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Verità nascoste nell’omicidio del giudice Falcone venute a galla grazie al recupero del contenuto di due agende elettroniche del giudice che erano state cancellate

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I dettagli delle ricerche del giornalista Edoardo Montolli  nel libro “I DIARI DI FALCONE” fanno intravedere cupi scenari sull’Italia. In esclusiva per Daily Cases Montolli anticipa le scoperte emerse dalle due agende.

di  Romolo Amicarella

Edoardo Montolli è un amico, prima che collega, con il quale ho frequentazioni da oltre 20 anni: è stato sempre un giornalista appassionato di cronaca, riuscendo a pubblicare  diversi scoop. Collaboratore fisso del settimanele OGGI, ha scritto diversi gialli (Il grande abbaglio, Il Boia, Il coraggio del coniglio) ed ha seguito il giallo di Erba, sul quale ha scritto  “L’enigma di Erba” (RCS Periodici) in cui va controcorrente  ritenendo innocenti Olindo e la moglie. Lo incontriamo alle porte di Milano dove abita.

Edo hai sempre avuto la passione delle inchieste e della cronaca. Ora con questo tuo ultimo lbro  “I DIARI DI FALCONE.Le verità nascoste nelle agende elettroniche del giudice” edito da Chiarelettere hai riproposto dubbi e interrogativi sulla tragica fine di Falcone e Borsellino. Cosa hai rinvenuto negli appunti dell’agenda di Falcone?

“Ci sono diversi aspetti. Chiariamo anzitutto che si trattava di due agende elettroniche, una Casio ed una Sharp, in voga agli inizi degli anni ’90, dove si prendeva nota di memo, numeri di telefono e impegni, ciò che ora facciamo comunemente sui nostri smartphone. Il primo aspetto singolare che mi ha colpito studiando le consulenze sulle agende, in cui era riportato il loro contenuto, è che il 23 maggio 1992 le cose non possono essere andate come le hanno raccontate i pentiti. Partiamo dal fatto che il commando, contrariamente a quanto si pensa e a quanto si sarebbe aspettato lo stesso Falcone, non era composto da boss di primo rango, ma da mafiosi di secondo e terzo piano, molti dei quali non si erano mai nemmeno visti prima. Ciononostante sono riusciti a realizzare una strage, tra mille coincidenze, che Cosa Nostra non aveva mai fatto prima e non ripeterà più, facendo saltare un’autostrada. Di fatto tutti i pentiti hanno raccontato che sapevano che il giudice sarebbe arrivato a Palermo di sabato perché negli ultimi quindici giorni avevano pedinato l’autista che andava a prenderlo all’aeroporto, scoprendo così il suo solito giorno d’arrivo. Invece, confrontando tutti i viaggi di Falcone di cui si parlò in aula con le agende elettroniche, si scopre che negli ultimi due mesi il giudice non era mai sceso di sabato a Palermo. Dunque perché i corleonesi lo aspettavano sulla collinetta di Capaci sabato 23 maggio? Chi li aveva avvertiti? E perché raccontano tutti questa versione? Le due agende risultano poi misteriosamente vuote nel mese di marzo, proprio quando in Italia era stato lanciato l’allarme su possibili attentati tra marzo e luglio tesi a destabilizzare il Paese, attentati puntualmente avvenuti con la morte di Salvo Lima il 12 marzo, con la strage di Capaci il 23 maggio e con quella di via D’Amelio il 19 luglio. Dove sono finiti i suoi impegni e le sue note? E molte altre cose ci sono da dire sull’incontro segreto tra Falcone e il mafioso Gaspare Mutolo nel carcere di Spoleto. “

Come è stato recuperato il contenuto cancellato dall’agenda, in cosa consiste e chi potrebbe aver avuto interesse a far sparire ciò che vi era scritto?

