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Diritti umani

La condizione della donna nelle religioni – Tra Sati e Piedi di Loto

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Tempo di lettura: 4 minuti

Intervista al Prof. Mario Balzano – Teologo, esperto di storia delle religioni.

La cartina di tornasole capace di giudicare una società, una cultura, una religione è indubbiamente la condizione delle donne, quindi per la precisione in che modo la donna viene considerata. Fondativa per ogni cultura è la religione a lei propria, così inevitabilmente è necessario partire proprio dalla religione per comprendere la condizione delle donne in ognuna di esse. Sarà anche il caso di considerare l’ateismo come religione, in quanto arrogarsi il pensiero di credere alla non esistenza di Dio, o meglio della trascendenza, è pensiero equiparabile alla religione: di qua io credo nell’invisibile, di là solo nel visibile dato da occhi che sono meno, molto meno, di quelli di un microbo nell’universo.

Ora partendo da Oriente è bene ricordare quanto segue riguardo al buddhismo:

“All’epoca di Buddha Shakyamuni, la condizione delle donne nella società indiana era di assoluta inferiorità, e Buddha per quanto illuminato non fu da meno nel considerare la donna sia pure un essere in via di evoluzione, ma che per completare il suo percorso avrebbe dovuto reincarnarsi come uomo. […] Inoltre in Oriente i maestri non sono sempre disposti a dare insegnamenti alle donne, oppure le escludono dai più complessi.” Certamente vi sono aperture come la rappresentazione del Buddha come una donna nel panorama buddhista, tuttavia queste rimangono pur sempre impossibilitate al raggiungimento del Nirvana, previa la reincarnazione in un uomo.[1]

Parlando dell’Induismo, di cui il buddhismo è una eresia, la condizione delle donne è a dir poco penosa, e purtroppo ancora oggi può raggiungere picchi di profonda gravità inumana.

“Nel corso del tempo la donna è stata sempre più relegata alle mura domestiche ma, cosa più importante, ha perso il suo valore religioso: fino a pochi anni fa le donne non potevano infatti leggere testi sacri né partecipare a riti religiosi di alcun tipo. I figli maschi avevano l’incarico di accendere il rogo funerario dei genitori: in assenza del figlio maschio e di questa pratica, l’anima dei genitori si sarebbe reincarnata infinitamente. Assumendo questo ruolo a livello religioso, anche il figlio subordina la madre, che è considerata solo come consorte, indispensabile per avere figli maschi che possano portare alla salvezza dell’anima. Se la donna ha identità solo come moglie, quando muore il marito non ha più senso di esistere. La vedova viene quindi abbandonata, allontanata e costretta ad una vita di rinunce. Negli ambienti tradizionali la vedova deve radersi la testa, poiché ogni singolo capello manda una reincarnazione al marito. Deve inoltre vestirsi di bianco, colore del lutto e non le è più permesso indossare il Sindur (la polvere rossa che solitamente si mette sulla testa) né gioielli di alcun tipo.

Moltissime vedove si riuniscono negli Ashram, comunità per vedove che raccolgono un grandissimo numero di donne. Molte vedove possono contare sulla pensione mensile che gli viene garantita, ma non è così per tutte: altre sono costrette a fare l’elemosina o a prostituirsi ancora oggi. La loro condizione è emblematica: permette di capire che le radici del perché la condizione della donna in India sia così critica sono da ricercare nella religione, ma soprattutto nell’economia. Mantenere una vedova ad esempio, costa perché è una spesa a vuoto.

Per sopperire a questo problema, negli anni passati la vedova poteva sublimare la sua devozione al marito immolandosi e morendo con lui sulla pira funeraria. Questo fenomeno è denominato sati. Codesta pratica disumana si diffonde nel 400 d.C. specialmente nella casta dei guerrieri. Nel 1829, sotto il governo inglese, la pratica venne proibita ma con scarsi risultati. È grazie ai riformatori indiani, arrivati in seguito, che ormai è una pratica poco in uso (si stima un caso su un milione) ma la cronaca recente fa pensare che ci siano episodi del genere nelle aree rurali che sfuggono al conteggio. Nel 1987 il fenomeno della sati balza alla cronaca: una ragazza di 18 anni di nome Rup, dopo 8 mesi di matrimonio, muore sati in un villaggio. Rup era una ragazza istruita e per questo si pensa che fosse contraria al gesto, ma che drogata e spinta dal suocero alla fine sia mancata. Nel 2006 ci sono stati tre casi denunciati di sati.”[2]

Nel 2019 si forma una lunga catena umana di 620 chilometri formata da almeno 3 milioni di donne, nello stato indiano di Kerala: una catena umana di rivendicazioni, di diritti e di uguaglianza. A protestare sono le donne contro la disuguaglianza di genere e per affermare il proprio diritto alla preghiera.

In Cina prof. Balzano fino a cento anni fa vigeva la pratica del Piedi di Loto.

Una pratica millenaria e crudele di cui restano ancora poche tracce. Le dita venivano rotte perché i piedi potessero essere «plasmati» in una forma diversa da quella anatomica: dovevano diventare simili ai fiori di loto. Era l’antica pratica cinese della legatura dei piedi: un’usanza che ha mille anni e che è stata considerata normale per secoli, fino al 1911, quando finalmente è diventata illegale.

Eppure c’è ancora chi può raccontare e mostrare che cosa accadeva ai piedi delle donne.

Zhou Guizhen, 86 anni. Vive nel villaggio Liuy, nella provincia meridionale cinese di Yunnan ed è una delle poche sopravvissute. Racconta di avere sofferto dolori lancinanti e di essere diventata disabile.

La legatura era stata adottata da quando la concubina dell’imperatore Li Yu si fasciò piedi per eseguire la danza del Loto: divenne tradizionale prima fra le donne delle classi alte (che potevano permettersi di non lavorare), poi si diffuse in tutti gli strati della società. Perché avere i piedi a forma di loto veniva considerato un segno di ricchezza e di bellezza, e permetteva di trovare un marito facoltoso.”[3]

Si tramanda fino a noi attraverso la favola di Cenerentola.

[1] Cfr. G. Ceppi, La donna nel buddismo, in https://www.ilpostalista.it/teo/pdf/donna.pdf

[2] G. Smaldone, Essere donna in India è una faccenda molto complicata., in https://www.losbuffo.com/2017/05/15/la-condizione-della-donna-india-tradizione-modernita/ (15/05/2017).

[3] M. Coviello, Quei piedi che dovevano sembrare fiori di loto, in https://www.vanityfair.it/news/storie-news/2019/06/14/cina-donne-piedi-di-loto-foto (30/12/2019).

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