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Uccisi oltre trecento attivisti in Colombia. Uno ogni due giorni

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Lottavano per restituire ai contadini le terre usurpate dall’esercito antigovernativo e dalle bande criminali. Si sospetta la complicità della polizia.

Di Vito Nicola Lacerenza

Negli ultimi due anni in Colombia sono stati giustiziati 311 esponenti di comunità contadine e indigene. Centoventinove solo nel 2018 con una media di un omicidio ogni due giorni. Le vittime sono state giustiziate per aver preteso la restituzione ai contadini dei loro appezzamenti di terra, usurpati più di mezzo secolo fa dall’esercito antigovernativo comunista, noto come “esercito del popolo” o FARC (Forze Armate  Rivoluzionarie della Colombia). Insediatisi nel 1964 nelle regioni dell’Ovest del Paese, “i miliziani rivoluzionari” hanno costretto i contadini e gli indigeni del posto a coltivare cocaina, così da creare una rete di narcotraffico talmente remunerativa da coprire le spesse belliche sostenute dalle truppe della FARC.  Una situazione durata fino al 2017, anno in cui l’ex presidente colombiano Alvaro Uribe ha raggiunto un accordo di pace tra la Colombia e le Forze Armate  Rivoluzionarie.  Tra i punti chiave del trattato era prevista “la restituzione delle terre ai legittimi proprietari e la riconversione delle piantagioni di cocaina in coltivazioni legali”. In altre parole, l’accordo di pace esigeva come condizione fondamentale la distruzione di quel miliardario mercato della droga che per decenni ha arricchito alcuni gerarchi dell’ormai “ex esercito del popolo”, che, non volendo rinunciare ai loro guadagni, hanno dato vita a vari gruppi armati. Bande criminali dedite al narcotraffico o al servizio di ricchi latifondisti, non intenzionati a cedere gran parte dei loro possedimenti ai contadini, che sono stati di volta in volta assassinati. Gli “agricoltori senza terra” vengono regolarmente giustiziati e abbandonati lungo i sentieri polverosi che attraversano le terre di cui, secondo la legge, erano “legittimi proprietari”. Il procuratore generale colombiano Fernando Carrillo, responsabile delle indagini sulla strage dei contadini, ha reso note prove che dimostrano la partecipazione alle esecuzioni di militari e poliziotti corrotti, la maggior parte delle quali avvenute nelle regioni occupate fino all’anno scorso dall’ex esercito rivoluzionario: Cordoba, Antioquia, Chocò, Tolima, Putumayo, Nariño ed altre ancora.

Sono zone dove  la fine di 53 anni di guerra civile ha lasciato alle spalle comunità contadine ridotte in miseria. Molte di loro vengono decimate dalla violenza, altre migrano nelle città perché il progetto di “riconversione delle piantagioni di cocaina” non garantisce agli agricoltori il sostentamento necessario. «Durante la guerra civile eravamo costretti a coltivare cocaina per sopravvivere- ha detto Victor Quiñones, rappresentante della comunità rurale di Tumaco, nella regione colombiana di Nariño- Ora lo Stato ci fa coltivare caffè. Il problema è che ogni volta che, terminata la semina, le piante cominciano a crescere, funzionari del governo arrivano e cospargono i campi di sostanze chimiche per distruggere le piantagioni. Temono che tra le piante di caffè si trovino anche quelle di coca, il che è plausibile perché ci vorrà tempo per eliminarle tutte. Ma non per questo possono distruggere i campi di caffè, costringendoci ad abbandonare le campagne». Gli  abitanti di Tumaco patiscono ogni giorno la fame per la scarsità di cibo, molti muoiono di malattie tropicali trasmesse dalle zanzare oppure di gastroenteriti causate dall’ingestione di acqua non potabile. L’unica disponibile. «L’acqua qui è davvero poca e bisogna fare di tutto per conservarla- ha spiegato Yessica, ragazza 16enne di Tamuco- quando lavo i piatti faccio in modo di non sprecare l’acqua e la raccolgo in un barile. La stessa acqua viene usata per farsi la doccia e per cucinare. È per questo che spesso soffro di gastroenterite».

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