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L’eccidio della Castellina – The Massacre of the Castellina

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Tempo di lettura: 11 minuti

di emigrazione e di matrimoni

L’eccidio della Castellina

Come molti altri aspetti della nostra Cultura, ci sono tante opere della nostra Letteratura che non hanno il riconoscimento internazionale che meritano

Tanti in Italia sarebbero sorpresi di sapere che all’estero non solo la Divina Commedia di Dante Aligheri non è studiata a scuola, ma che è anche poco conosciuta dal pubblico mondiale che spesso sa che contiene l’Inferno, ma non sa che comprende anche il Purgatorio e il Paradiso.

Perciò pochi lettori internazionali si rendono conto che i personaggi incontrati da Dante nel corso del suo viaggio nell’aldilà, prima con Virgilio e poi con Beatrice, non sono solo leggendari, oppure biblici, ma anche personaggi storici veri e, naturalmente, nel caso dell’Inferno, anche gente che aveva compiuto atti orribili per cui si trova a subire castighi terribili.

In due casi, compreso il soggetto dell’articolo di oggi, Alberigo Manfredi membro della Signoria di Faenza, gli atti furono così orribili che scandalizzarono tutta l’Europa e Dante mise le loro anime nell’Inferno prima ancora che fossero morti, uno dei pochi casi in cui il grande poeta non rispettò la dottrina della Chiesa. A rendere questo episodio ancora peggiore è il fatto che si trattava di un frate e quindi, almeno in teoria, non avrebbe mai dovuto compiere un atto del genere.

Come molti altri aspetti della nostra Cultura, ci sono tante opere della nostra Letteratura che non hanno il riconoscimento internazionale che meritano. Alcuni di queste, come “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e “Il Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, sono stati soggetti di grandissimi film e fiction televisive, ma il loro pubblico mondiale non si rende conto delle loro origini.

Quindi potrebbe essere un’idea legare insieme questi due generi della nostra Cultura per informare il pubblico internazionale che la Cultura italiana non si limita solo ai soliti nomi e artisti, ma comprende moltissime opere fondamentali per la Cultura europea e mondiale tra cui la “Divina Commedia” detiene un posto d’onore tra le opere più importanti della Storia, che rende ancora più triste questa poca conoscenza all’estero.

L’articolo di oggi è stato scritto da Luigi Solaroli, uno storico locale della città romagnola che di solito è molto nota per la sua ceramica. Luigi è ben conosciuto dai faentini che visitano una delle pagine Facebook della città perché, ogni giorno, fornisce brevi e affascinanti articoli del passato della città che molto spesso, come il soggetto dell’articolo, ci fanno capire che la Storia d’Italia non è mai stata povera di episodi affascinanti, tragici e anche sanguinosi.

Inoltre, ringraziamo Miro Gamberini, il direttore del sito historiafaentina.it, per la sua gentile collaborazione e per averci permesso di utilizzare articoli per i nostri lettori in tutto il mondo.

L’eccidio della Castellina
di Luigi Solaroli

L’evoluzione storica che dai Comuni porta alla Signoria la possiamo accertare, nei nostri territori di Romagna, a Ravenna coi Traversari e nel 1248 Rimini coi Malatesta da Verrucchio, ma solo alla fine del secolo ogni città della Romagna ebbe la sua Signoria.

Nel canto 27° dell’Inferno, Dante ne traccia una sorta di mappa: Ravenna e Cervia erano soggette ai Da Polenta, Forlì agli Ordelaffi, Rimini ai Malatesta, Cesena a Galasso di Montefeltro, Faenza e Imola a Maghinardo di Susinana.

Maghinardo morendo senza figli maschi, lasciò Imola agli Alidosi e Faenza ai Manfredi rimasti vincitori nelle lotte fra le famiglie più dominanti, in particolare i Domizi, gli Zambrasi e gli Accarisi. Ma i Manfredi dovevano risolvere qualche problemino all’interno in ordine chi doveva essere il dominatore, questo emergerà dall’eccidio della Castellina del 2 Maggio del 1285.

