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La tragedia di Centralia, la città fantasma della Pennsylvania che brucia da oltre 50 anni senza che si riesca a domare le fiamme

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Un fuoco praticamente eterno a più di 100 metri di profondità, un inferno di fiamme ed esalazioni venefiche sviluppatosi su una superficie di quasi 3.700 acri (circa 15 kmq), che ha minacciato e minaccia tutt’ora persone, flora, fauna, ambiente e strutture umane.

di Luca Rinaldi

 

Era l’anno 1962 quando nel Comune di Centralia (Pennsylvania, U.S.A.), scoppiò un incendio nelle miniere d’antracite che ne costellano ancora oggi il sottosuolo. Sembrava nulla di grave all’inizio. Si pensò che fosse dovuto ad un errore da parte di pochi vigili del fuoco volontari intenti a bruciare rifiuti in una miniera abbandonata.

I primi tentativi di soffocare le fiamme non andarono a buon fine: l’antracite è un carbone estremamente duro, di difficile accensione, ma di altrettanto difficile spegnimento in caso di combustione.

Presto l’incendio si allargò, aggredendo i pozzi carboniferi sotterranei abbandonati già dal diciannovesimo secolo, periodo in cui iniziò il declino dell’attività estrattiva nella città.

La piccola comunità, poco meno di 3.000 abitanti, con i propri fondi non riuscì a far fronte all’emergenza. A vincere fu sempre il fuoco, che perseguì la sua opera distruttiva e mostrò presto i suoi effetti anche in superficie: intaccò le falde acquifere, indebolì il terreno, uccise la vegetazione, sciolse persino l’asfalto delle strade creando voragini e crepe, ma soprattutto inquinò l’aria con una nebbia di ceneri e fumo bianco, acre.

L’allarme si fece ancora più pressante nel 1979 quando la temperatura delle cisterne di benzina interrate raggiunse  i 77,8°C. E ancora, nel febbraio del 1981, quando un ragazzino di 12 anni, Todd Dombowski  sprofondò in una buca apertasi all’improvviso a causa dell’incendio sotterraneo. L’intervento di un parente lo salvò dal fuoco, dallo sprofondamento e dalle venefiche esalazioni di monossido di carbonio.

Il governo federale degli Stati Uniti, nei vent’anni successivi allo scoppio dell’incendio, ha proceduto alla lenta evacuazione della cittadina, stanziando quasi 42 milioni di dollari per abbattere gli edifici pericolanti e trasferire gli abitanti nelle vicine comunità.

Ma se l’emergenza degli evacuati è stata risolta, trasformando oggi Centralia in una città fantasma nella quale i residenti rimasti si contano sulle dita delle mani (erano solo 7 nel 2013), non si è affatto risolto il problema all’origine dell’evacuazione: le fiamme continuano ad ardere, alimentandosi di antracite da oltre 50 anni e, secondo le stime, se lasciate a sé stesse, seguiteranno a farlo per almeno altri 250 anni.

Un fuoco praticamente eterno a più di 100 metri di profondità, un inferno di fiamme ed esalazioni venefiche sviluppatosi su una superficie di quasi 3.700 acri (circa 15 kmq), che ha minacciato e minaccia tutt’ora persone, flora, fauna, ambiente e strutture umane. Una tragedia che ha trasformato una zona, un tempo appartenuta ai nativi americani e poi cresciuta industrialmente proprio grazie all’attività estrattiva generata dal ricco sottosuolo, in una città fantasma, una macabra attrazione turistica per i più coraggiosi. Basti pensare che ha ispirato persino un film, Silent Hill, tratto dall’omonimo videogioco horror ambientato appunto in una città disabitata e in rovina, popolata da mostri e pericoli di vario genere.

 

Ma non si pensi che quello di Centralia sia un caso isolato. Sono migliaia gli incendi attivi in miniere di carbone presenti in ogni continente e rappresentano sempre più una seria minaccia globale per l’ambiente e la salute a causa delle sostanze tossiche che sprigionano.

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