“Chi avesse interesse a cancellare l’agenda di Falcone non lo so, di certo non Cosa Nostra. Io mi limito a riportare quanto affermarono nelle loro relazioni e in aula i consulenti della Procura di Caltanissetta Gioacchino Genchi e Luciano Petrini. E cioè che una delle agende, la più vecchia, una Casio, era stata completamente cancellata dopo la morte del giudice e in maniera non accidentale. I due, contattando i tecnici giapponesi, riuscirono a recuperarne il contenuto andando a Milano, tra i mille ostacoli frapposti di cui scrivo nel libro. È poi certo che sparì per sempre la memoria esterna della Casio, dove Falcone riversava i suoi appunti.”

Secondo te se questi appunti di Falcone fossero stati resi noti avrebbero evitato la strage in cui morì Borsellino?

“Si trattava di date, note e impegni su cui solo a posteriori si può ragionare, ma da cui si può tentare di intuire a cosa stesse lavorando il giudice. E certamente Borsellino ne sapeva qualcosa, perché nel libro riporto come proprio a lui dovessero affidare l’inchiesta sulla strage su cui pare già svolgesse indagini, almeno stando ad un documento riservato dell’ambasciata americana confermato dall’agenda grigia di Borsellino. Invece, in 57 giorni, la Procura di Caltanissetta non ebbe nemmeno il tempo di sentirlo come testimone. Ma ciò che emerge in maniera inquietante nel confronto tra i databank di Falcone e l’agenda grigia di Paolo Borsellino (l’unica che sia stata ritrovata) è che per ben due volte il commando avrebbe potuto ucciderli insieme a Capaci. E solo la decisione di Falcone di cambiare all’ultimo la data di partenza impedì che ciò avvenisse. Verrebbe quasi da pensare che dovessero ucciderli insieme: e cioè che il piano di ammazzare entrambi fosse precedente alla strage del 23 maggio.”

 

Nel tuo libro parli di un viaggio di Falcone a Washington per incontrare Tommaso Buscetta dal 28 aprile al 1 maggio del 1992, poco prima della strage di Capaci: come mai nessuno parla di questo misterioso viaggio, anzi tutti negano che sia avvenuto?

“In realtà se n’è parlato moltissimo all’epoca. Il problema è che nessuno, ventisei anni più tardi, sa ancora dire dove si trovasse Falcone, l’uomo più controllato d’Italia, per quasi una settimana, senza che i suoi telefoni chiamassero e senza che ricevessero telefonate, perché dalle testimonianze a pubblico dibattimento non è mai emerso. Successe questo: pochi giorni dopo la strage alcuni autorevoli testimoni sostennero che a fine aprile Falcone si fosse diretto a Washington per interrogare Buscetta, in particolare per chiedergli se sapesse qualcosa sul delitto di Salvo Lima, ossia il primo degli attentati previsti dalla “circolare ai prefetti” che metteva in allarme il Paese fino a luglio con l’ipotesi di un piano di destabilizzazione. A questi testimoni si aggiunsero in seguito importanti conferme dagli Usa, a partire dal procuratore Charles Rose. Solo successivamente emerse che proprio nell’agenda Casio ritrovata cancellata era annotato il viaggio a Washington di Falcone. Il viaggio fu tuttavia sempre smentito dal ministero della giustizia, dall’Fbi, dalla magistratura. Lo stesso Rose fece marcia indietro. Eppure nessuno disse pubblicamente dove si trovasse allora il giudice: si fu in grado di stabilire con precisione ogni altro impegno, tranne che in quei giorni. Tanto che se n’è discusso anche al Borsellino Quater. Ma nemmeno lì si è saputo di più.”

Prima di questo libro hai scritto numerosi gialli (Il Boia, La ferocia del coniglio e altri) come ti sei avvicinato alla vicenda della fine di Falcone e Borsellino?

