Italiani nel Mondo
Vita italiana / australiana – Italian / Australian Life
Vita Italiana / Australiana
Incoraggiamo lettori da tutto il mondo a inviare le proprie storie perché, benché i temi siano uguali, le esperienze individuali sono uniche e vogliamo conoscerne il più possibile a da più paesi possibile per fornire un ritratto veritiero dell’Emigrazione italiana.
di Gianni Pezzano
Fin troppo spesso abbiamo il vizio di trattare l’emigrazione in base a statistiche fredde che nascondono una verità profonda. Però la storia di oggi ci fa ricordare che, come tutti i passaggi della Storia, la migrazione è composta da famiglie e individui con i propri sogni, timori, dubbi e certezze
La storia inizia come il racconto di una famiglia per diventare la storia della scrittrice che ci fa vedere benissimo cosa vuol dire per figli di immigrati crescere nel nuovo pase di residenza.
Non ha bisogno di un’introduzione lunga perché i temi si vedono subito e sono importanti. Ma mentre leggiamo le esperienze che lei ci racconta ricordiamoci che non si limitano all’Australia degli anni 50 e 60, ma a tutti i migranti in tutti i paesi di residenza, senza eccezioni…
Incoraggiamo lettori da tutto il mondo a inviare le proprie storie perché, benché i temi siano uguali, le esperienze individuali sono uniche e vogliamo conoscerne il più possibile a da più paesi possibile per fornire un ritratto veritiero dell’Emigrazione italiana.
Vita Italiana/Australiana
di Anita Hayes, Australia
Sono nata da una bella madre italiana e mio padre nel 1962. I miei genitori sono emigrati in Australia dopo la seconda guerra mondiale per iniziare una vita nuova. Hanno deciso di andare in questo posto che si chiama Australia.
I miei genitori e mia sorella Rosa sono scesi dalla nave al porto di Fremantle e hanno viaggiato fino a Northam dove si sono stabiliti per iniziare la vita nuova. La loro prima casa in Australia era una tenda di fune appese ad alberi e con coperte per pareti dalle altre famiglie che sono arrivate. C’era gente da altre nazioni con loro e tutti erano agli inizi nella terra nuova.
Ricordo come mamma piangeva sul treno da Fremantle a Northam. Il caldo era come nulla che aveva mai provato, il paesaggio e i palazzi… “non c’è niente qui; andiamo nel deserto; ho paura”. Quando penso “se fossi stato io” anch’io avrei paura. Un paese totalmente nuovo con idee, clima e lingua diversi. Dovevo chiedermi della forza e il coraggio di farlo. Tutto quel che conoscevano era ora spazzato via. Immaginate di venire a un paese nuovo e il primo posto per dormire sulla terra ferma è una tenda fatta di coperte.
Dopo il primo alloggio gli immigrati sono stati trasferiti a Holden Camp. Era una caserma dell’esercito e l’utilizzavano per alloggiare gli immigrati. Poi le famiglie sono state integrate nella comunità in case popolari. I miei genitori hanno comprato la loro casa, la nostra casa di famiglia, la nostra “home”. Era a questo punto, quando gli immigrati sono entrati nella comunità che molti problemi sono iniziati.
Fare la spesa era travolgente perché la barriera della lingua era una barriera enorme. Mamma schioccava una gallina per comprare le uova: metteva gli indici alla testa per indicare il manzo o faceva finta di mungere le vacche prima che i negozianti sapessero che voleva dire il latte.
Come sempre c’era gente gentile e gente meno gentile. I miei genitori li hanno conosciuti tutti, come gli altri immigrati. La gente gentile diceva buongiorno e facevano sentire benvenuti i nuovi australiani. C’erano coltivatori che davano lavoro o cibo ai nuovi australiani per i loro servizi. I miei genitori, come gli altri, hanno lavorato sodo per i soldi. Non hanno avuto sostegni e non aspettavano niente per niente, non era a loro modo.
La gente meno gentile era rigida verso i nuovi australiani: rubate i nostri lavori; guardate come vi vestite; hanno un odore strano; perché non parlate in inglese; ridevano apertamente perché non capivano; e ci evitavano.
Erano abusati verbalmente sia gli adulti che i bambini. La mia sorella maggiore Rosa, che era nata all’estero, è diventata anche bersaglio di alcuni ragazzi del paese. Una famiglia aveva 10 bambini e seguivano mia sorella con bastoni, le tiravano oggetti, la chiamavano “crucca sporca” e molti altri nomi. Rosa aveva paura.
