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“Si vis pacem, para bellum” ma la guerra non è mai la soluzione per la pace- “Si vis pacem, para bellum” but war is never the solution for peace

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di emigrazione e di matrimoni

“Si vis pacem, para bellum” ma la guerra non è mai la soluzione per la pace

di Marco Andreozzi

Non so con quali armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma so che la quarta si farà con pietre e bastoni”. (Albert Einstein)

Il 6 e il 9 agosto 2025 segneranno l’ottantesimo anniversario dello sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Due attacchi nucleari che cambiarono per sempre il volto della guerra moderna, costringendo il Giappone alla resa e chiudendo il capitolo più sanguinoso del Novecento: la Seconda Guerra Mondiale. Oggi, il tema del nucleare torna a occupare un posto centrale nel dibattito internazionale, anche alla luce dei conflitti contemporanei e delle tensioni geopolitiche globali. L’aggressività militare espressa dalla Russia in Ucraina e da Israele in Medio Oriente, riporta l’attenzione sulla legittimità dell’uso della forza, sui confini tra difesa e attacco preventivo, e sul ruolo delle grandi potenze nel plasmare le narrazioni dominanti.

Israele, in particolare, ha più volte dichiarato come obiettivo strategico quello di fermare lo sviluppo nucleare iraniano e ha parlato esplicitamente della necessità di un cambiamento di regime a Teheran, a nome – sostiene – delle democrazie occidentali. Tuttavia, al momento non esistono prove certe che l’Iran sia giunto a un livello di arricchimento dell’uranio (dal naturale U-238 al fissile U-235 almeno al 90%) compatibile con la realizzazione di un’arma nucleare. Il processo è tecnicamente complesso, molto lungo, economicamente oneroso e richiede infrastrutture avanzate, anche per la costruzione della bomba atomica stessa. In assenza di evidenze, parlare di un attacco preventivo solleva inevitabilmente il ricordo dell’intervento militare degli USA con Regno Unito, Australia e Polonia in Iraq del 2003, giustificato allora da armi di distruzione di massa mai trovate.

In questo scenario, si impone una riflessione più ampia sul modo in cui le opinioni pubbliche vengono orientate. In Italia e in altri Paesi occidentali, la percezione collettiva del mondo islamico è spesso influenzata da rappresentazioni semplificate o parziali, alimentate dai principali media, dalla cultura popolare e hollywoodiana e persino dalla storiografia. Allo stesso tempo, il ricordo dell’Olocausto tende a rafforzare un’immagine di Israele come vittima perennemente costretta alla difesa, il che contribuisce a sbilanciare la narrazione dei conflitti in cui è coinvolto (la forza del ‘quarto potere’).

È raro, ad esempio, che si sottolinei quanto la politica israeliana sia anch’essa attraversata da dinamiche religiose. Sebbene Israele sia uno Stato laico, la sua identità è fortemente legata all’ebraismo, religione che accomuna circa il 75% della popolazione. Di questi, circa la metà si dichiara laico (Hiloni), mentre il resto si suddivide tra tradizionalisti, ortodossi moderni (Dati) e ultra-ortodossi. Un dato interessante se confrontato con l’Italia, dove è presente il capo del Cattolicesimo e dove solo il 15% della popolazione partecipa regolarmente alla messa domenicale; un terzo del dato italiano in Francia, e il doppio in Polonia, Paese infatti storicamente segnato da una forte presenza dell’antisemitismo (ancor oggi relativamente latente). Teniamo presente che il sionismo sorse alla fine del XIX secolo come risposta laica all’antisemitismo (nota bene, anche i popoli arabi sono semiti), sentimento vivo nell’Europa cristiana del tempo per il fatto che quei nuclei di giudei non convertiti alle Chiese dominanti nel corso dei secoli, conservavano pratiche cultural-religiose diverse. I ghetti non hanno fatto altro che enfatizzare le differenze.

Un esempio della narrativa attuale è la presunta generale felicità del popolo iraniano per i bombardamenti israeliani contro il regime islamico. Visti anche i morti civili, c’è da dubitarne. Un fatto è viceversa l’adesione al trattato di non proliferazione nucleare, in vigore dal 1970, firmato da oltre 190 nazioni, Iran incluso, con solo quattro Paesi dotati della bomba atomica che non vi hanno aderito: Corea del Nord, India, Israele e Pakistan. La memoria storica, così come l’analisi politica, richiedono strumenti critici sempre più affilati. In assenza di fatti certi e dinanzi a scenari così complessi, è essenziale che l’intelligenza collettiva sappia distinguere tra ciò che viene raccontato e ciò che effettivamente accade. Così George Orwell in 1984: “L’obiettivo del terrorismo è il terrorismo. L’obiettivo dell’oppressione è l’oppressione. L’obiettivo della tortura è la tortura. L’obiettivo dell’omicidio è l’omicidio. L’obiettivo del potere è il potere.”

