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Margot Sikabonyi e Bocche inutili, film sulla femminilità negata di cui ora (più che mai) abbiamo bisogno

Margot Sikabonyi e il ruolo da protagonista in Bocche inutili; un film che racconta l’orrore della Shoah vissuta dalle donne, spogliate della loro femminilità e umanità.
Una vita in divenire, in cui ogni tassello dell’esistenza cambia: da pezzo incompatibile, a sagoma ideale per raggiungere il proprio equilibrio e centro nel mondo. Un lavoro complesso e che richiede tempo, energia e confronto con sé stessi; insomma un vero e proprio viaggio interiore, come quello intrapreso dall’attrice Margot Sikabonyi. Nata a Roma da padre ungherese e madre canadese, Margot calca le scene a soli 11 anni e raggiunge la notorietà con il personaggio Maria Martini nella serie Un medico in famiglia; in televisione la ritroviamo anche in Caro maestro 2, Boris, Rex e i Cesaroni 5 con un approccio, a quel tempo, ancora poco «centrato».
Lo yoga sarà fondamentale per trovare il suo baricentro, come anche i suoi figli, e così dopo aver messo in pausa la recitazione, diventa insegnante della pratica spirituale, scrive il libro Respira! Alla ricerca della calma nel caos , e si avvicina anche al mondo della psicologia (a breve la laurea). Un percorso di sei anni, che la forgerà per il grande ritorno: il ruolo da protagonista nel film Bocche inutili, del regista Claudio Uberti.
Siamo negli anni dell’Olocausto e Margot interpreta Ester, una donna ebrea italiana di 40 anni che viene privata dei suoi affetti e inviata nel campo di smistamento a Fossoli. Qui, fa amicizia con Ada, che verrà portata via da quel luogo in poco tempo. Ester non si perde d’animo, neanche quando inviata in un altro campo, evita il convoglio che l’avrebbe condannata ad Auschwitz. La missione di Ester e delle donne che incontra sarà quella di salvare il bambino che porta in grembo. Ci riusciranno o la disumanità prenderà il sopravvento?
Il film, accolto con una standing ovation al Cinema Ciak di Agrigento è un invito alla memoria, a ricordare come le donne durante la Shoah, condotte nel campo femminile di Ravensbruck, venissero maltrattate, violentate, spogliate della loro femminilità e, al contempo, dei sentimenti di complicità e fiducia tra loro.
Margot ci ha parlato un po’ di sé, del suo percorso di attrice e di come è riuscita a fare suo il ruolo delicato di Ester che, in un tempo dilaniato nelle sue ore dalla guerra, ci appare più attuale che mai.
Margot Sikabonyi e il percorso di attrice fino Bocche inutili

Margot Sikabonyi- Foto di Eolo Perfido
Chi è Margot Sikabonyi?
«Sono una persona estremamente sensibile, troppo a volte. Percepisco le ingiustizie in maniera profonda e ci sto molto male; sono sicuramente eccessiva, sento tutto troppo, anche le mie emozioni e quando le esprimo e le comunico agli altri a volte è troppo; però, devo dire che negli anni ho acquisito anche una forza».
Essere attrice per te è…
«Il mezzo perfetto per comunicare tutto quello che sento, far uscire fuori le mie emozioni».
Nella vita sei anche insegnante di yoga. Questa disciplina in qualche modo ti ha aiutato nel tuo percorso evolutivo come persona e attrice?
«Tantissimo. È proprio quello che ha stabilito in me una spina dorsale stabile e il centro che prima non c’era e che trovo essenziale per il lavoro di attrice, perché se non sei centrata rischi di volare via con i venti del successo, dell’insuccesso o giudizio degli altri. Lo yoga mi ha regalato il mio centro».
Dopo sei anni lontano dalle scene hai annunciato il tuo ritorno. Hai mai pensato di abbandonare del tutto il mondo della recitazione? Cosa ti ha fatto desistere a questo punto?
«Certo, l’ho pensato varie volte nella mia vita. Ho iniziato a recitare a 11 anni, quindi ho avuto vari momenti della mia esistenza in cui mi sono detta “basta” e uno di questi è stato un pochino più lungo degli altri: sono andata alle Hawaii per studiare la biologia marina e non fare più l’attrice, però è durato un anno; è stato il periodo più lungo in cui ho pensato di non fare più questo mestiere.
Poi, quando sono diventata mamma del mio primogenito ero a teatro e lì ho deciso di staccare per fare la mamma, consapevole che però sarebbe stata una pausa».
Margot Sikabonyi e Bocche inutili: un ruolo delicato fatto di studio e dono di sé
Il 25 aprile è uscito nella sale il film Bocche inutili di Claudio Uberto di cui sei protagonista. Com’è stata questa esperienza?
«È stato un regalo, perché dopo 6 anni in cui non facevo più nulla, mi sono ritrovata a leggere una sceneggiatura su un tema molto forte e un personaggio luminoso e bellissimo. Sono arrivata sul set con una voglia che non avevo mai avuto di fare questo lavoro, perché dopo la pausa e la maternità mi era tutto più chiaro di chi fossi e cosa volessi fare. Quindi andare sul set significava tornare a casa finalmente consapevole».