La scuola era spaventosa per mia sorella ma aiutava con la barriera della lingua perché Rosa tornava a casa da scuola e condivideva la conoscenza della lingua inglese. I miei genitori ascoltavano la radio inglese per imparare l’inglese. Sapevano che dovevano imparare l’inglese perché ci si erano trasferiti ed era il loro dovere imparare la via del paese. Tristemente molte famiglie immigrate, la nostra ne era una, non parlavano la nostra lingua in pubblico dove, se fossimo stati sentiti dagli australiani, saremmo stato presi in giro e abusati. Molti figli di famiglie immigrate non hanno imparato le lingue dei paesi di origine, un diritto negato. Ed è qui dove entra la mia storia.
Ci sono sedici anni di differenza tra la mia sorella maggiore ed io. Ho un’altra sorella che ha otto anni più di me e un fratello che ne ha sei più di me. Le nostre età sono ben sparse. Sono nata a Northam da genitori italiani. Benché fossi nata qui non mi ci sono mai appartenuta. Non so perché era così forte nel mio cuore. Non avevo mai conosciuto un altro paese… Sono nata qui.
Mi sono sempre sentita molto diversa degli altri ragazzi di questa terra. Diversa per come socializzavo, vestivo, mangiavo, giocavo e anche come parlavo. Ho faticato nelle elementari perché i ragazzi sembravano già formati in gruppi di amici e non riuscivo a capire allora come mai sembravano già di conoscerci. Sentivo un legame con gli altri ragazzi immigrati che conoscevo a scuola. La maggior parte era più di qualche anno giovane di me ma sembravano “capirmi”, come io loro.
Negli anni ’70 e il fatto che fossi nata in questo paesino, in questo paese, ero ancora timbrata come “wog”. Alle scuole superiori l’unica volta che sentivi quella frase era da altri ragazzi immigrati stufi di sentirla e si rivendicavano apertamente. Non mi importava cosa dicevano. Se solo potessero vedere i baffi che disegnavo sui loro volti nella mia mente.
L’isolamento era un ostacolo per la nostra famiglia perché nostro padre era un uomo violento e per di più non ci lasciava uscire . Andavamo in chiesa e aiutavamo a portare la spesa a casa e qualche altra occasione. All’epoca le cose ci andavano contro nella vita domestica, nella comunità e a scuola. Potevamo giocare con i ragazzi della zona ed è stato allora cha abbiamo imparato quanto fosse diversa la nostra vita domestica. Quella gente aveva altri cibi, particolarmente quella cosa chiamata “mashed potato” (puré di patate)! I ragazzi più simpatici con cui giocare erano i ragazzi aborigeni e quelli delle tenute. Loro non giudicavano. Era allora che ho avuto il forte impulso di visitare Italia. Perché?
È tipica la storia che senti dei ragazzi “wog” che portavano il pranzo avvolto in carta di giornale. Non era un mito ma la verità. Una volta ho cercato di difendermi dal perché il mio pranzo era avvolto nella carta di giornale ma il ridacchiare e il puntare il dito era troppo per la ragazzina “wog” da prendere e allora non ho detto più niente. Allora, come può un pranzo avvolto in carta di giornale essere paragonato ai delicati sandwich avvolti in carta oleata?
Quindi agli anni 90 non mi sentivo ancora di appartenere a nessuna parte. Da adolescente volevo che la mia gonna di scuola avesse la stessa lunghezza della altre ragazze. Ogni volta che alzavo la gonna di scuola mia madre, altrettanto velocemente…la abbassava sotto le ginocchia. Questo era il motivo dell’imbarazzo che soffrivo a scuola dalle ragazze australiane che ridevano alla mia gonna lunga. Mentre crescevo in adolescenza le mie amiche mi portavano il trucco e nuotavo ancora in quell’impulso travolgente di vedere l’ Italia. Non mi lasciava mai.
Mentre la mia vita continua, ho un matrimonio forte, figli belli ma qualcosa è ancora “perso” dentro di me. Nel 2013 mio marito ci ha portarti in Italia. Inizia il mio viaggio in cerca dell’anima.
Quando l’aereo è atterrato ho avuto un senso di pace che non potevo capire ma era bellissimo. Mentre andavamo in macchina potevo vedere il Colosseo. Già volevo piangere, le corde del mio cuore sono state tirate strette. Alle 21 voglio piangere davvero.
Il nostro viaggio ci ha portati in tutta l’Italia e un pezzo della mia anima è rimasta in ogni luogo. Mi sentivo davvero a casa, sono destinata a vedere Italia, sono destinata a essere qui. Salendo di nuovo sull’aereo per partire era possibilmente uno dei peggiori tempi della mia vita. Non voglio tornare in Australia. Non costringetemi.
Gli anni seguenti mi hanno vista confusa, incerta e di nuovo persa. Cosa mi succedeva? I miei pensieri quotidiani mi riversavano nei ricordi d’Italia memorizzati con amore nella mia mente.
