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Arte & Cultura

La condizione della donna nelle religioni – La rivoluzione di Cristo

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Tempo di lettura: 8 minuti

Intervista al prof. Mario Balzano – Teologo, esperto di storia delle religioni.

di Anna Maria Antoniazza

Ora è necessario far capire la grande rivoluzione che avviene con Gesù e il cristianesimo riguardo alle donne.

Prima di tutto Gesù entra a casa delle donne, le donne sono sue discepole, entrambe le cose erano impensabili, infatti le donne non potevano fare entrare uomini in casa e tanto meno avere una istruzione. Tanti sono i momenti dove si evince come il rapporto che Gesù ha con le donne sia privilegiato, ma, più del resto, due sono i fatti che attestano in modo davvero evidente come la donna per Cristo, sia d’importanza pari se non superiore all’uomo. Già l’incipit della nascita è clamoroso: Giuseppe torna a casa e scopre Maria incinta! Dovrebbe morire e invece Giuseppe, dopo il sogno dell’Angelo, la “perdona”. Per i non credenti, chi ha inventato questa storia è davvero fuori contesto!

Cristo quando risorge si manifesta alle donne, in particolare a Maria di Magdala, la Maddalena.

Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” – che significa: “Maestro!”. Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto.» (Gv 20, 1-18).

Maddalena è detta l’Apostola degli Apostoli poiché fu lei ad annunciare la resurrezione. Ora, parlando ai non credenti, è veramente incredibile, che uno scrittore visti i tempi dove la donna era così non considerata avesse potuto inventare tale fatto. Molto importante è infatti considerare il contesto storico ogni volta che si analizza il testo.

Altro fatto decisivo è sapere che per la Chiesa l’unico essere umano ad essere stato assunto in cielo con il proprio corpo è Maria, la Madonna. Non un uomo ma la madre di Gesù, una donna.

Altri fatti davvero clamorosi visto il contesto:

Pensiamo ancora a quelle categorie che erano pubblicamente disprezzate dal sentire comune del tempo: prostitute, adultere, peccatrici. Anche a loro Gesù porta la sua parola d’amore in grado di cambiare la vita. Alla Samaritana dice: “Infatti hai avuto cinque mariti, e quello che hai ora non è tuo marito”, dimostrando così di sapere i segreti della sua vita e in questo modo ella lo riconosce come il Messia e va a testimoniarlo ai suoi compaesani. Alla pubblica peccatrice che gli lava con olio i piedi, facendo scandalizzare il padrone di casa fariseo, Gesù dice: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato”.

Infine il famosissimo episodio della donna sorpresa in adulterio e portata da Gesù per metterlo alla prova: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei”. Questa risposta è così splendida che sorprende tutti, provocando la consapevolezza dei loro peccati, dato che il peccato della donna era anche la conferma delle loro trasgressioni; è così che alla fine rimangono solo Gesù e la donna, la quale viene invitata a non peccare più.

Marta, sorella di Lazzaro, vede il fratello risorgere dopo aver professato la fede in Gesù: “Sì, o Signore, credo che tu sei il Cristo, Figlio di Dio”.

Saranno ancora le donne ad accompagnare Gesù verso il Golgota e che gli faranno dire: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me”, dimostrando ancora una volta un modo di rapportarsi con il genere femminile che costituisce un’assoluta novità.”[1]

Fondamentale è riportare ancora quanto segue:

“Nella Chiesa antica la differenza maschile e femminile non è mai stata in opposizione, bensì in armonia con il fatto che entrambi sono parte dell’unità dell’essere umano: l’uomo, così come la donna, non esistono “da soli” ma acquisiscono un senso e una pienezza solo se si pongono “in relazione”. «Le donne cristiane», ha spiegato Rodney Stark, «godevano davvero di maggior uguaglianza con gli uomini di quanta ne avessero le controparti pagane o ebree» (R. Stark, “Il trionfo del cristianesimo”, Lindau 2012, p. 166). Teodoreto di Cirro (393 circa – 457 circa), vescovo di Cirro, in Siria, scriveva: «Al pari dell’uomo la donna è dotata di ragione, capace di comprendere e conscia del proprio dovere; come lui essa sa ciò che deve evitare e ciò che deve ricercare; può darsi talvolta che esse giudichi meglio dell’uomo ciò che può riuscire utile e che essa sia una buona consigliera» (citato in F. Agnoli, “Inchiesta sul cristianesimo”, Piemme 2010, p. 60). Lo conferma anche l’archeologia: uno studio sulle sepolture in catacombe sotto Roma, basato su 3733 casi, ha rivelato che le donne cristiane avevano quasi le stesse probabilità degli uomini di essere commemorate con lunghe iscrizioni. Questa «quasi uguaglianza nella commemorazione di maschi e femmine è qualcosa di peculiarmente cristiano, e differenzia i cristiani dalle popolazioni non cristiane della città», ha spiegato Brent D. Shaw, storico canadese dell’Università di Princeton (B.D. Shaw, “Season of Death: Aspects of Mortality in Imperial Roman, Journal of Roman Studies 1996, p. 107)

