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Arte & Cultura

Roberto Maggi , le sue “Suites di Fine anno” tra le opere vincitrici del Premio Wilde

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Tempo di lettura: 2 minuti

Quattro racconti apparentemente distinti, in cui il filo conduttore è il viaggio introspettivo e psicologico

Un libro insolito, quello di Roberto Maggi, nel quale musica e parole sono quasi inscindibili.

Leggendo parrebbe di  ascoltare, dopo un preludio, i quattro i movimenti propri della suite, il binario lento ed il ternario veloce, il ternario lento e il veloce anacrusico. E, se il ritmo ci riporta all’epoca barocca, i contenuti viaggiano con sottofondo il rock.

Roberto Maggi, laureato in scienze biologiche, scrive poesie sin dall’adolescenza. Nel 2014 la sua prima raccolta di poesie, “Schegge liquide”, ottiene attestato di merito nel premio Internazionale Città di Cattolica. Successivi i lavori su varie antologie poetiche, “Federiciano 2014”, “Vivo da Poeta”, “Premio Erato”, con menzione di merito. La sua prima pubblicazione in prosa, il racconto breve “Irish blues”, è del 2015, anno nel quale avvia, insieme al pianista Theo Allegretti, la performance “Suoni di-versi”, dove il dialogo tra i linguaggi espressivi supera la tradizionale formula del “Reading-concerto”.

Nel 2019 la raccolta antologica “Il diario della Natura” lo vede coinvolto in triplice veste: ecologo, poeta e fotografo. Nello stesso anno viene pubblicata la sua seconda raccolta di poesie dal titolo “Scene da un interno”, che si aggiudica il Premio Speciale Sezione Resilienza all’interno del Premio Astrolabio 2020/2021.

Le storie di Suites di fine d’anno raccontano una parabola esistenziale simpaticamente ironica ma nel contempo fortemente  introspettiva, con stati d’animo che emergono a volte con forza, tra gli aggettivi che si rincorrono laddove la punteggiatura lascia lo spazio alla ritmica, a volte con dolce remissione.

Il protagonista è lo strumento solista, per il quale ogni movimento è stato composto, e non a caso il soliloquio della voce narrante, che vive in prima persona gli avvenimenti, si muove tra i “colori e gli accenti” di riflessioni, dubbi ed incertezze, tra l’io e l’es che viaggiano su chiavi di lettura differenti come su una partitura.

Come la suite mantiene tra i movimenti un’unica tonalità, così ogni racconto di Maggi ci riporta sempre a un unico preciso momento, la festa di fine d’anno.

Una festa, in una notte particolare, che si vive in genere come preludio di cambiamento e novità ma che, il più delle volte, finisce per essere ripiego, necessità di riempire solitudini.

In una notte in cui si spera e immagina possa accadere di tutto, una serie di incontri che non lasciano mai l’animo appagato. Una ricerca impulsiva e compulsiva della donna dei sogni o dei bisogni, incontri effimeri e superficiali dettati proprio dalla particolarità della situazione, in cui la normalità coincide con l’obbligo alla felicità in un consolidato rituale legato al ballare, bere, mangiare, parlare, in cui tutto è trasformato proprio dal rituale.

Le descrizioni degli spostamenti, che ci fanno vivere la città notturna, dei luoghi, ambienti, e personaggi, sono accuratamente rese dalla voce narrante che le rende vivide, trascinata com’è dalle sensazioni e dalle emozioni forti ed a volte ingestibili che vengono soventemente accompagnate da brevi incisi testuali di musica rock.

Bello il “quarto movimento”, che conclude sorprendentemente lo sviluppo dei racconti in una sera di fine d’anno profondamente significante.

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