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Attualità

Servizi segreti messicani controllavano i cellulari dei giornalisti che indagavano sulla corruzione

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Al processo del narcotrafficante El Chapo Guzman, un testimone ha confessato di aver versato cento milioni di dollari all’ex presidente messicano Enrico Pena Neta. Quest’ultimo è sospettato di aver organizzato un programma di spionaggio contro chi indagava su di lui.

di Vito Nicola Lacerenza

Alcuni giorni fa, si è svolta a New York l’udienza del processo al narcotrafficante messicano Joaquín Guzmán Loera, detto “El Chapo”. In quell’occasione è stato chiamato a testimoniare un altro trafficante di droga, il colombiano Alex Cifuentes, considerato dall’FBI uno stretto collaboratore di El Chapo. Secondo quanto affermato da Cifuentes in tribunale, è stato lui stesso a far recapitare, per conto di Guzmán Loera, 100 milioni di dollari all’ex presidente del Messico Enrique Peña Nieto, sospettato di essersi servito dei servizi segreti nazionali per perseguitare giornalisti e attivisti per i diritti umani impegnati nella lotta alla corruzione. Ad attirare l’attenzione dei media sull’ex Presidente  Peña Nieto, è stata la decisione del suo governo, nel 2014, di destinare 80 milioni di dollari per l’acquisto di un software utilizzato per condurre attività di spionaggio chiamato Pegasus, un programma speciale che  consente ai servizi segreti di controllare permanentemente i cellulari. In pratica una volta “collegato” Pegaso, il microfono e la videocamera del telefono si attivano senza che il proprietario del cellulare se ne accorga. Da quel momento ogni parola viene registrata dagli agenti che potranno, inoltre, intercettare telefonate e messaggi 24 ore su 24.

Il software Pegasus è stato creato dall’azienda israeliana NSO Group per essere venduto esclusivamente ai governi degli Stati impegnati nella lotta al terrorismo o alle organizzazioni criminali, come i cartelli della droga.  NSO Group, però, ha anche specificato che, una volta che Pegasus è stato venduto, l’azienda non è più in grado di controllare da chi venga  utilizzato, anche perché il software è stato concepito per non essere tracciabile. Praticamente è impossibile risalire all’hacker che ha infettato il telefono. Eppure, la giornalista di inchiesta messicana Carmen Ariste sospetta che, nel 2017, l’ex Presidente Pena Nieto abbia fatto infettare il suo cellulare da Pegasus, dopo che la reporter ha portato alla luce una serie di scandali di corruzione riguardanti l’ex presidente. Lei, come molti suoi colleghi, si è vista arrivare messaggi da finti mittenti. Nel suo caso specifico,  Ariste credeva di aver ricevuto un SMS da parte dell’ambasciata degli USA in Messico, la quale le chiedeva di aggiungere on line alcuni dati necessari per il rinnovo del suo visto americano. Si trattava, in realtà, di un “messaggio trappola” inviato da Pegasus.

Una volta aperto il messaggio, l’apparecchio è stato immediatamente infettato. A dirlo sono stati diversi esperti informatici, tra cui ex agenti dell’intelligence messicana, ai quali la giornalista si è rivolta per una consulenza tecnica. Dimostrare che siano stati i servizi segreti nazionali a collegare illegalmente il suo smartphone è impossibile, così come è impossibile eliminare il sospetto di tale ipotesi. D’altronde, soltanto gli Stati nazionali possono entrare in possesso di Pegasus e l’ex presidente Pena Nieto è stato al centro di numerosi scandali di corruzione.

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