo Regina ha pubblicato:
“Morte di un antiquario” (2018).“Morte di un cardinale” (2020).“Da quanto tempo non piangi, capitano De Nittis?” (2021).“Promemoria per il diavolo” (2022).
Tuttitesti editi dalla casa editrice milanese Sem, del gruppo Feltrinelli.
Nel 2022 un racconto con De Nittis come protagonista compare, insieme alle firme più conosciute del” noir” italiano, nell’antologia di racconti gialli “Indaga detective”, edito da Piemme.
Nel 2021 ha vinto il premio della giuria al festival letterario “Garfagnana in giallo”.
Nel 2023 il premio “Oscar del Libro “Città di Trani”. Sempre nel 2023 il premio nazionale “Il Libro – Città di Manfredonia”.
Picasso amava affermare che il vero artista, è colui che da adulto non perde la sua parte bambina: è così anche per Lei? In Paolo Regina continua a convivere la dimensione dell’infanzia?


La creazione artistica passa necessariamente attraverso un’anima capace di osservare e di stupirsi, il che è tipico dei bambini. Guardare il mondo con occhi in grado di coglierne la bellezza, di provare pietà ed empatia per tutti gli esseri viventi è comune agli artisti e ai bambini, con l’ulteriore considerazione che i primi hanno spesso anche sperimentato il lato oscuro del male e la meschinità di cui sono capaci gli uomini. Si potrebbe dire che l’artista è un adulto che è riuscito a recuperare gli occhiali di un bambino, per frugare dentro sé stesso e comunicare, a chi è ancora in grado di comprenderla, l’armonia del mondo. Nel mio lavoro di scrittura cerco di sintonizzarmi con quel grande serbatoio metafisico e universale che contiene le storie degli uomini e le racconto inserendole nella trama di romanzi gialli. Ecco perché molti lettori vi si riconoscono. Per dirla sempre alla maniera di Picasso, l’artista è un ricettacolo di emozioni che vengono da ogni luogo: dal cielo, dalla terra, da un pezzo di carta, da una forma di passaggio, da una tela di ragno.
Un’altra affermazione di Picasso era che l’arte è una bugia che ci fa realizzare la verità. Che ne pensa?
L’arte più che una bugia è la rappresentazione simbolica di sentimenti universali. Se si riesce a decriptare il simbolo si arriva al messaggio dell’artista, che è sempre verità per lui. Come dicevo prima, un artista – quindi anche uno scrittore – attinge a una sorgente universale e descrive ciò che vede coi colori della sua tavolozza. Sta al fruitore dell’opera andare al di là del segno e trovare la propria storia, che è la storia del genere umano, arrivandosi con il cuore o con la mente.
La scrittura come terapia dell’anima. Può spiegare quale metamorfosi compie l’arte sull’individuo? Quanto il suo stato d’animo influisce sulla sua creatività, su ogni testo realizzato?
Quando incontro i lettori nelle presentazioni dei miei romanzi, spesso racconto che lo scrivere mi ha fatto risparmiare un sacco di soldi di terapia psicanalitica. Il che è una battuta, ma è anche vero. Scrivere significa proiettare sui propri personaggi le zone d’ombra e di luce di noi stessi. Significa esorcizzare le paure, oggettivizzare, rendendolo altro da sé, l’odio, il rancore, il rimorso, ma anche le paure, i sogni, i desideri. Scrivere significa costruire storie in cui si muovono individui che sono meglio o peggio di noi, ma che, alla fine si riducono a essere sempre una rappresentazione della nostra anima. In un romanzo giallo si può provare il piacere di essere un serial “killer” che uccide i nuovi mostri di una società malata, ma anche l’investigatore che lo arresta, un uomo o una donna, o un bambino. Chi scrive può essere chiunque, buono o cattivo, del passato, presente o futuro. Nell’atto di immedesimazione in un personaggio, lo scrittore compie anche un atto di comprensione dell’altro da sé, di ciò che mai vorrebbe o potrebbe essere, che difficilmente avrebbe compiuto senza la necessità del romanzo.
Che ruolo dovrebbe avere nella realtà contemporanea uno scrittore?