Questi elementi insieme al culto di Maria, fecero sì che nelle comunità cristiane, fin dall’inizio, ci fu una prevalenza numerica delle donne. La crescita di comunità sane con la presenza di molte donne virtuose fu decisiva per la crescita demografica dei cristiani: accadde infatti che i pagani trovavano donne virtuose per contrarre matrimoni nelle comunità cristiane. La percentuale di unioni tra donne cristiane e uomini pagani fu relativamente alta, e generò molte conversioni dei coniugi maschi al cristianesimo. La conseguenza ultima di questi fenomeni fu ovviamente un aumento del tasso di natalità all’interno dei circoli cristiani. Come ha osservato lo storico della Chiesa dell’Università di Cambridge, Henry Chadwick, «il cristianesimo sembra aver riscosso un successo speciale fra le donne. E’ stato spesso attraverso le mogli che esso ha raggiunto le classi elevate nei primi tempi» (H. Chadwkic, “The Early Church”, Penguin Books 1967, p. 56).

Ma perché questa sproporzione numerica di donne rispetto agli uomini? Rodney Stark lo ha spiegato così: «Perché il cristianesimo offriva loro una vita enormemente superiore a quella che avrebbero altrimenti condotto» (R. Stark, “Il trionfo del cristianesimo”, Lindau 2012, p. 162). La differenza con altre culture è stata spiegata più sopra. Per questo Rodney Stark, a conclusione del suo lavoro sull’incredibile diffusione del cristianesimo nei primi secoli, ha spiegato: «L’ascesa del cristianesimo fu opera delle donne. In risposta alle speciali attrattive che questa religione presentava ai loro occhi, la Chiesa delle origini riuscì a convertire molte più donne che uomini, e questo in un mondo dove le donne scarseggiavano. Tale eccesso di donne diede alla Chiesa un noto vantaggio perché portò a una fertilità cristiana sproporzionalmente elevata e a un crescente numero di conversioni secondarie (dei loro mariti)» (R. Stark, “Il trionfo del cristianesimo”, Lindau 2012, p. 180,181)

Eppure, ha sottolineato nel 2009 lo scrittore Francesco Agnoli, esiste un’idea abbastanza diffusa che vede la Chiesa cattolica come l’artefice della discriminazione della donna come essere inferiore. Per smentire questa calunnia basterebbe citare le innumerevoli grandi donne del cristianesimo, partendo dalle diverse martiri dei primi secoli (Agnese, Tecla, Cecilia, Margherita, Blandina…), venerate da tutto il popolo cristiano con immensa devozione e derise dai polemisti anticristiani, come Celso a Porfirio, che nei loro libelli sottolineano che alla “nuova religione” aderiscono non tanto uomini colti e filosofi, quanto “donnette”, “donne sciocche”, “schiavi” e “ragazzini”. Mentre le donne più importanti dell’antichità di cui si conserva il nome sono pochissime, sovente ricordate più per la loro condizione di etere e prostitute d’alto bordo che per altri motivi, innumerevoli sono le donne colte dei monasteri, le donne nobili o meno dedite alle opere di carità (Pulcheria, Eudoxia, Galla Placidia, Olimpia, Melania…), così pure come con le donne che hanno cambiato la storia dei loro regni come le principesse Clotilde, Teodolinda, Berta Di Kent, Olga di Kiev. «Dappertutto», ha scritto la storica Régine Pernoud, «si constata il legame tra la donna e il Vangelo se si seguono, tappa dopo tappa, gli avvenimenti e i popoli nella loro vita concreta» (R. Pernoud, “La donna al tempo delle cattedrali”, Rizzoli 1986, p. 18). Dopo che san Paolo ha sconvolto tutto il pensiero antico, proclamando che “in Cristo non c’è più né giudeo né greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero” (Gal 3, 28) è utile far presente che il cristianesimo è l’unica religione in cui il rito di iniziazione e quindi di ammissione alla comunità, cioè il battesimo, è uguale per uomini e donne.”[2]

Nessuno mai sentirà una donna di fede lamentarsi perché non hanno potere all’interno della chiesa, una donna di fede sa infatti molto bene che alla donna è concesso qualcosa che forse all’uomo non è concesso così sovente, come la vicinanza spirituale, la preghiera, le visioni mariane. Per quanto riguarda le apparizioni: a Fatima sono due bambine e un bambino; a Lourdes è Bernadette Soubirou, una ragazza ad essere spettatrice; a Medjugorje appare a 4 ragazze e 2 ragazzi, con preminenza verso Ivanka. Per non parlare di san Giovanna d’Arco.

La condizione della donna oggi in occidente è figlia diretta della grande rivoluzione culturale posta dal cristianesimo che ha permesso l’emancipazione femminile.