di emigrazione e di matrimoni

“Si vis pacem, para bellum” but war is never the solution for peace

by Marco Andreozzi

I do not know with what weapons World War III will be fought, but I do know that World War IV will be fought with stones and sticks.” (Albert Einstein)

August 6 and 9, 2025 will mark the eightieth anniversary of the dropping of the atomic bombs on Hiroshima and Nagasaki. Two nuclear attacks that forever changed the face of modern warfare, forcing Japan to surrender and closing the bloodiest chapter of the twentieth century: the Second World War. Today, the nuclear issue returns to occupy a central place in the international debate, also in light of contemporary conflicts and global geopolitical tensions. The military aggression expressed by Russia in Ukraine and by Israel in the Middle East brings attention back to the legitimacy of the use of force, the boundaries between defense and preventive attack, and the role of the great powers in shaping the dominant narratives.

Israel, in particular, has repeatedly declared that stopping Iranian nuclear development is a strategic objective and has explicitly spoken of the need for regime change in Tehran, on behalf – it claims – of Western democracies. However, there is currently no clear evidence that Iran has reached a level of uranium enrichment (from natural U-238 to fissile U-235 of at least 90%) compatible with the creation of a nuclear weapon. The process is technically complex, time consuming, economically expensive and requires advanced infrastructure, including for the construction of the atomic bomb itself. In the absence of evidence, talking about a preventive attack inevitably brings to mind the military intervention in Iraq in 2003 by the USA with the United Kingdom, Australia and Poland, which was justified at the time by weapons of mass destruction that were never found.

In this scenario, a broader reflection on the way in which public opinion is oriented is called for. In Italy and other Western countries, the collective perception of the Islamic world is often influenced by simplified or partial representations, fueled by the mainstream media, popular and Hollywood culture and even historiography. At the same time, the memory of the Holocaust tends to reinforce an image of Israel as a victim perpetually forced to defend itself, which contributes to unbalancing the narrative of the conflicts in which it is involved (the power of publishers and producers).

It is rare, for example, to emphasize how Israeli politics is also crossed by religious dynamics. Although Israel is a secular state, its identity is strongly linked to Judaism, a religion shared by about 75% of the population. Of these, about half declare themselves secular (Hiloni), while the rest are divided between traditionalists, modern Orthodox (Dati) and ultra-Orthodox. An interesting figure if compared with Italy, home of the head of Catholicism and where only 15% of the population regularly attends Sunday mass; a third of the Italian figure in France, and double in Poland, a country in fact historically marked by a strong presence of anti-Semitism (still relatively latent today). Let us keep in mind that Zionism arose at the end of the 19th century as a secular response to anti-Semitism (nota bene, the Arab peoples are also Semites), a sentiment alive in Christian Europe of the time due to the fact that those groups of Jews who had not converted to the dominant Churches over the centuries, retained different cultural-religious practices. The ghettos did nothing but emphasize the differences.

An example of the current narrative is the supposed general happiness of the Iranian people for the Israeli bombings against the Islamic regime. Given also the civilian deaths, it is doubtful. A fact is vice versa the adherence to the nuclear non-proliferation treaty, in force since 1970, signed by over 190 nations, including Iran, with only four countries in possession of the atomic bomb that have not adhered: North Korea, India, Israel and Pakistan. Historical memory, like political analysis, requires increasingly sharp critical tools. In the absence of certain facts and faced with such complex scenarios, it is essential that collective intelligence knows how to distinguish between what is reported and what actually happens. As George Orwell wrote in 1984: “The aim of terrorism is terrorism. The aim of oppression is oppression. The aim of torture is torture. The aim of murder is murder. The aim of power is power.”

 

Marco Andreozzi, è Dottore in Ingegneria Meccanica, Economia/Amministrazione (Politecnico di Torino). Tecnologo industriale e specialista del settore energetico, proviene da esperienze professionali in cinque multinazionali in Italia e paesi extra-europei, e come direttore generale da un quarto di secolo; nomade digitale dal 2004 al 2019, e’ sinologo, parla correntemente il mandarino e in Cina e’ stato docente a contratto.

Marco Andreozzi, is a Doctor in Mechanical Engineering, Economics/Administration (Polytechnic of Turin). Industrial technologist and specialist in the energy sector, he comes from professional practices in five corporates in Italy and non-European countries, and as managing director for a quarter of a century; digital nomad from 2004 to 2019, he is a sinologist, speaks fluent Mandarin and was a visiting professor in China.

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