In quell’epoca i delitti fra parenti, per ragioni patrimoniali e di cupidigia al potere erano abbastanza ricorrenti, protagonista di uno di questi fatti di sangue fu frate Alberico Manfredi. Perché è denominato “frate”: per frate s’intendeva una persona inscritta ad un ordine religioso, in questo caso Alberico apparteneva alla “milizia religiosa di s. Maria Gloriosa dei frati gaudenti” fondata nel 1261, la quale aveva per scopo quello di mettere pace fra le fazioni e di abolire le armi; gli appartenenti si presentavano con una semplice verga in mano per sedare i tumulti.

Il nostro “pio frate Alberico” (che il poeta Dante definisce il “peggior spirito di Romagna “– inf. xxxııı-18), già podestà di Bagnacavallo, alla morte del figlio Alberghetto, assunse la tutela del nipote Francesco, figlio del defunto, e difese i diritti del pupillo contro il cugino Manfredo. Un giorno, venuti a grave contesa, Manfredo diede uno schiaffo ad Alberico. Si trattava di un’atroce offesa e il podestà di Faenza, per evitare lutti, mandò Manfredo e il figlio Alberghetto al confino nel territorio di Ravenna.

Intanto i parenti e gli amici delle due fazioni cercavano, in tutti i modi, di comporre la vertenza. Alberico finse di accettare la pace, per cui fu invitato a partecipare ad un banchetto, rassicurato anche dalla presenza di un comune amico, tale Serruccio da Pretella. Il luogo prescelto per la riconciliazione, fu il castello di Francesco detto “La Castellina”, tra Faenza e Russi nei pressi dell’antica Pieve di Cesato. La sera del 2 maggio del 1285, si trovavano frate Alberico col figlio Ugolino (poeta e fine rimatore), il nipote ventenne Francesco (che sarà il vero capo dinastico della famiglia), il cugino Alberghetto col padre Manfredo. Alla fine del pranzo, frate Alberico diede l’ordine ”vengano le frutta” e, come a segno convenuto, i malcapitati ospiti furono assaliti e trucidati da Ugolino, il cugino Francesco e sgherri prezzolati. Lo storico Cantinelli afferma che anche il Serruccio avrebbe partecipato alla strage. Il fatto fu così noto e destò tale orrore che le maggior signorie d’Italia ne parlarono, lo stesso Dante lo cantò nel XXIII canto dell’Inferno, Alberigo parla a Dante denunciandosi: ”…Rispuose adunque “Io son frate Alberigo / io son quel delle frutta del mal orto / che qui riprendo dattera per figo”.

Dante colloca Alberico nel profondo della voragine infernale: il fiume ghiacciato Cocito riservato ai traditori. E poiché nel 1300 si compie il viaggio di Dante all’aldilà e il frate gaudente era ancora vivo, ecco un espediente per metterlo comunque all’inferno: in casi di eccezionale malvagità, l’anima si danna prima del tempo e nel corpo prende posto il diavolo.

Alberico, col pupillo Francesco, fu solo assoggettato ad una multa e cacciato da Faenza dal legato pontificio. Egli soggiornò nel castello d’Oriolo, anche se questo era di proprietà dell’arcivescovo Bonifacio di Ravenna dal 1281.

Qualche anno dopo, presso il monastero delle Clarisse dell’Isola di s. Martino, seguirà la conciliazione fra Beatrice, figlia dell’ucciso Manfredo, suo marito Alberico di Cunio da un lato e gli uccisori Manfredo ed Alberghetto dall’altro. Alberigo si ritirò a Ravenna nel 1309 e “poiché egli riteneva di aver sempre osservato la legge divina, volle esser sepolto nella chiesa dei frati minori di S. Francesco”. Ci avrebbe pensato poi Dante, ancora lui vivo, a sistemarlo all’Inferno.

Il castelletto di Cesato non esiste più, fu fatto atterrare il 13 Febbraio del 1354 da Giovanni Zigardi dei Manfredi, perché non se ne impadronissero i partigiani della Chiesa. Nel 1700, sulle sue fondamenta fu costruito un palazzo che rispecchia alcuni particolari architettonici grazie alla N.D. Renata Caldesi Casalini. Dentro c’è una sala ottagonale, squallida con quattro porte d’ingresso dove, secondo la tradizione sarebbe avvenuta la strage. Attualmente la villa serve da casa colonica.