Un incontro a caso con una mia nipote è stata la chiave per sbloccare la mia sensazione d’essere persa. “Cara Lisa, non mi ricordo esattamente dove abitava la mamma, sento terribile…”. “Oh,” ha detto Lisa, “nana era nata in Sud Tirolo e abitava in un posto che si chiama Pieve di livinallongo”. Sono tornata a casa e l’ho cercata in una mappa. Quando ho visto dove si trovava nel mondo…ho saputo. Ho saputo perché mi sentivo così per tutti questi anni. Si…è in Italia.
Da quando ho saputo questo mi sono calmata e la mia anima è guarita. La mia “home”, il mio cortile, le mie foto, tutto mi ha aiutato vivere come un italiana. La mia piccola famiglia qui in Australia e allora ho le corde del cuore che mi tengono qui perché questa è la loro terra natale. Mi sento derubata perché non ho mai avuto una famiglia allargata, non ho mai sentito l’amore dei nonni, le zie, gli zii e cugini.
Riguardo gli immigrati che entrano in altri paesi i miei pensieri son questi: Accolgo chiunque viene in Australia o ovunque ma venite con l’aspettativa che abbraccerete la cultura che c’è in quel paese.
Quando i miei genitori sono emigrati non hanno avuto o volute elemosina; non hanno preteso cose; hanno lavorato sodo per qualunque cosa che avessero ricevuto. Credo che questo sia una grande ragione perché oggigiorno la gente è contraria agli immigrati. Sento che la gente che fugge dai loro paesi devastati da guerra e la paura per le proprie vite.
Ciao, Anita.
Inviate le vostre storie a: gianni.pezzano@thedailycases.com
Italian / Australian Life
We encourage our readers around the world to send in their own stories because, even though the themes are the same, the individual experiences are unique and we want to know them as much as possible as from as many countries as possible in order to supply a true portrait of Italian migration.
by Gianni Pezzano
All too often we have the bad habit of dealing with migration in terms of cold statistics that conceal a deep truth. However, today’ story of Italian migration reminds us that, as in all phases of history, migration is made up of families and individuals with their own dreams, fears, doubts and certainties.
The story begins as the tale of a family that then becomes the writer’s story what makes us see very well what it means for the children of migrants growing up in a new country of residence.
It does not need a long introduction because we see soon the themes and they are important. But as we read the experiences she tells us let us remember they are not limited to Australia of the 1950s and 60s but to all migrants in all the countries of residence, without exceptions…
We encourage our readers around the world to send in their own stories because, even though the themes are the same, the individual experiences are unique and we want to know them as much as possible as from as many countries as possible in order to supply a true portrait of Italian migration.
Send your stories to gianni.pezzano@thedailycases.com
Italian / Australian Life
by Anita Hayes, Australia
I was born to a beautiful Italian mother and my father in 1962. My parents migrated to Australia after World War II to start a new life. They decided to go to this place called Australia.
My parents and sister Rosa got off the ship at Fremantle harbour and travelled through to Northam where they settled to start their new life. Their first home in Australia was a tent made from ropes strung from trees and blankets as their dividing walls from other families who had also arrived. There were many nationalities with them and they were all starting out in this new land.
I remember my Mum saying how she cried on the train from Fremantle to Northam. The heat was like nothing she had ever experienced, the landscape and buildings….”there is nothing here; are we going out to the desert; I am frightened”. When I think to myself ‘if that was me’, I would be pretty scared too. A whole new country with different ideas, weather, and language. I had to wonder about the strength and courage to do that. Everything they knew was now wiped out. Imagine coming to another country and the first place you sleep, on land, is a tent made from blankets?
After the initial housing, the migrants moved to Holden Camp. This was an army barrack in Northam and it was used to house the migrants. Families were then integrated in the community into Commission housing. My parents bought their own home, our family home. When the migrants started to enter the community, this is when many difficulties started.
To go shopping was overwhelming, as the language barrier was a huge hurdle. Mum made clucking noises of a chicken to buy eggs; put her index fingers to her head to indicate beef, or pretend to milk the udders from cows before shop owners knew that she meant milk.
As always, there are kind people and not so kind people. My parents met them all, as did the other migrants. The kind people would say hello and make the new Australian’s feel welcome. There were farmers who gave the new Australians work or food for their services. My parents, as did others, worked hard for their money. They didn’t get handouts or expect anything for free, this was not their way.
The not so kind people were harsh towards the new Australians: you’re stealing our jobs; look at the way they are dressed; they smell funny; why don’t you speak English; laughing outwardly because they did not understand; and shunning.
The verbal abuse happened to the adults as well as the children. My oldest sister Rosa, who was born overseas, also became a target for some of the town kids. One family had 10 children in them and used to chase my sister with sticks, throwing things at her, calling her a “filthy kraut”, and many other names. Rosa was scared.