“Nel 1992 davo la maturità. Quell’anno e quelle morti hanno influenzato inevitabilmente la mia generazione e segnano idealmente anche il passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica. Ma stiamo entrando nella Terza e credo che non sappiamo ancora come sia esattamente finita la Prima. Un primo interesse nasce da qui. I primi due libri che hai citato sono thriller. Giornalisticamente mi sono invece spesso dedicato a raccontare storie di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari. Due libri li dedicai ad esempio alla strage di Erba. All’epoca del primo volume, il 2008, quando stava iniziando il processo a Olindo Romano e Rosa Bazzi, io e il collega Felice Manti (mio coautore de “Il grande abbaglio”) fummo attaccati perché ne sostenevamo l’innocenza. Invece se si leggono le carte ci si accorge che niente torna. Non a caso oggi sono in molti ad avere dubbi sulla loro colpevolezza: peccato che i due siano in carcere ormai da oltre undici anni con sentenza definitiva. Alla vicenda Falcone e Borsellino mi sono avvicinato casualmente, proprio mentre seguivo un’altra storia che ritenevo davvero strana e cioè quando scrissi “Il caso Genchi”, nel 2009, in cui mi occupavo della biografia di Gioacchino Genchi, proprio il poliziotto che aveva svolto tanti anni prima l’analisi delle agende di Falcone (l’altro consulente, Luciano Petrini, era stato invece assassinato nel 1996 e il delitto è tuttora irrisolto). Nel 2009, Genchi era finito in una tempesta mediatica senza precedenti per l’inchiesta Why Not, in cui aveva fatto da consulente all’allora pm Luigi De Magistris. Fu addirittura convocato dal Copasir, il Comitato per la sicurezza della Repubblica, e indagato dalla Procura di Roma. Anni più tardi sarebbe stato assolto penalmente in maniera definitiva, ma allora si scrivevano un sacco di frottole nei suoi riguardi. Non capivo perché fosse stata montata una gigantesca campagna d’odio nei suoi confronti totalmente basata su fatti falsi. Il Premier dell’epoca, evidentemente male informato, era arrivato nientemeno che a definirlo “il più grande scandalo della Repubblica”. Si parlava del fatto che avesse intercettato oltre 350mila persone, che avesse un archivio segreto. Non era vero niente, come i fatti avrebbero successivamente dimostrato. Ma fu per questo che decisi di occuparmi del caso, per fare in modo che, in quel marasma, finalmente anche lui desse la sua versione dei fatti. Quando mi disse che voleva raccontare la sua intera vita professionale e mi parlò della consulenza sulle agende di Falcone, mi accorsi che non era la prima volta che si trovava a vivere situazioni estremamente tese. Il libro subì una violentissima campagna stampa. Autorevolissimi esponenti istituzionali ne chiesero il sequestro e fummo sommersi da denunce di un numero considerevole di altrettanti membri delle istituzioni per aver scritto fatti veri, così come ha documentato Ossigeno Informazione, in un dossier in italiano e inglese sulla libertà di stampa in Italia dedicato al libro e che è reperibile online qui: https://notiziario.ossigeno.info/tag/edoardo-montolli/.

Da allora, tuttavia, ebbi in mano i contenuti di quelle agende, depositati nel 1992 ma entrati e usciti troppo rapidamente dai processi. E ho deciso di approfondirne le ricerche, confrontandoli con l’agenda grigia di Borsellino, con altri documenti e con una lunga serie di fatti ed eventi. Ne “I diari di Falcone” che oggi esce per Chiarelettere racconto quale fosse un’ipotesi di lavoro iniziale di Genchi e del suo capo alla squadra mobile palermitana Arnaldo La Barbera sulla matrice della strage: e cioè che dietro l’attentato ci fossero addirittura gli Stati Uniti, che avrebbero voluto impedire l’elezione al Quirinale di Giulio Andreotti e influenzare violentemente la politica italiana, sfruttando sostanzialmente Cosa Nostra. Sorprendentemente mi sono accorto che gli indizi in merito sono tanti. Tutti inspiegabili. E sono proprio questi indizi il nucleo centrale de “I diari di Falcone”.

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