Per citare Gauguin, l’arte è o plagio o rivoluzione. Io cerco di non plagiare nessuno. Provo a scrivere di temi che ci possano far riflettere su dinamiche sociali e interpersonali, che viviamo quotidianamente. Secondo il mio amico e maestro Loriano Macchiavelli, lo scrittore dovrebbe denunciare sempre, dovrebbe avere un ruolo di attenta osservazione del potere e delle sue dinamiche. Banksy sostiene che l’arte deve confortare il disturbato e disturbare il comodo. Mi sembra un ruolo giusto anche per chi scrive. Personalmente, provo a fare riflettere il lettore sui meccanismi che governano molte relazioni sociali e personali, incluse quelle di potere.
Tra le opere che ha nel tempo realizzato, quale ama in particolar modo? Cosa le comunica e che cosa gradirebbe comunicasse agli altri?
Tutti i libri che ho scritto sono parte di me, nati dall’esigenza di raccontare storie di uomini, conditi in “salsa noir”. Non ho mai scritto su richiesta o pressione editoriale perché ogni romanzo ha una gestazione, proprio come le gravidanze: deve venire alla luce quando è tempo. Quindi ho un legame fortissimo con ciascuno. Certamente il primo, “Morte di un antiquario”, è quello che mi ha dato più emozioni. Vedere pubblicato da una delle maggiori case editrici italiane il mio romanzo e aver constatato che c’era qualcun altro che riteneva interessanti e “universali” le storie che raccontavo è stato sicuramente emozionante. Vorrei davvero che chi legge “Morte di un antiquario”, ma anche tutti gli altri libri che ho scritto, trovasse un po’ di sé nelle storie che, come la nostra vita di tutti i giorni, sono fatte di momenti bui, ma anche di amicizia, gioia, amore e speranza.
Quale tra i suoi testi sceglierebbe come manifesto di questi tempi?
Per i motivi che ho detto rispondendo alla domanda precedente, tutti i miei libri sono impregnati dello spirito di questi tempi strani e ambivalenti, ma l’ultimo, “Promemoria per il diavolo”, credo che descriva in modo realistico quello che alcuni uomini di potere possono commettere per conservare le proprie posizioni di privilegio. È la storia di un “serial killer” molto particolare. Non un maniaco o uno psicopatico, ma una persona normale, con un bel lavoro e una vita sociale prestigiosa, che da un giorno all’altro subisce un sopruso da parte di persone potenti e perde tutto. Decide così di aspettare 25 anni per dare modo al” karma”, alla provvidenza o alla giustizia umana di punire chi lo aveva tradito. Passato tale periodo senza che “i malvagi” siano stati puniti, si sente in diritto di rimettere lui a posto le cose e uccide uno per uno gli autori del sopruso. Una storia emblematica dei nostri tempi, credo.
Ritiene che il panorama editoriale, ivi compreso quello del giallo, nella realtà odierna possa dare un messaggio di speranza, per la costruzione di un modello di uomo nuovo?
Credo che la letteratura, anche oggi, abbia diverse funzioni: sociali, politiche e personali, direi intime. Socialmente, la letteratura avvicina le persone, crea gruppi di interesse comune, circoli di lettori e aiuta a superare pregiudizi e chiusure. Politicamente, un libro può porgere idee diverse, in controtendenza rispetto all’ideologia dominante, può stimolare il pensiero autonomo. E sotto il profilo personale, come diceva Jorge Luis Borge, la letteratura non è altro che un “sogno guidato”. Ci fa viaggiare senza bagagli in qualunque parte del mondo e in ogni epoca. Ma, cosa ancora più significativa, ci permette di fare il percorso più importante, quello dentro di noi.
Leggendo il suoi libri “tinti” di giallo, ne ho tratto spunti esoterici, di simbologia iniziatica. Esiste un filo conduttore tra le varie opere, in tal senso?