School was frightening for my sister but it helped with the language barrier, as Rosa would come home from school and share her knowledge of the English language. My parents would listen to the radio to help learn English. They knew they needed to learn English because they moved here and it was their duty to learn the way of this country. Sadly many of the migrant families, ours being one of them, would not speak their language especially out in public, where, if heard by the Australian’s, they would be mocked or abused. Many of the children from the migrant families did not learn their respective homeland language, a right denied. This is where my story enters.
My oldest sister and I are 16 years apart. I have another sister 8 years older than me and also 1 brother, 6 years older than me. Our ages are pretty well spread. I was born in Northam to migrant parents. Though I was born here, I have never belonged. I do not know why that was so strong in my heart. I had not known another country…I was born here.
I always felt different to other children in this land I was born in. Different in the way I socialised, dressed, ate, played and even how I spoke. I struggled through primary school because kids already seemed paired up in friend groups and I could never understand at the time how it was they already seemed to know each other. I did feel a connection to the other migrant kids that I would meet at school. Most were younger than me by a few years but they silently seemed to ‘get’ me, as I did them.
By the 70’s and the fact that I had been born in this town, in this country, I was still labelled as a “wog”. In high school the only time you heard that reference was from the migrant children who were sick of hearing it and they were openly retaliating. I had determined that I would not let name calling get to me. I do not care what they say. If only they could see the moustache I had visually drawn on their faces with my mind.
Isolation was a hurdle for our family as our Father was a violent man and would mostly not let us go out socially. We attended church and helped carry the shopping home and a few other occasions. So things were stacked up for us in our home life, community life and school life. We could play with the kids in the neighbourhood and this is when we learned how different our home life was. These people had very different foods, especially this stuff called…mashed potato!! The nicest kids to play with were the aboriginal kids and the kids from the farms. No judgement from them. It was at these times that I had the powerful urge to visit Italy. Why?
Typical the story you hear of how “wog” kids brought lunch to school wrapped in newspaper. It was not a myth, but a truth. I once tried to defend myself about why my lunch was wrapped in newspaper but the sniggering and pointing was all too much for this little “wog” kid to take, so I said no more. Anyway, how can a lunch wrapped in newspaper possibly compare to the delicate sandwiches wrapped in the wax paper?
So by the 90’s I still don’t feel as if I belong anywhere. As a teenager I wanted my school skirt to look the same length as other kids. Every time I took up the hem on my school skirt, my Mother, just as quickly…took it down to passed my knees. So the embarrassment I suffered at school from the Australian girls laughing at my long skirt. As I grew into a teenager, my friends would be talking about makeup and I was still swimming in this overpowering urge to see Italy. It would never leave me.
As my life goes on, I have a solid marriage, beautiful children but still something was ‘lost’ inside me. In 2013 my husband took us to Italy. My soul searching journey begins.
When that plane touched down, I had a sense of peace that I could not understand but it was beautiful. As we drove I could see the Coliseum. Already I want to cry, my heart strings have been pulled tight. It is 9pm, I want to really cry.
Our trip took us throughout Italy and a piece of my soul stayed in each place. I truly felt at home, I am meant to see Italy; I am meant to be here. I had to hold myself from bursting into tears, just out of sheer happiness. Getting back into the plane to leave was possibly one of the worst times in my life. I do not want to return to Australia. Don’t make me.
The next few years saw me confused, unsettled, and once again lost. What was going on? My daily thoughts spill over with memories of Italy stored lovingly in my mind.
A chance meeting with my niece was the key to unlocking my lost feeling. “Dear Lisa, I cannot remember exactly where my mum lived, I feel terrible”. “Oh,” says Lisa…”nana was born in South Tyrol and lived in a place called Pieve di livinallongo”. I went home and looked it up on a map. When I saw where it was in the world….I knew. I knew why I had felt this way all these years. Yes…it is in Italy.
Since finding this out, I have now settled down and my soul is healed. My home, my yard, my photos, they all help me live as an Italian. My little family is settled here in Australia, so now I have the tugging heartstrings that hold me here as this is their home land. I do feel ripped off because I have never had an extended family, never experienced the love from Grandparents, Aunts, Uncles or cousins.
In regards to migrants coming into countries, my thoughts are this: I welcome anyone coming to Australia or wherever but come with the expectation that you will embrace the culture that is in that country.
When our parents migrated they did not get or want a handout; they did not demand things ; they worked very hard for whatever they received. I believe this is a big reason why perhaps these days people are against immigrants. I feel for the people fleeing their countries that are ravished by war and the fear for their own lives.
Ciao, Anita.
Send your stories to: gianni.pezzano@thedailycases.com