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Violenza e criminalità diffuse rendono sempre più difficile la vita in Venezuela, dove si registrano 30mila omicidi e 400 sequestri di persona all’anno

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Il cibo reperibile solo al mercato nero con prezzi aumentati del 3.000 % e la mancanza di medicinali provoca la morte di una trentina di minori al giorno. Ma il Presidente Maduro insiste a governare col pugno di ferro una società in crisi e ai limiti della sopravvivenza.

 

di Luca Rinaldi

 

Caracas è stata confermata nel 2017 come la città più pericolosa del mondo. Nell’ultimo anno, un quinto dei 30.000 omicidi commessi in Venezuela, sono avvenuti nella capitale. La criminalità dilagante nel Paese è ormai un problema irreversibile e fuori controllo, tanto che l’altrettanto imponente fenomeno dei sequestri di persona a scopo di riscatto è considerato come un fatto normale dai venezuelani, i quali vengono educati fin da bambini a come comportarsi in caso di rapimento. Sì, perché il dubbio laggiù non è se si verrà rapiti, ma quando.

 

Stime non ufficiali contano 400 denunce di sequestri all’anno a fronte di 16.000 casi totali: la maggior parte dei rapimenti non viene segnalata all’autorità per la diffidenza dei cittadini nei confronti delle forze dell’ordine, sotto organico e mal pagate per mancanza di denaro, ma soprattutto esposte alla corruzione da parte degli stessi criminali operanti nel racket dei sequestri.

 

È la sicurezza, dunque, il problema più grande dello Stato? Si potrebbe pensare che sia così, ma violenze e criminalità non sono che la punta di un iceberg che affiora appena dalle cronache locali e internazionali, a conferma del triste primato della capitale Caracas. La parte sommersa dell’iceberg è formata dalla globalità della crisi venezuelana, dai diversi strati di decadenza che coinvolgono l’intera società, alcuni dei quali più in evidenza, altri ben nascosti e quasi invisibili al resto del mondo.

 

Una situazione critica, venutasi a creare nel corso degli ultimi tre anni sotto la presidenza di Nicolas Maduro, già in carica dal 2013 ed erede politico dell’ex presidente Hugo Chavez. Tre anni di manifestazioni e proteste da parte dell’opposizione di destra contro quella democrazia di facciata, instaurata da Maduro per camuffare qualcosa di molto simile ad una dittatura. Una crisi inaspritasi ulteriormente nel 2017, quando la Corte Suprema, legata a doppio filo con le forze governative, ha stabilito “formalmente” che ogni proposta di legge contraria all’azione politica del presidente, fosse da considerarsi illegittima, svuotando così definitivamente la presunta democrazia di ogni suo contenuto reale e legale e causando una nuova sollevazione di protesta.

 

Dalla crisi politica tutt’ora in atto, è derivata poi ovviamente la crisi economica, che ha dato il colpo di grazia ad un Venezuela già provato dalle pesanti sanzioni finanziarie impostegli dalla comunità internazionale. Nel 2013, ai tempi dell’elezione di Maduro, servivano 25 Bolivar Venezuelani per acquistare un Dollaro Americano, mentre oggi, a causa dell’inflazione galoppante che è arrivata al 3.000%, ne servono quasi 8.000, con un salario minimo crollato a 31 dollari al mese e una nazione in default che ha evitato la bancarotta solo grazie agli interventi interessati di Russia e Cina. Attualmente l’intera economia del Venezuela è gestita secondo i criteri e i metodi utilizzati dai cartelli nel mercato della droga, con pochi gruppi privati filo-governativi che acquistano beni di consumo all’estero per rivenderli  a prezzi astronomici in patria, approfittando dell’espansione del mercato nero causata dall’inflazione e riempiendosi le tasche a discapito della popolazione.

 

Anche la creazione, il febbraio scorso, del Petro, la prima criptovaluta di Stato, garantita in questo caso dal petrolio che da sempre costituisce il pilastro dell’economia venezuelana, non sembra poter risolvere gli attuali problemi economici del Paese. Questo perché il conio previsto di 100 milioni di Petro, ciascuno garantito da un barile di petrolio, per un valore complessivo dell’operazione di circa 6 miliardi di dollari, non riuscirebbe in ogni caso a coprire gli oltre 60 miliardi che servirebbero per salvare il Venezuela. Tanto più che gli economisti internazionali dubitano ci sia una effettiva e reale copertura di greggio a garanzia dell’emissione del Petro, in quanto si tratta di petrolio non ancora estratto e di pozzi non più nella completa disponibilità di Caracas in quanto di proprietà di privati. Se a ciò aggiungiamo la dichiarazione del Tesoro americano che considererà qualsiasi acquisto di Petro come una violazione delle sanzioni imposte al Venezuela, si può ben capire come anche questa iniziativa di Maduro non porterà a una reale ripresa del Paese.

 

Nel frattempo alla crisi economica si è aggiunta la crisi umanitaria: l’80 % della popolazione è scesa sotto la soglia di povertà, con il 48 % dei bambini che soffre di malnutrizione. Ogni giorni si stima muoiano 31 bambini a causa di banali infezioni, normalmente curabili con semplici antibiotici, i quali però scarseggiano in Venezuela a causa della tragica carenza di medicinali e dello stato di abbandono delle strutture ospedaliere. Gli elevati livelli di inflazione non permettono alle famiglie di poter comprare cibo e generi di prima necessità, azzerando facilmente anche gli effetti dell’innalzamento dei salari minimi proposto dal Governo e pensato, ancora una volta inutilmente, per aumentare il potere d’acquisto della popolazione.

 

Le conseguenze della fame, dell’instabilità economica e politica e della violenza sempre più diffusa sul territorio venezuelano, stanno spingendo così migliaia di persone a migrare nei Paesi vicini, Colombia in primis, tanto che, dall’inizio della crisi, si stima siano in circa 600.000 ad aver già varcato il confine.

 

La persistente negazione di questo stato di emergenza umanitaria da parte del Governo di Caracas e il blocco, voluto sempre da questi, degli aiuti umanitari alle frontiere, non permette alla comunità internazionale di intervenire in maniera adeguata nell’aiutare la popolazione civile.

Un comportamento, quello di Maduro, che non stupisce, considerato che, ammettere pubblicamente le difficoltà interne del Paese, rappresenterebbe una sconfitta agli occhi del mondo e, si sa, un dittatore, anche contro ogni evidenza, deve apparire sempre infallibile.

 

Le elezioni del nuovo presidente, che si terranno il prossimo 22 maggio, è probabile che poco potranno cambiare nella compagine politica al governo di Caracas, in quanto la gran parte dell’opposizione ha deciso di protestare boicottando le elezioni, lasciando in definitiva una sola persona, Henri Falcòn, ex governatore dello stato di Lara, a presentarsi ufficialmente come candidato alternativo a Maduro, potendo contare solo sulla tenue speranza che i milioni di venezuelani esiliati si registrino per votare dall’estero e che l’ONU riesca ad inviare i propri osservatori in Venezuela a garanzia della bontà del voto.

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