Purtroppo il problema è radicale ma non è colpa delle donne bensì dell’uomo, ed è un problema che sorge dalla natura. Ecco in natura vige la legge del più forte, e per questo il maschio spesso è dominante proprio in natura. Stessa cosa ha da sempre fatto l’essere umano, che lungi dall’elevarsi dalla natura ne traduce nei suoi comportamenti la legge propria dove il più forte vince. Ecco che il maschio è fisicamente, muscolarmente più forte della femmina, e questo si riverbera tutt’oggi nella società fin dagli albori. Tuttavia è stato proprio questo a permettere che il genere umano naturalmente potesse sopravvivere, infatti considerate quanto segue:

cosa sarebbe successo se fosse stata la donna ad andare a cacciare e l’uomo a rimanere a casa ad accudire la prole? Probabilmente sarebbe tutto finito prima di iniziare. Il problema fondamentale è l’uomo, il maschio, che rimanendo incatenato alla natura, non hai mai riconosciuto la pari dignità del ruolo della donna, un ruolo decisivo per l’umanità, come è ovvio che sia. Purtroppo tale ovvietà sembra non essere tale.

La vera cultura riesce a sopperire le dinamiche della natura: alla forza si sostituisce la scelta dell’amore, questa è la vera cultura.

La cultura sceglie cosa è buono e cosa non lo è, proprio perché solo l’uomo riesce ad andare oltre le dinamiche del bisogno e della forza, caratteristiche precipue della natura. Una società civile è una società dove la cultura sovrabbonda nella mancanza della natura. Il maschile predominante è il profondo retaggio naturale insito nell’essere umano: in una società civile tutti siamo uguali in dignità, rispettando però le differenze proprie della natura.

La natura è di per sé violenta, in natura non vi è giudizio, in natura il più forte vince. Questo e solo questo permette la vita. Tuttavia la natura preserva la differenza, sempre e comunque, così come la forza anche la differenza preserva la vita. Abbandonare la forza e preservare le differenze, non è scelta arbitrale dell’uomo che della natura rifiuta una cosa e ne accetta un’altra: la violenza se è dell’uomo è animale; la differenza se è dell’uomo preserva la vita.

Come vogliamo concludere questo ciclo di interviste dedicate alla condizione femminile?

Concludiamo queste riflessioni con un pensiero di Donatella di Cesare, filosofa ebrea, riflessione che trae origine dalla condizione della condizione ebraica della donna stessa ma che evidentemente può essere riflessione per ogni società che si voglia dire civile.

“La condizione della donna nell’ebraismo è un tema che merita profonda e attenta riflessione. Perché c’è il rischio che possano prevalere pregiudizi, stereotipi e luoghi comuni. L’emancipazione non può essere più confusa con la liberazione. È vero che le donne sono riuscite a modificare la propria esistenza, protetta e relegata, che sono giunte a una impensabile libertà. Ma spesso si fraintende questa libertà: come se si trattasse di ricalcare semplicemente i modelli maschili. Così nel segno dell’emancipazione si rivendica l’esigenza di parlare e di parlare sempre più ad alta voce. E se invece la liberazione fosse proprio l’opposto? Fosse ad esempio la necessità di far capire anche agli uomini quanto sia importante – e assolutamente attuale – la qualità prettamente femminile dell’ascolto?

Non occorre essere uguali, dove l’uguaglianza viene svuotandosi di contenuti. Piuttosto è indispensabile porre l’accento sulla differenza, sottolineare ricettività, accoglienza, abbandono, tutti quei tratti “femminili” che sono stati dimenticati, esclusi, spinti nell’oscurità. Da questa oscurità, che loro stessi hanno contribuito a determinare, gli uomini si sono sentiti e si sentono minacciati. La donna è nel loro immaginario quella pericolosa fragilità che mina la loro pace spirituale.

Anche nell’ebraismo ha prevalso una interpretazione maschile, razionale. Il che non vuol dire che il femminile non abbia uno spazio ancora in gran parte da riscoprire, una valenza simbolica a cui è indispensabile attingere. Non solo nelle figure classiche. L’ebraismo dello scorso secolo è stato – da Etty Hillesum a Hannah Arendt – un ebraismo al femminile, fedele alla duplice differenza che lo contraddistingue, attento a restituire dignità alle donne.”[3]

[1] F. Agnoli, Indagine sul cristianesimo, cap. I cristiani e le donne, La Fontana di Siloe, Torino, 2014 in La Chiesa e la donna; la donna nelle altre religioni e culture – Storia e Chiesa.

[2] Aa.Vv, Il cristianesimo ha dato dignità alla donna e ai bambini, in https://www.uccronline.it/2010/11/17/cristianesimo-difese-e-diede-dignita-a-donne-e-bambini/ (17/11/2010)

[3] D. di Cesare, L’ebraismo e la condizione femminile in https://moked.it/blog/2009/05/25/lebraismo-e-la-condizione-femminile/

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