Italiani nel Mondo
Le domande che nessuno fa sugli italiani all’estero
Le domande che nessuno fa sugli italiani all’estero
Per introdurre il tema dell’articolo di oggi partiamo da una controversia tra gli italo-americani riguardo l’uso di una parola specifica che è arrivata al punto che molte pagine social hanno deciso di proibire il soggetto. Inoltre, questa controversia, che riguarda solo alcune comunità italiane negli USA, fa divertire e scandalizzare così tanti utenti in Australia ed il Regno Unito che non resistono a scherzare sull’uso della parola.
L’usanza di certe comunità italiane in alcune zone degli USA di chiamare il tradizionale sugo/salsa/ragù della domenica con la parola inglese “gravy”, cioè il sughetto creato con i succhi di cotture degli arrosti, crea scompiglio ogni giorno tra chi si scandalizza che la parola non sia italiana, e chi difende l’usanza a spada tratta perché è la loro tradizione di famiglia.
In tutti questi scambi regolari nessuno fa una domanda fondamentale: perché famiglie italiane negli USA hanno adottato una parola inglese per una tradizione famigliare italiana? Inoltre, visti i commenti di utenti americani sulle stesse pagine, che raccontano che i loro genitori e/o nonni avevano imposto di NON utilizzare la lingua italiana in casa e di non per mettere ai figli di impararla, dobbiamo chiederci di nuovo, perché?
Non sono domande da poco conto perché nello spiegare questi aspetti avremmo una chiave preziosa per capire le realtà delle esperienze italiane in quel paese, e di capire che queste realtà erano probabilmente molto più difficili di quel che i loro discendenti pensano quando parlano dei loro avi. Infatti, in questi casi non si parla così tanto della loro integrazione nel paese, bensì della loro assimilazione perché la scelta di non utilizzare/insegnare la lingua che li definisce vuol dire la perdita di una parte della loro identità personale italiana.
Ogni paese ha una percentuale della popolazione che è intollerante verso i nuovi residenti, e quindi ogni individuo doveva decidere come sistemarsi nel nuovo paese, e chissà quanti segreti i genitori hanno mantenuto con i figli per non fare capire le loro difficoltà. E questo deve farci porre altre domande.
Oltre i luoghi comuni e gli stereotipi, cosa sappiamo davvero delle esperienze dei nostri emigrati in giro per il mondo da oltre 200 anni? Inoltre, cosa sappiamo davvero delle differenze di esperienze, di lingua italiana (gravy docet) e tradizioni e usanze da comunità a comunità anche all’interno dello stesso paese?
Per dare esempi in risposta alla seconda domanda, basta pensare che ad Adelaide in Australia molti italiani hanno adottato l’usanza anglosassone di fare elogi funebri per i propri cari che vengono a mancare, e a Melbourne le famiglie italiane utilizzano maestri di cerimonie per i matrimoni, in modo particolare dei ricevimenti, ma questa usanza non è la norma tra gli italiani ad Adelaide.
Queste considerazioni possono sembrare banali ad alcuni, ma sono questi dettagli che ci fanno capire quel che succede quando famiglie con nuove culture, usanze e tradizioni arrivano in un paese. Allo stesso tempo i nuovi arrivati portano sangue ed idee nuove che poi vengono incorporate nel paese di residenza che, tristemente, diventa poi il motivo di scontri con la parte intollerante della popolazione autoctona.
Infatti, nel parlare dell’emigrazione dobbiamo sempre ricordarci che gli immigrati di ogni genere sono agenti di cambi culturali e quando le culture si incontrano entrambe cambiano in modo irreversibile, come vediamo dal semplice fatto dell’esistenza di ristoranti italiani in tutto il mondo e l’apertura in Italia negli ultimi decenni di ristoranti di varie altre culture, sia asiatiche che di altri continenti. E questi esempi ne sono solo la minima parte.
Abbiamo l’obbligo di documentare la Storia della nostra emigrazione, sia dei nostri parenti e amici all’estero che degli immigrati che ora vengono in Italia, non solo perché sono parte integrale della nostra Storia, perché l’Italia senza l’emigrazione massiccia oggi sarebbe stata un paese totalmente diverso e molto, ma molto più povero in ogni senso, ma anche perché nel documentare questa Storia abbiamo anche la chiave per assicurare che la migrazione del futuro non subisca i pregiudizi e problemi di integrazione che ancora leggiamo nelle cronache giornalistiche in tutto il mondo.
Torniamo all’esempio che abbiamo utilizzato nell’apertura dell’articolo. Una semplice parola inglese crea scompiglio tra italiani perché per molti di loro quella parola è “un’offesa” verso la loro idea di cosa vuol dire essere “italiano”. Contemporaneamente, per i componenti di certe comunità italiane negli USA quella stessa parola definisce le loro origini e quindi fa parte del loro senso di cosa vuol dire essere di origini italiane. Entrambi hanno ragione e torto.
Possiamo dire altrettanto del “mate”, la tisana tradizionale Argentina adottata dagli italiani nel paese, come abbiamo visto a volte con Papa Francesco che è di origine italiana, oppure il “Christmas Pudding” natalizio britannico che ora fa parte del pranzo natalizio degli italiani in Australia e non ho dubbi anche nel Regno Unito e Canada.
Quindi non scandalizziamoci quando vediamo apparenti anomalie nei discorsi online, perché quelle anomalie dovrebbero darci le chiavi per aprire le porte a un passato che ancora non capiamo per bene, perché non abbiamo fatto abbastanza per documentare la Storia della nostra emigrazione nel mondo. Non dobbiamo fare altro che cercare di capire il perché.
