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Diritti umani

Le mutilazioni genitali femminili: un fenomeno ancora diffuso

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Nel mondo circa 200 milioni di donne e bambine hanno subito mutilazioni genitali o MGF e 3 milioni sono tuttora a rischio ogni anno. Una pratica crudele che viola i diritti della persona con effetti negativi sia fisici che psicologici che compromette la libera e sana autonomia delle donne coinvolte e danneggia la loro salute sessuale.

di Antonio Virgili – pres. comm. Cultura Lidu onlus

Nel mese di novembre sono prossime tra loro due date significative, il giorno 20 è dedicato ai più giovani con la Giornata mondiale per l’infanzia e l’adolescenza, il giorno 25 è invece la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, due temi che si intrecciano crudamente nel fenomeno delle mutilazioni genitali femminili.

Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono forme di intervento che violano i diritti della persona e hanno effetti negativi sia fisici che psicologici compromettendo la libera e sana autonomia delle donne coinvolte e danneggiando la loro salute sessuale.  Nel mondo circa 200 milioni di donne e bambine hanno subito MGF e 3 milioni sono tuttora a rischio ogni anno.

Con il fenomeno migratorio le MGF, tipiche dell’area africana ma presenti anche in vari Paesi asiatici, hanno assunto una diffusione globale e oggi sono una realtà rilevante per le politiche pertinenti dell’UE. La Svezia è stato il primo Paese europeo a bandire le mutilazioni genitali, nel 1982, prevedendo una pena che può raggiungere i dieci anni di carcere e nel 1999 il Governo svedese ha esteso questa Legge fino a includere le procedure di mutilazione condotte all’estero.

Scena della mutilazione dal film “il fiore del deserto”, la vera storia della modella somala Waris Dirie

Si stima che in Italia risieda un numero crescente di donne e bambine che vivono con le conseguenze delle MGF, una indagine condotta nel 2019 ha indicato la presenza al primo gennaio 2018 di 87mila e 600 donne escisse, di cui 7600 minorenni.  Nigeria, Egitto, Senegal ed Etiopia sono le quattro principali aree di provenienza dal punto di vista numerico, ma la pratica ha diversa prevalenza fra le numerose comunità migranti, da questa prospettiva maliane, somale e sudenesi sono le donne con le percentuali più alte (circa l’80%).  Sebbene solo una ridotta minoranza di donne presenti in Italia si dichiari favorevole alle MGF, una ampia maggioranza non si oppone alla pratica avanzando un principio di libera scelta (come del resto è accaduto negli anni in relazione ad altri usi restrittivi verso le donne quasi rivendicati come diritto alla propria cultura) o il timore di non essere accettate dalla propria comunità o anche quello di “preservare” le ragazze da una società pericolosa come quella occidentale.  Importante notare come l’adesione alla pratica delle MGF diminuisca fortemente al crescere del livello di istruzione, ed il pensiero non può che andare a quei vari Paesi nei quali ancora oggi si ostacola fortemente l’istruzione femminile.

Le mutilazioni genitali femminili consistono in pratiche di rimozione o modifica di parti esterne dei genitali femminili compiute per ragioni non terapeutiche e per questo sono considerate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità una chiara violazione dei diritti umani.  Anche se il numero di donne coinvolte è in crescita, trainato dalla rapida crescita demografica dei Paesi principalmente coinvolti, le statistiche disponibili mostrano tuttavia che la mobilitazione internazionale contro questa pratica ha indotto una chiara tendenza alla diminuzione dell’incidenza del fenomeno nelle giovani generazioni.

Questo dato positivo è stato senza dubbio favorito dal fatto che le MGF sono uscite dal silenzio che le circondava, a dimostrazione dell’importanza dell’informazione ai fini della prevenzione.  La pratica è gestita dalle donne ma è chiaramente sorretta da un sistema di valori e norme che esercitano una funzione culturale e identitaria: l’attenuazione del desiderio femminile, l’aumento del piacere maschile, la sicurezza della fedeltà matrimoniale e la preservazione della verginità sono fra le motivazioni dominanti di natura sessuale. Sono anche presenti e consolidate svalutazioni del corpo femminile, quando si giudicano i genitali esterni parti sporche e poco gradevoli, il ruolo sociale del rito di passaggio all’età adulta, l’integrazione sociale delle figlie finalizzata nella rete sociale parentale, incluso il valore sul “mercato matrimoniale” e la protezione dalla stigmatizzazione sociale.