Conosciuto dai faentini, specie locali, come “e palaz de Gêvul”, si può intravvedere sulla sinistra prima di raggiungere il ponte Felisio, all’altezza di quelle due colonne di mattoni rossi ben visibili sulla Ravegnana, oppure recarvisi prendendo la strada parallela alla Ravegnana dopo la rotonda.

I poderi, in cui era sito il castelletto, furono dati in dote a Cassandra, amante di Galeotto, quando entrò nel convento di s. Maglorio.

di emigrazione e di matrimoni

The Massacre of the Castellina

Like many other aspects of our Culture, there are many works of Italian Literature that have no received the international recognition they deserve

Many people in Italy would be surprised to know that not only is Dante Alighieri’s “Divina Commedia” (Divine Comedy) not studied at school overseas but it is also little known to the general public around the world that often knows it contains the Inferno but does not know that it also has Purgatory and Paradise.

Therefore few international readers realize that during Dante’s journey in the afterlife the people he meets, first with Virgil and then with Beatrice, are not only legendary or biblical characters but also real historical figures and of course, in the case of the Inferno, also people who had carried out horrible acts for which they find themselves suffering terrible punishments.

In two cases, including the subject of today’s article, Alberigo Manfredi, a member of Faenza’s ruling House, their acts were so horrifying that they scandalized all of Europe and Dante put them into the Inferno even before they died, one of the few cases where the great poet did not respect the Church’s doctrine. What made this episode even worse was the fact that Alberigo was a friar and therefore, at least in theory, should not have carried out such an act. 

Like many other aspects of our Culture, there are many works of Italian Literature that have no received the international recognition they deserve. Some of these, such as “I Promessi Sposi” (The Betrothed) by Alessandro Manzoni, “Il Gattopardo” (The Leopard) by Giuseppe Tomasi di Lampedusa and “Il Deserto dei Tartari” (The Tartar Steppe) by Dino Buzzati have been the subject of great movies and television programmes but the international public does not realize their origins.

It would therefore be an interesting idea to tie together these two categories of Italian Culture to educate the international public that our Culture is not limited only to the usual names and artists but includes many fundamental works of European and world Culture, of which the “Divina Commedia” holds a place of honour amongst the greatest works in history, which makes it even sadder that it is so little known overseas.

Today’s article was written by Luigi Solaroli, a local historian of the city in the Romagna that is usually best known for its ceramics. Luigi is well known to the people of Faenza who visit one of the city’s Facebook pages because every day he provides short and fascinating articles of that day in the city’s past that very often, like the subject of the article, let us understand that Italy’s history has never been poor of fascinating, tragic and even bloody episodes.

We also thank Miro Gamberini, director of the website historiafaentina.it for his kind collaboration in allowing us to use articles for our readers around the world.

The Massacre of the Castellina

by Luigi Solaroli

In the region of the Romagna we can ascertain that the historical development that leads from the “Comuni” (the local administrations between the 11th and 13th centuries) to the Signorie (effectively Ruling Houses) of our territories started with the Traversari family in Ravenna and then in Rimini with the Malatesta family from Verrucchio in 1248 but only at the end of the century did every city of the Romagna have its own Signoria.

In the 27th Canto of his Inferno in the Divina Commedia, Dante traces a sort of map: Ravenna and Cervia were subject to the Da Polenta family, Forlì to the Ordelaffi, Rimini to the Malatesta, Cesena to Galasso di Montefeltro and Faenza and Imola to Maghinardo di Susinana.

Having died without sons Maghinardo left Imola to the Alidosi family and Faenza to the Manfredi family that had emerged as the winners in the struggles between the most dominant families, in particular, the Domizi, the Zambrasi and the Accarisi. But the Manfredi also had to resolve a few small internal problems, in order to decide who was to be the ruler. This would emerge from the massacre of the Castellina on May 2, 1285.

