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Roma, il giudice manda a casa il vicino pedofilo

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pedofiliaIncubo per una 13enne abusata per anni:  la Corte d’Appello della Capitale ha revocato il divieto di dimora che pendeva sull’uomo. 

Roma, 22 agosto – Condannato per pedofilia nel 2011 ora torna a vivere accanto alla vittima. E’ la drammatica storia subita da una 13enne che, dopo anni di abusi, è costretta a rivedere tutti i giorni il suo carnefice perchè la Corte d’Appello della Capitale ha revocato il divieto di dimora che pendeva sull’uomo. La vicenda è raccontata dal quotidiano ‘La Repubblica’, di cui di seguito riportiamo l’articolo integrale, a firma di Attilio Bolzoni.
“Lo ‘zio’ Pino è tornato. E sta ancora lì, nella casa sopra quella della bimba che per lungo tempo ha sofferto le sue violenze. In nome della legge, lo “zio” Pino l’hanno riportato sul luogo del delitto. Accanto a lei, la piccola Francesca. È uno dei piccoli grandi “capolavori” della giustizia italiana. Il carnefice e la vittima uno vicino all’altra in un palazzo della Roma borghese, quartiere a nord della città, un condominio silenzioso dove dal 2005 al 2010 – è allora che Francesca (oggi ha 13 anni, il nome è di fantasia) ha avuto il coraggio di raccontare tutto – un militare in pensione “costringeva la minore, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, a subire atti sessuali”. Faceva finta di “giocare”, la prima volta Francesca non andava ancora a scuola. Lo “zio” Pino, in primo e secondo grado è stato condannato a tre anni di reclusione. E fin qui è “solo” la spaventosa storia di Francesca violata nella sua intimità. Al resto ci hanno pensato in queste settimane i giudici della Corte di Appello che hanno graziato il vecchio orco riaprendogli le porte di casa – senza nemmeno avere un solo piccolo dubbio sugli effetti psicologici patiti dalla bimba – , quella stessa casa dove lui aveva scatenato la sua crudeltà e dove ancora Francesca vive al piano di sotto con la madre. Tre righe di provvedimento per trascinare un’altra volta una vita in un tormento, tre righe dettate dal codice ma senza buonsenso. Vi raccontiamo i fatti, che cominciano otto anni fa. Francesca ha perso il padre, la madre Emilia lavora fino a tarda sera e qualche volta anche la domenica. Così ogni tanto lascia Francesca dallo “zio” Pino e da sua moglie Wanda, che abitano un piano più su. Passano alcuni mesi e Francesca inizia a stare male, tachicardia parossistica. La bambina cerca ogni scusa per non farsi portare dallo “zio” Pino, capisce però che è inutile. Passano altri mesi e passano anche gli anni fino a quando Francesca, più grande – è il 22 aprile 2010 – confessa alla madre i “giochi” con il vicino di casa. Emilia ne parla a una psicologa, poi presenta una denuncia contro l’orco del piano di sopra. Parte un’indagine per verificare l’attendibilità della bimba, la testimonianza è credibile, gli esperti escludono che il suo racconto sia influenzato da notizie su abusi di minori ascoltate in tivù. “Il fatto non me lo dimenticherò mai”, confida Francesca alla madre. Finisce un incubo. Lo “zio” Pino viene processato con rito abbreviato e condannato, il 21 dicembre del 2011, a tre anni di reclusione. Già sei mesi prima, un giudice aveva ordinato il “divieto di dimora” del militare nell’appartamento che ha in affitto nel quartiere a nord di Roma “e nelle vie vicine”. Lo “zio” Pino viola la disposizione giudiziaria e il provvedimento di “divieto di dimora” viene così esteso in tutto il Lazio “ad esclusione di Vitinia”, dove lui ha una casa di proprietà. Meno di due anni dopo, il 9 maggio 2013, la condanna in primo grado a tre anni di reclusione viene confermata in secondo grado. Ma a luglio, il 4, la Corte di appello – con il parere negativo della procura generale – revoca il “divieto di dimora” e fa tornare il carnefice a un passo dalla sua vittima.
Divieto di dimora revocato per “il tempo trascorso dall’adozione della misura” e divieto di dimora revocato per “l’età avanzata dell’imputato”. Sono cadute le esigenze cautelari. Lo “zio” Pino non può più fare male a Francesca. Fisicamente. Solo fisicamente. Ricomincia l’incubo.
È il 20 luglio quando Francesca se lo trova improvvisamente davanti. Poi comincia a sentire i rumori che hanno trasformato la sua vita di bambina in un inferno – la sedia a dondolo che si muove, la televisione accesa fino a tarda notte, i rintocchi dell’orologio a pendolo – e ritorna l’angoscia degli anni prima. Francesca si sente spiata. Le finestre al primo piano della casa del militare in pensione affacciano sul giardino della casa della bambina, il balcone dello “zio” Pino è proprio di fronte all’appartamento di Emilia. “Mi avevi promesso di mandare via l’uomo cattivo”, grida alla madre. Emilia chiama subito i suoi avvocati. Sono i primi di agosto. Emilia è disperata, porta sua figlia lontano da Roma. “Il rientro a casa del … che abita proprio sopra il suo appartamento, ha portato ad un nuovo, improvviso e grave peggioramento del suo stato emotivo … si rifiuta di uscire da casa, ha disturbi del sonno, ha paura di vederlo e di incontrarlo nel timore che possa farle ancora del male…”, scrive in una memoria la neuropsichiatra che dopo le violenze ha in cura Francesca da due anni e mezzo.
Ma la legge è legge. La parola passa un’altra volta agli avvocati che, ai primi di agosto, presentano un’istanza al procuratore generale presso la Corte di Appello di Roma. Chiedono che presenti un’impugnazione contro l’ordinanza che ha permesso allo “zio” Pino di tornare sul luogo del delitto, spiegano che la decisione dei giudici “si pone in evidente contrasto con la politica giudiziaria e con le norme espressamente disposte in relazione ai reati di natura sessuale”, raccontano come Francesca sia stravolta per la decisione presa dai giudici, impaurita, consapevole “dell’inutilità della sua sofferta denuncia”. Dopo le violenze. E nonostante la condanna di colpevolezza di primo e secondo grado dello “zio” Pino.
Ma il 9 agosto la Corte di Appello rigetta il nuovo ricorso della procura generale. “Non emergono, neanche dall’istanza del difensore della parte civile allegate alla richiesta del procuratore generale, elementi per ritenere la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione del delitto oggetto di condanna”. In sostanza, i giudici non vi ravvisano sopravvenute esigenze cautelari rispetto alle decisione di un mese prima. È considerato del tutto normale che “l’uomo cattivo” stia accanto alla piccola. Lo “zio” Pino può tornare”.

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