Connect with us

Diritti umani

La ricerca ossessiva di notizie negative

Published

on

Tempo di lettura: 5 minuti

Questo comportamento ripetitivo, denominato “doomscrolling” e “doomsurfingsi manifesta in particolar modo in coloro che hanno una predisposizione per l’ansia ed i disturbi psicologici.

di Antonio Virgili – pres. comm. Cultura Lidu onlus

L’azione di scorrere compulsivamente le pagine di un sito, la bacheca di un social network e similari, alla ricerca di cattive notizie, è una delle forme ossessive e compulsive oramai largamente diffuse in strati sempre più vasti della popolazione.  Durante la fase critica dell’epidemia da Covid-19, specialmente a causa dell’isolamento, tale pratica ha subito una notevole espansione, ed è oramai una pratica ricorrente rispetto ad una ampia varietà di eventi negativi, sociali o naturali, dalla guerra in Ucraina alle alluvioni.

Questo comportamento ripetitivo, denominato “doomscrolling” e “doomsurfing(dooms, in inglese ha varie sfumature negative), si manifesta in particolar modo in coloro che hanno una predisposizione per l’ansia ed i disturbi psicologici.  Specialmente in tutte quelle persone che presentano qualcuno dei numerosi disturbi di ansia e che hanno più probabilità di sviluppare meccanismi legati al controllo come forma di gestione dell’ansia stessa.  L’esigenza di dover intervenire per anticipare e frenare situazioni di percepito pericolo, tipica di chi soffre di questi disturbi, può infatti portare a sviluppare una dipendenza dalle cattive notizie.

Quello del doomscrolling è un concetto abbastanza nuovo nella ricerca sulla salute mentale che tuttavia ha attratto crescente attenzione proprio per la ampia diffusione negli ultimi anni.   Questa pratica, che era già presente prima della pandemia, in particolare tra persone che soffrivano di ansia e depressione, si collega alla cosiddetta distorsione cognitiva di conferma (spesso denominata bias di conferma), ovvero la tendenza a leggere solo ciò che è in linea con il proprio pensiero.  In psicologia sociale questo comportamento si associa a persone che tendono a muoversi entro un ambito delimitato dalle loro convinzioni acquisite, tentando di ricondurre a tale ambito qualsiasi situazione si trovino a sperimentare.

Le persone mostrano questo pregiudizio ogni volta che selezionano le informazioni che supportano le loro opinioni, ignorando quelle contrarie, o quando interpretano le prove ambigue come se supportassero i loro atteggiamenti esistenti. L’effetto rinforzo è maggiore per i risultati desiderati, sia per le questioni emotivamente cariche che per le convinzioni profondamente radicate. La distorsione cognitiva è molto difficile da eliminare, per cui si ritiene comunemente che possa solamente essere gestita e limitata.  La tendenza alla distorsione è, ancora una volta, più frequente in persone con livelli di ansia medio-alti.

Ѐ forse utile ricordare che, clinicamente, l’ansia emerge nella seconda metà del diciannovesimo secolo, per lo più immaginata come un sottoinsieme di sintomi che esistevano accanto e all’interno di nevrastenia e malinconia. Nel 1980, invece, il DSM-3 ha introdotto una categoria distinta di disturbi associati con “Ansia e preoccupazione eccessive (aspettativa apprensiva)”, mentre l’attuale DSM-5 (2013) fa un’associazione esplicita non solo con le aspettative future ma anche con la cronicità di una condizione in atto.

Distingue pure, in modo rilevante, tra l’ansia come “anticipazione di una minaccia futura”, e la paura, che è “la risposta emotiva all’imminente, reale o percepita, minaccia”.  In molte società contemporanee, sempre più complesse e sviluppate, nelle quali individualizzazione, alienazione, precarietà ed anomia si mescolano producendo contesti sociali e stati mentali confusi, accentuati dal passaggio dai modelli sociali collettivi tradizionali a quelli fluidi della modernizzazione e dei mass media, si presenta una quantità crescente di persone con ansia.   Si potrebbe dire sia un tratto antropologico-sociale di un numero crescente di società caratterizzate da sviluppo economico e tecnologia diffusa.

Anche chi già soffre di depressione è solito cercare online notizie che confermino la propria visione negativa del mondo e della vita.  La pandemia che, come detto, ha accentuato il malessere psicofisico, non ha certo aiutato le persone ad abbandonare questa abitudine negativa che si è anzi consolidata nella popolazione, indipendentemente dall’età personale, quindi non coinvolgendo più solo gli utilizzatori giovani di social networks.   Proprio in occasione del Covid-19 si è studiato che l’accesso alle informazioni sulla salute tramite le fonti dei media tradizionali può imporre meno stress psicologico di quanto accade qualora si usino i social media.