At the time killings between relatives for reasons of property and greed for power were common enough and the protagonist of one of these bloody episodes was friar Alberigo Manfredi. Why was he called a “friar”? The word “Friar” meant a person enrolled in a religious order, in this case Alberigo belonged to the “Militant Order of Our Glorious Lady of the Joyful Friars” founded in 1261 with the purpose of setting peace amongst the factions and to abolish arms. The members presented themselves with a simple rod in hand to quell the riots.

At the time of the matter our “pious friar Alberigo”, who the poet Dante defined as the “worst spirit of the Romagna” in the 28th Canto of the Inferno, was the Podestà (ruler) of Bagnacavallo not far from Faenza. On the death of his son Alberghetto he assumed guardianship of his grandson Francesco and defended the rights of his ward against his cousin Manfredo. One day Manfredo slapped Alberigo during a serious dispute. This was a terrible offense and in order to avoid grief the Podestà of Faenza sent Manfredo and his son, also named Alberghetto, into exile in the territory of Ravenna.

In the meantime relatives and friends of the two factions tried in every way possible to settle the dispute. Alberigo pretended to accept peace, for which he was invited to take part in a banquet, also reassured by the presence of a mutual friend, a certain Serruccio da Pretella. The place chosen for the reconciliation was Francesco’s castle called the “Castellina” located between Faenza and Russi near the ancient Pieve (parish church) at Cesato.  On the evening of May 2, 1285 Alberigo with his son Ugolino (a poet and fine rhymer), his twenty year old nephew Francesco (who will be the real head of the family’s dynasty) met with cousin Alberghetto and his father Manfredo. At the end of the dinner Alberigo gave the order to “bring in the fruit” and, as agreed, the unfortunate guests were assaulted and killed by Ugolino, cousin Francesco and paid thugs. The historian Castellini affirms that Serruccio may also have taken part in the massacre. The fact was so well known and aroused such horror that all Italy’s major Signorie talked about it. Dante wrote about this in the 28th Canto of the Inferno when Alberigo accuses himself by telling the poet ”…Rispuose adunque “Io son frate Alberigo / io son quel delle frutta del mal orto / che qui riprendo dattera per figo” (…he then replied “I am friar Alberigo / I am the one of the fruit of the evil garden / who took back dates for figs”).

Dante places Alberigo in the deepest pit of Inferno’s chasm: in the frozen river Cocytus reserved for traitors and since Dante’s trip to the afterlife took place in 1300 when the pleasure seeking friar was still alive, the expedient to put him in the Inferno anyway was, in cases of exceptional wickedness, that the soul is condemned before time and the devil takes its place in the body.

Alberigo, with his ward Francesco, was only subjected to a fine and expelled from Faenza by the Papal Legate. He stayed in the castle at Oriolo, even if this was owned by Ravenna’s Bishop Boniface since 1281.

There was a reconciliation a few years later at the Monastery of the Poor Clares at the Isle of San Martino between Beatrice, daughter of the murdered Manfredo, and her husband Alberigo di Cunio on one side and the killers Manfredo and Alberghetto on the other. Alberigo retired to Ravenna in 1409 and “since he always believed he observed divine law he wanted to be buried in the church of the minor friars of Saint Francis”. It was Dante who then decided to place him in the Inferno while he was still alive.

The small castle at Cesato no longer exists as it was buried on February 13, 1354 by Giovanni Zigardi of the Manfredi so that it would not be taken over by the partisans of the Church. In 1700, thanks to the noblewoman Renata Caldesi Casalini, a building was constructed on its foundations that respected some of its architectural details. Inside there is a squalid octagonal room with four entry doors in which, according to tradition, the massacre took place. Currently the building is used as a farmhouse.

Known to the people of Faenza, and especially the locals, as “e palaz de Gêvul”, it can be glimpsed to the left before reaching the Felisio bridge, at the height of the two red brick columns well visible on the road to Ravenna or you can go there by taking the road parallel to the road to Ravenna after the roundabout.

The farmlands where the small castle was located were inherited by Galeotto’s lover Cassandra when she entered the Convent of Saint Maglorio.

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