Le nuove legislazioni contrarie alle MGF stanno svolgendo un ruolo importante nella prevenzione, tuttavia la questione della regolamentazione giuridica è in parte controversa poiché la pratica ha motivazioni culturali e funzioni sociali, un approccio normativo e sanzionatorio può provocare, in prima istanza, reazioni di resistenza culturale, quindi di intensificazione della pratica invece che di dismissione; successivamente potrebbe anche avere ricadute esistenziali negative sulla vita delle singole donne se emarginate dalle loro comunità.   Per quanto riguarda il primo punto, si è osservato in alcuni casi che la paura della sanzione penale porti alcune donne ad effettuare l’operazione alle proprie figlie in età più precoce.

Per quanto riguarda la ricaduta delle sanzioni sulla vita delle donne, è significativo come ad oggi i casi portati in tribunale siano pochissimi: non solo per l’ostacolo oggettivo della extraterritorialità, ma anche per la resistenza da parte delle comunità praticanti, delle donne stesse e anche degli operatori sanitari a denunciare qualcuno, per via delle pesanti conseguenze possibili, sia in termini di punizioni legislative sia in termini di ostracismo sociale.

La discussione intorno all’adeguatezza delle normative contro le pratiche di MGF ha assunto in alcuni Paesi le dimensioni di un dibattito culturale ed antropologico.  Anche in Italia, in occasione dell’approvazione della Legge del 2006, si scontrarono posizioni diverse, tra le associazioni che ne avevano sostenuto la necessità tout court, quelle che si erano impegnate per modificarne alcuni capitoli e chi invece aveva sempre espresso un parere contrario a qualsiasi forma di intervento giuridico.

In Italia, dal 2006, vi è infatti una specifica disposizione penale relativa alle MGF, la Legge n. 7/2006Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”.    Con l’art. 6 di questa Legge si modificano gli articoli 583bis e 583ter del Codice Penale vietando l’esecuzione di tutte le forme di MGF, (-“Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo”-) ovvero malattie e problemi psichici o fisici.  È inoltre applicabile il principio di extraterritorialità, che rende punibili le MGF anche se commesse al di fuori del paese.

Una ulteriore risorsa giuridica è data dalla legge generale di tutela dei minori del Codice civile, laddove si riferisce alla “Decadenza della responsabilità genitoriale sui figli” (articolo 330 Cod. Civ.) quando il comportamento dei genitori sta minacciando il benessere del minore ed anche la possibilità di interventi preventivi in caso di comportamento pregiudizievole dei genitori (articolo 333 Cod. Civ. “Condotta del genitore pregiudizievole ai figli”).

Uno dei nodi giuridici che ha pure fatto discutere riguarda la possibilità, o vincolo, da parte degli operatori sanitari di denunciare i casi di MGF riscontrati in sedi cliniche, tale denuncia si collega alla legge generale in materia di segreto professionale e divulgazione, che può essere utilizzata per segnalare i casi di MGF eseguite o programmate.  Infatti, l’articolo 361 del Codice penale afferma il dovere del pubblico ufficiale di segnalare qualsiasi reato penale di cui sia stato informato nell’esercizio delle sue funzioni o nella sua professione; l’articolo 362 prevede l’obbligo di segnalazione alle stesse condizioni per chi, anche senza essere un pubblico ufficiale, ha il compito di fornire un servizio pubblico in enti/istituzioni pubbliche. Nell’articolo 365 si specifica che gli operatori sanitari devono essere perseguiti se non comunicano le informazioni relative a un reato incontrato nell’ambito delle loro attività professionali; tuttavia, si specifica anche come tale norma non si applichi nei casi in cui la segnalazione rischi di esporre il paziente a procedimento penale.

Infine, le domande di asilo per motivi di MGF possono rientrare nel D. Lgs. 251/2007 art. 7.2, che considera la violenza fisica o psicologica o gli atti rivolti specificamente contro un determinato genere o contro i bambini rilevanti ai fini della concessione dello status di rifugiato. La legge comprende sia persecuzioni passate che future (art. 3.4).  Rilevanti in proposito le pronunce della Corte di Appello di Catania (sentenza 27 novembre 2012) e del Tribunale di Cagliari (ordinanza 12-08192) entrambe favorevoli al riconoscimento dello status di rifugiato, basate sul presupposto che la dimostrata volontà di sottrarsi ad atti di mutilazione genitale femminile giustifichi, viste le norme internazionali e nazionali, tale riconoscimento di status.

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