Inoltre, se i nostri parenti e parenti all’estero non conoscono le usanze in Italia, e poi vengono presi in giro da alcuni utenti sconsiderati in Italia, dobbiamo ricordarci che queste mancanze di consapevolezza sono anche e soprattutto colpa dell’Italia, non solo perché non abbiamo fatto abbastanza per documentare la Storia della nostra emigrazione, ma particolarmente perché non abbiamo mai fatto abbastanza per insegnare la nostra Storia e Cultura in una maniera davvero efficace ai discendenti dei nostri emigrati, perché non abbiamo ancora capito, in modo particolare ai livelli ufficiali, che le promozioni culturali devono essere fatte nelle lingue dei paesi di residenza, perché pochissimi all’estero hanno la conoscenza della nostra lingua per poterle capire solo in italiano come facciamo di solito…
Allora, facciamoci queste domande ma, ancora più importante, cerchiamo le loro risposte perché sono la chiave per una maggiore collaborazione tra gli italiani all’estero e l’Italia.
The questions nobody asks about Italians overseas
To introduce the theme of today’s article we start from a controversy between Italian Americans concerning the use of a specific word that has reached the point that many social media pages have banned the subject. Moreover, this controversy, which concerns only some Italian communities in the USA amuses and also scandalizes users in Australia and United Kingdom so much that they cannot resist making fun of the use of the word.
The custom of certain Italian communities in some areas of the USA to call the traditional Sunday sauce with the English word “gravy” creates mayhem every day between those who are shocked that the word is not Italian and those who heavily defend its use because it is their family tradition.
In all these regular discussions nobody asks a fundamental question: why did Italian families in the USA adopt an English word for an Italian family tradition? Furthermore, considering the comments of American users on the same pages who say that their parents/grandparents had imposed NOT to use the Italian language at home and not to teach it to their children, we must again ask, why?
These are not trivial questions because in explaining these aspects we would have a valuable key for understanding the realities of the Italian experiences in that country and to understanding that these realities were probably much harder than what their descendants think when they talk about their forefathers. In fact, in these cases we do not talk so much about their integration into the country but about their assimilation because the choice of not using/teaching Italian to the children means the loss of a part of their personal Italian identity.
Every country has a percentage of the population that is intolerant towards new residents and therefore every individual must decide how to settle into the new country and who knows how many secrets the parents kept from the children in order not to make them understand their difficulties. And this must make us ask other questions.
Aside fom the usual clichés and stereotypes what do we really know about the experiences of our migrants around the world for more than 200 years? In addition, what do we truly know about the differences in experiences, in Italian language (as gravy teaches us) and in traditions and customs from community to community even within the same country?
To give examples of the second question we have only to think that many Italians in Adelaide, Australia have adopted the Anglo-Saxon tradition of making eulogies at funerals and in Melbourne Italian families use masters of ceremony for weddings, particularly the receptions, but this custom is not the norm amongst Italians in Adelaide.
These considerations may seem trivial to some but these are the details that let us understand what happens when families with new cultures, customs and traditions arrive in a new country. At the same time the new arrivals bring new blood and ideas that are then incorporated in the country of residence that, truly sadly, then becomes the reason for clashes with the intolerant part of the native population.
Indeed, in talking about migration we must always remember that migrants of every kind are agents of cultural change and when cultures meet both change irreversibly as we see from the simple fact of the existence of Italian restaurants around the world and the opening in recent decades of restaurants in Italy from various cultures, both Asian and from other continents. And these examples are only the smallest part.
We have an obligation to document the history of our migration, both that of our relatives and friends overseas and that of the migrants now coming to Italy, not only because they are an integral part of our history, because Italy without mass migration would have been a different and very much poorer in every sense, but also because in documenting this history we also have a key to ensuring that migration in the future does not suffer the prejudices and problems of integration that we still read in all the newspapers around the world.
Let us go back to the example that we used to open the article. A simple English word creates discord amongst Italians because for many of them that word “offends” their idea of what it means to “be Italian”. At the same time, for the members of the certain Italian communities in the USA that same word defines their origins and therefore is part of their sense of what it means to have Italian origins. They are both right and wrong.
We can also say the same thing about “mate”, the traditional Argentinean herbal tea adopted by Italians in the country, as we have seen at times with Pope Francis who is of Italian origin, or the British “Christmas Pudding” that is now a part of Christmas meals of Italians in Australia and I have no doubt also in the United Kingdom and Canada.
So let us not be scandalized when we see apparent anomalies in online discussions because those anomalies could give us the keys to opening the doors to a past that we have not yet understood well because we have not done enough to document the history of our migration around the world. All we have to do is try to understand why.
In addition, if our relatives and friends overseas do not know the customs in Italy and then they are mocked by some inconsiderate users in Italy, we must remember that these gaps of knowledge are also and above all Italy’s fault, not only because we have not done enough to document the history of our migration but particularly because we have never done enough to teach our history and culture in a truly effective manner to the descendants of our migrants because we have not yet learnt, particularly at official levels, that cultural promotions must be carried out in the languages of the countries of residence because very few people overseas have the knowledge of our language to be able to understand them only in Italian as we usually do…
So, let us ask these questions but, even more importantly, let us look for the answers to them because they are the key to greater collaboration between Italians overseas and Italy.