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Attualità

La Cina non è un altro pianeta, parte IX — China is not another planet, part IX

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di emigrazione e di matrimoni

La Cina non è un altro pianeta, parte IX

di Marco Andreozzi

Inutile riprendere le ultime notizie, visto che anche i media mondiali hanno ormai chiara la pesantissima crisi economica cinese, con l’ultimissima sulla bancarotta di Evergrande, colosso dell’immobiliare il cui fallimento è diventato impossibile da occultare. Questa serie sul declino economico cinese, cominciato con la risposta speculativa alla crisi globale del credito, arriva al culmine con il fatidico 2018, l’anno dello schianto al suolo. Molti dati misurati lo avallano – e chi scrive lo verifica direttamente in loco – nonostante la crescita ufficiale quell’anno fosse addirittura +6,7%, confermata dalle organizzazioni internazionali.

Alla fine del 2017, e revisione sei mesi dopo, usciva uno studio di Luis Martinez dell’Università di Chicago sulle manipolazioni dei dati economici nei regimi dittatoriali. Correlando i numeri ufficiali con analisi pesate dell’illuminamento notturno quale variabile sostitutiva, risultano sempre differenze tangibili nei regimi più autoritari, elasticità che decresce via via nei regimi ‘parzialmente liberi’ per coerentemente azzerarsi (con piccole variazioni) nelle democrazie libere. Le prestazioni economiche vengono esagerate afferendo sempre a sottocomponenti del PIL con basso livello di controverifica e i tassi di crescita annuale del PIL sotto dittatura risultano gonfiati di un fattore 1,15 – 1,3. Cina ed Etiopia guidano con un saggio di crescita reale negli anni 2002 – 2021 pari a meno della metà di quello ufficiale; valori elevati anche per Ruanda, Turchia e Kazakistan, tra gli altri. In sintesi, basandosi su questo studio il PIL reale cinese oggi vale la metà di quello ufficiale.

Il 12 dicembre 2018 il prof. Xiang Song-zuo dell’Università del Popolo di Pechino (人民大学), durante un seminario per studenti titolato ‘il più grande cambiamento da quarant’anni a questa parte’ (!) affermava che il Paese quell’anno sarebbe andato in recessione, citando bassi investimenti delle aziende e l’effetto della guerra commerciale trumpiana.

C’è infatti un declino un po’ in tutti i settori, dai consumi al dettaglio, alla vendita di automobili ed immobili. Egli evidenzia che nella struttura del PIL, i consumi valgono il 78,5%, chiedendosi: “in un Paese come la Cina, se gli investimenti diminuiscono in modo drammatico, possiamo mantenere la stabilità economica sulla base dei sui soli consumi?” Con l’economia che rallenta, il rischio finanziario cresce e le attività delle ‘banche-ombra’ (sistema bancario parallelo a quello ufficiale) si restringono rapidamente.

Il mercato dei finanziamenti diretti (buoni del tesoro e azioni) si dimezza rispetto al 2017. Il crollo borsistico è paragonato al 1929 di Wall Street con le aziende quotate che non generano utili, e molte società insolventi. Il debito totale causato dai fallimenti nei primi tre trimestri supera l’equivalente di 14 miliardi di dollari USA e, secondo dati governativi, potrebbe superare 17 miliardi di dollari, con molte attività commerciali già in bancarotta. “Le imprese crollano a frotte” (cit.), inclusi i grandi gruppi di stato. La Bohai Acciai, già in lista Fortune-500, va in bancarotta con un debito di 26 miliardi di dollari, “ma il dato reale potrebbe arrivare fino a 40 miliardi di dollari” (cit.) nella sfumata ‘numerologia’ economica della Cina. Inoltre, gravissimo il debito dei governi locali, congruente con la dimensione del settore immobiliare e superiore a 5.500 miliardi di dollari (tre volte il PIL italiano), impossibile da onorare. L’economia cinese è ormai prevalentemente speculativa, con le stesse imprese manifatturiere che negli anni hanno preferito investire in azioni. Segue

La Cina non è un altro pianeta – Marco Andreozzi – Libro – Mondadori Store

di emigrazione e di matrimoni

China is not another planet, part IX

by Marco Andreozzi

It is useless to refer to the latest news, given that even the world media have by now understood the true serious Chinese economic crisis, with the very latest on the bankruptcy of Evergrande, a real estate giant whose default has become impossible to hide. This series on China’s economic decline, which began with the speculative response to the global credit crunch, eventually leads to the fateful 2018, the year of the crash. Many measured data prove it – and I verified it directly on the spot – despite the official growth-rate that year being as much as +6.7%, confirmed by international organizations.

At the end of 2017, and revised six months later, a study by Luis Martinez of the University of Chicago on the manipulation of economic data in dictatorial regimes was published. By correlating the official numbers with weighted analyzes of night lighting as a proxy, there are always tangible differences in the more authoritarian regimes, an elasticity that gradually decreases in ‘partially free’ regimes to consistently zero (with small variations) in free democracies. Economic performance is exaggerated by always manipulating low-counter-checked sub-components of GDP, and annual GDP growth rates under dictatorship turn out to be inflated by a factor of 1.15 – 1.3. China and Ethiopia lead with a real growth rate in the years 2002 – 2021 equal to less than half of the official one; high values also for Rwanda, Turkey and Kazakhstan, among others. In summary, based on this study, China’s real GDP is currently worth half of the official one.

On December 12, 2018, Prof. Xiang Song-zuo of Beijing People’s University (人民大学), during a student seminar titled ‘the biggest change in forty years’ (!) stated that the country would enter a downturn that year, citing low corporate investments and the effect of the Trumpian trade war. There is in fact a decline in all sectors, from retail consumption to the sale of cars and real estate.

He points out that in the GDP structure, consumption is worth 78.5%, asking himself: “in a country like China, if investments decrease dramatically, can we maintain economic stability on the basis of consumption alone?” With the economy slowing down, the financial risk increases and the activities of the ‘shadow banks’ (banking system parallel to the official one) shrink rapidly.

The market for direct financing (treasury bonds and shares) has halved compared to 2017. The stock market crash is compared to 1929 of Wall Street with listed companies not generating profits, and many insolvent businesses. The total debt caused by the bankruptcies in the first three quarters exceeds the equivalent of US$14 billion and, according to government figures, could exceed US$17 billion, with many businesses already bankrupt. “Enterprises are collapsing in droves” (quote), including large state groups. Bohai Steel, already in the Fortune-500 list, bankrupted with a debt of US$26 billion, “but the real figure could reach up to US$40 billion” (quote) in China’s sfumata economic ‘numerology’. Also, the debt of local governments is very serious, consistent with the dimension of the real estate sector and exceeding US$5,500 billion (three times the Italian GDP), impossible to pay off. The Chinese economy is now predominantly speculative, with the same manufacturing companies that over the years have preferred to invest in stocks. To be continued

La Cina non è un altro pianeta – Marco Andreozzi – Libro – Mondadori Store

Marco Andreozzi, è Dottore in Ingegneria Meccanica, Economia/Amministrazione (Politecnico di Torino), tecnologo industriale e specialista del settore energetico, proviene da esperienze professionali in cinque multinazionali in Italia e paesi extra-europei, e come direttore generale; nomade digitale dal 2004, e sinologo, parla correttamente il mandarino.
Marco Andreozzi, is Doctor of mechanical engineering (polytechnic of Turin – Italy), industrial technologist and energy sector specialist, comes from professional experiences in five global corporates in Italy and extra-European countries, and as business leader; digital nomad since 2004, and China-hand, he is fluent in Mandarin.

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