Le fonti multimediali tradizionali abitualmente presentano un singolo elemento alla volta sul quale riflettere, i social media, al contrario, mostrano informazioni su una vasta gamma di argomenti e l’utente tende a trovare connessioni personali con altre notizie o con gli autori.  Gli stessi mezzi di comunicazione contribuiscono poi in vario modo a questo bisogno: dalla possibilità di attivare le notifiche dalle app dei quotidiani, ai talk-show trasmessi in televisione da guardare a casa, ai podcast di attualità che si possono seguire mentre si è in auto, alla possibilità di raggiungere sempre e ovunque le ultime notizie e, non ultimo, accentuando ulteriormente l’effetto distorsivo, che è alimentato dalle caratteristiche degli algoritmi che governano i social network i quali, in base al tracciamento delle precedenti scelte effettuate e dei relativi contenuti, tendono a riproporre le notizie sulle quali cui ci si è soffermati maggiormente e riproponendo contenuti simili.

Sembra, per tali motivi, preferibile non utilizzare i social media per messaggi connessi alle malattie perché si possono indurre costi psichici per gli utenti, in quanto suscettibili di essere esposti a una serie di informazioni aggiuntive che possono aumentare l’attuale livello di depressione o disturbo da stress post-traumatico.    Diviene cioè una specie di modalità di lettura “paranoica” la quale potrebbe essere intesa anche come un sintomo di un conflitto latente, vissuto come intollerabile, ed un bisogno di essere rassicurati.

L’esigenza di dover intervenire per anticipare e “tamponare o controllare” situazioni di pericolo, tipica di chi soffre di questi disturbi, porta a sviluppare una dipendenza dalle cattive notizie.  Il sempre più diffuso senso di incertezza dato dai contesti sociali e culturali oramai prevalenti contribuisce a spingere alla ricerca di informazioni che aiutino a comprendere ciò che succede, cosa potrebbe accadere e come risolvere situazioni critiche, ciò anche quando queste informazioni rendono le persone ansiose, tristi o preoccupate.

La vita nelle società complesse industriali è costellata da stimoli e da notizie di cronaca (spesso di eventi negativi, perché attraggono di più) anche quando non usiamo i nostri apparati elettronici personali, basti pensare alle pubblicità sui mezzi pubblici o agli schermi nelle stazioni o al sottofondo audio in tanti altri luoghi.    Se non si è consapevoli del problema e della martellante presenza, si verifica una totale assuefazione, senza rendersene conto, a questa presenza fagocitante che, a lungo andare, influenza le giornate della maggior parte delle persone, contribuendo a far insorgere una frequente sensazione di attesa e di angoscia e la necessità di “restare connessi”.   Come spesso accade con i disturbi di natura psicologica o ad induzione sociale, spesso non si è consapevoli di ciò e delle spinte subite, le ricerche ossessive ne sono la manifestazione.   Il contesto sociale descrive e prevede aspettative in tal senso, imponendo aggiornamenti frequenti di ricerca delle notizie, di risposte ed altri meccanismi coinvolgenti.   Dover tenere il passo di WhatsApp o di Facebook è prassi estremamente comune.

Ciò porta a frequenti ed intense emozioni di ansia, incertezza, preoccupazionepaura, angoscia, confusione, che a loro volta portano a difficoltà nel dormire, diminuzione dell’appetito e scarso interesse per attività che di solito piace fare.   Si attiva un circolo vizioso, cercare notizie negative serve a dare un senso all’esperienza che si vive ed a quello che sta succedendo nel mondo, aiuta a fare ordine in una situazione incerta e a riempire il vuoto informativo. L’aspettativa è di ampliare le prospettive, arrivare ad un maggiore senso di controllo (più se ne sa, più se ne capisce, più può controllare) e quindi ridurre le emozioni negative.       In realtà, invece, così facendo si ottiene l’effetto opposto: si finisce in una spirale di notizie negative ed incerte che porta ad un’ulteriore esacerbazione di paura e preoccupazione, in un meccanismo negativo nel quale le persone sembrano rimanere intrappolate.

In sintesi, si possono schematicamente indicare le seguenti caratteristiche connotative della ricerca ossessiva di notizie:

  • C’è un focus ossessivo solo su alcuni contenuti ed aree tematiche
  • Stretta relazione con ansia e fattore temporale futuro (ne è alimentata e la alimenta)
  • Potenzia gli effetti sociali della onnipresente integrazione della tecnologia con la vita quotidiana e delle relazioni degli utenti con i propri dispositivi
  • Vi è predisposizione a manifestarsi in persone che presentano ansia e stress, ed in situazioni e contesti instabili o non ben definibili
  • Accresce, in generale, gli stati di ansia, disagio. apprensione
  • Diviene una abitudine che può produrre dipendenza progressiva, rendendo sempre più frequente la consultazione dei social network che diviene una necessità assoluta
Print Friendly, PDF & Email