Come ti sei preparata per il ruolo di Ester, una donna ebrea italiana di 40 anni, portata nel campo di Fossoli?
«Ho fatto ricerche, ho guardato i video di Liliana Segre e ho letto dei libri, tra cui quello di una donna sopravvissuta al campo femminile di Ravensbruck in Germania. Mi sono informata quanto più possibile, ma credo che alla fine se non hai davvero attraversato quell’orrore non lo comprenderai mai del tutto.
Ho cercato di rendermi strumento e dare tutto di me e l’ho fatto; non ho lasciato un grammo di riserva, perché mi sembrava essere fedele a quel livello di umanità. Girare poi, il film all’interno del vero campo di Fossoli è stato un grande aiuto, perché ho ascoltato quello che c’era ancora lì dentro per tirarlo fuori nelle scene».
Margot Sikabonyi le paure della solitudine e della perdita in Bocche inutili
Hai raggiunto il campo prima che il set aprisse le porte per respirare l’aria del posto, dichiari a Velvetmag. Cosa hai provato?
«Anche se era vuoto, percepisci l’orrore, senti che nell’aria c’era stata quella disumanità e sofferenza totale e poi sono stata nel museo a Carpi, vicino Fossoli, tra i più importanti che abbiamo sulla memoria.
E anche lì capire, studiare, vedere e farmi raccontare è stato un viaggio devastante e ringrazio di averlo fatto, perché tante cose non le sapevo. Non bisogna dimenticare e questo film nasce anche per questo, insieme ai temi della femminilità negata, dell’umanità e dell’unione tra donne».
Ci sono state delle paure personali con cui ti sei confrontata per cogliere l’essenza del personaggio?
«Certo, la solitudine estrema in cui si trova questo personaggio. A un certo punto non ha nessuno intorno e inizia a perdere anche le sue compagne; quindi, c’è questa paura della perdita e della solitudine.
Poi, essere anche faccia a faccia con la cattiveria estrema, che questo personaggio decide di affrontare con la luce, perché porta in grembo una speranza. Da madre, mi sono messa anche nei panni di una donna che scopre di essere incinta e per la quale non esiste altro che quella vita, di cui diventi responsabile».
Che tipo di donna è quella che interpreti?
«Estremamente sensibile, intelligente e di ottima cultura. Viene da una famiglia che le ha dato tanto è molto ben istruita e religiosa e questa fede è il lumino che la porta alla fine di quel tunnel nero. Continua a seguire la fiamma della sua fede e religione che la unisce anche alle sue compagne; è una persona di grande forza e integrità umana».
Ci sono state delle difficoltà a immergersi in un ruolo così crudo?
«La paura era sempre quella di non essere abbastanza e non portare onore alla storia vera e a quelle donne. È stata la paura più grande e mi ha spinto ogni giorno a dare tutto quello che avevo».
Nel film si osserva l’Olocausto da un punto di vista inedito, quello delle donne dall’identità e femminilità negata. Secondo te, in che modo il film restituisce questa visione agli spettatori?
«Svolgendosi in un campo di concentramento solo femminile, con le donne protagoniste: gli vengono tagliati i capelli e tolti i vestiti e questo è un primo segno di una femminilità annullata. Sono tutte uguali e non hanno più un nome, solo un numero e poi vengono messe le une contro le altre dalle condizioni estreme di fatica, lavoro e scomodità. L’intento era di disumanizzarle a tal punto che diventassero degli animali feroci. La donna quindi, si isola dal suo potenziale di amore, accoglienza, nutrimento e sorellanza».
Margot Sikabonyi e il film Bocche inutili sull’importanza della memoria, soprattutto oggi.
Il film affronta anni bui della storia e invita a non smettere di avere memoria di ciò che è stato. Considerando il momento storico, con la guerra tra Russia e Ucraina, secondo te la memoria riesce sempre ad avere una grande potenza o viene meno quando si tratta di inseguire degli interessi?
«Viene sicuramente meno per inseguire gli interessi e qui è sicuramente il singolo che può fare qualcosa, perché purtroppo davanti agli interessi non esiste nessun tipo di umanità, come vediamo ormai in una guerra che è già troppo lunga e assurda.
Per questo, è importante che la gente vada al cinema, che ricordi e si faccia delle domande. Questo film vuole arrivare soprattutto nelle scuole per portare la memoria, perché molti ragazzi non credono che questa cosa sia successa, molti sono negazionisti».
Quali emozioni pensi regalerà il film agli spettatori?
«Spero che sia uno di quei film che non lasci indifferenti, che arrivi allo stomaco, faccia riflettere e cambi, in qualche modo, lo spettatore».
Prossimo progetto?
«Ho appena girato per Deakids, un canale di Sky, delle puntate per bambini sulla mindfulness molto carine. Piccole pillole per introdurre i bambini al concetto di respiro e di ascolto, e come avere a che fare con le emozioni. Dovrebbero uscire a novembre».