In effetti, sì. Soprattutto in “Morte di un antiquario”, che ritengo il romanzo più “esoterico” che io abbia scritto. Ci sono due livelli di lettura. Il primo, quello più immediato, riguarda la vicenda “crime”, l’indagine che si dipana fino alla soluzione finale. Il secondo è relativo al desiderio compulsivo di conoscenza che nella storia muove la vittima, fino a portarla a una tragica fine. Il suo bisogno di arrivare all’essenza e al significato universale dell’arte che lo induce, patologicamente, a volerla possedere in esclusiva. Nel romanzo c’è anche il tema della ricerca, una caccia al corpo di un famoso Cataro ferrarese, nascosto dai confratelli in seguito delle persecuzioni della Chiesa. E ci sono molti riferimenti simbolici, come ha giustamente osservato. Negli altri tre romanzi tale vena esoterica, a una prima lettura, può apparire meno evidente, ma il filo conduttore della ricerca rimane. Un po’ come Diogene di Sinope, i miei romanzi sono la lanterna con cui “cerco l’uomo”.
Nei suoi romanzi più noti c’è un protagonista seriale, quello dell’investigatore, il capitano De Nittis, della Guardia di Finanza, che opera nella città di Ferrara. Che caratteristiche ha questo personaggio così originale?
Convengo che immaginare un capitano della Finanza protagonista di un giallo potrebbe sembrare un’operazione pericolosa. E in effetti non mi risulta che ci siano precedenti nella letteratura “noir”. Ma Gaetano De Nittis, oltre ad essere un finanziere molto sui generis per carattere e modo di operare, si occupa, nelle sue indagini, di temi che non riguardano affatto la materia fiscale, come, ad esempio, il traffico di opere d’arte, le truffe nel mondo dello spettacolo o la lotta alle centrali di spaccio. Ho voluto anche ridare a questo Corpo un po’ “bistrattato” la giusta dignità di forza di polizia a 360 gradi e non solo di verificatori tributari. E rendere i finanzieri umani e simpatici, come in effetti spesso sono, al di là dei luoghi comuni. Tornando a De Nittis, è un ufficiale un po’ fuori dagli schemi: indisciplinato, anarcoide, ottimo chitarrista blues, ha una grande dote, oltre all’intuito: l’umanità: non è mai giudicante, neanche con i criminali più efferati, perché sa che la linea che divide la luce dall’ombra, il bene dal male, è molto sottile e, spesso, è per un caso fortuito che ciascuno di noi si trova da una parte o dall’altra della barricata. Nei miei romanzi, in effetti, la trama del “giallo”, la risoluzione del caso, sono un pretesto per raccontare anche altre cose. La provincia italiana, alcuni meccanismi all’interno di clan “chiusi”, tipici delle piccole città, la grettezza e l’avidità di certe figure all’apice della scala sociale, le invidie, la maldicenza, ma anche i fenomeni di trasformazione dei centri urbani e, di conseguenza, delle sub-culture locali. Ferrara è, appunto, l’emblema della piccola città di provincia, con le sue contraddizioni e trasformazioni. E’ il paradigma dell’Italia, in un certo senso. Ed è la città che conosco meglio. E’ importante proprio per questo. Per il suo significato simbolico. Ritengo poi molto positivo che ci sia un ritorno alla valorizzazione della cultura italiana, locale e nazionale, anche attraverso il romanzo “di genere” come il giallo. E’ un modo per confermare e consolidare la nostra identità in un periodo di globalizzazione ed è un’occasione per ribadire una creatività “trasversale” che passa dalla storia, all’arte, all’enogastronomia e a tante altre eccellenze. Una promozione alla cultura italiana che all’estero trova ancora molti estimatori.
Una riflessione finale, secondo Lei Arte e Scienza sono due mondi in antitesi o due figli della stessa madre?
Avendo una visione olistica del mondo, credo che Scienza e Arte siano due aspetti dell’Unità Universale. Ciò che le differenzia è il mezzo di indagine. La prima investiga con la mente, la seconda col cuore e l’anima. Ma entrambe tendono a un unico risultato: curare l’uomo e farlo progredire. Gandhi diceva che “L’uomo si distrugge con la politica senza principi, col piacere senza la coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la conoscenza senza carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la fede senza sacrifici.” Io aggiungerei che si distrugge anche con l’Arte senza anima. Quindi, Scienza con Umanità e Arte con Anima sono due facce della stessa moneta, coniata per la salvezza dell’Uomo.



