Arte & Cultura
Vibo Valentia Capitale Italiana del Libro, una storia da vivere! L’archeologia che svela la storia del territorio

“Zungri. Archeologia di un villaggio rupestre medievale nel territorio di Vibo Valentia”, questo è il titolo del libro di Santino Alessandro Cugno e Rosalba Piserà. Una coraggiosa analisi scientifica che porta alla luce un villaggio rupestre dalle caratteristiche stupefacenti.
Focus sull’archeologia nello scorso appuntamento, il settimo, della rassegna letteraria “Un libro al mese. Visti da vicino” che nella sua ottava edizione vede la cooperazione dell’associazione no profit L’Isola che non c’è e dell’associazione romana Ipathia. Inserita nel programma di Vibo Capitale rappresenta l’evento letterario, in collaborazione con l’amministrazione comunale, che abbraccia tutto il periodo della nomina. Ad introdurre la serata Concetta Silvia Patrizia Marzano, presidente dell’associazione no profit L’isola che non c’è, ed a porgere i saluti dell’amministrazione comunale l’assessore alla cultura Daniela Rotino.
L’importante evento è stato condotto impeccabilmente dal giornalista Tonino Fortuna, direttore del quotidiano Zoom24, che ha presentato i due archeologi autori del libro, Santino Alessandro Cugno e Rosalba Piserà, e l’ospite d’onore della serata, il Segretario Regionale del MiC, Salvatore Patamia.
Una presentazione che ha visto tra il pubblico Maria Teresa Iannelli, già direttore del Museo Archeologico di Vibo Valentia, che del volume ha curato la prefazione.
Un pubblico attento, ricco di ricercatori ma anche di semplici curiosi, poiché la lettura del sito che presentano i due autori discosta dalle teorie originarie che vedevano il luogo come abitato da monaci e destinato alla preghiera.
L’analisi strutturale, eseguita su 28 unità rupestri, come è stato ampiamente e documentatamente evidenziato, ha indagato edifici che per architettura hanno rivelato un abitato laico in cui la popolazione era dedita all’agricoltura, alla pastorizia e alla conservazione e lavorazione dei prodotti inerenti. Giganteschi silos che sembrano rimandare all’età bizantina o addirittura ad una cronologia più antica e strutture per il ricovero del bestiame, o specifiche per le lavorazioni, quali la concia delle pelli, la frollatura del lino o della canapa, la lavorazione della fibra di ginestra, la tintura della lana.
Un territorio molto esteso, circa 3000 metri quadri, che andrebbe ancora indagato, con strumentazione che possa consentire analisi maggiormente approfondite poiché il continuo reimpiego nel corso del tempo e la pulitura costante dei piani di calpestio, hanno alterato profondamente la fisionomia originaria e distrutto i depositi stratigrafici più antichi.
Ulteriore attenzione e conseguente studio è stato riservato all’articolato impianto di sfruttamento delle risorse idriche, costituito da vasche a cielo aperto e canalette connesse tra di loro, tipiche di un uso comune alla vita quotidiana dell’insediamento ma anche alle sue attività produttive, per le quali era necessaria una elevata disponibilità d’acqua.
La presentazione è stata supportata da numeroso materiale fotografico e rilievi che hanno consentito al pubblico presente una visione dei luoghi oggetti di ricerca e studio.
L’intervento del Segretario Regionale ha concluso la presentazione. Molteplici interventi e domande hanno reso la presentazione dinamica e appassionante.