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L’italiano che parliamo (o non) ci identifica— The Italian we speak (or not) identifies us

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di emigrazione e di matrimoni

L’italiano che parliamo (o non) ci identifica

Ho due madrelingua e moltissimi figli di emigrati italiani nel mondo sono come me. Ovviamente la prima madrelingua è l’italiano, che era la lingua che parlavamo in casa e poi è arrivato l’inglese del mio paese di nascita, l’Australia.

Nel mio caso avevo la fortuna d’avere due genitori da regioni diverse, mio padre dalla Calabria e mia madre del Lazio, per cui parlavamo la lingua nazionale. Però, nella maggioranza dei casi gli emigrati italiani si sposavano con paesani, oppure con corregionali, e di conseguenza la lingua parlata in casa era il loro dialetto.

E nel discorso che voglio fare in questo articolo, il lettore deve ricordarsi sempre che fino a non tanti anni fa la stragrande maggioranza dei nostri emigrati erano di origini rurali, quasi analfabeti del tutto, che non vuol dire ottuso, ma con un vocabolario limitato alla loro vita in Italia prima di partire o, nel caso dei maschi, anche quel che avevano appreso nel servizio militare, sia d’obbligo, che in tempo di guerra per gli emigrati delle ondate post guerra, che certamente non era adatto alla vita nel nuovo paese.

Perciò, nel parlare della lingua dei nostri emigrati, e la mia casa non era un’eccezione, la lingua che parlavamo cambiava perché nel corso degli anni abbiamo aggiunto parole di origine inglese per descrivere cose per cui i genitori non sapevano le parole italiane.

Sotto c’è  l’immagine di un “dizionario” che paragona l’inglese con l’italiano e la parola “italo-australiana” utilizzata in casa. Quel che rende questa immagine particolare è la modifica di “Italo-American”, che è come gli italo-americani di solito si descrivono, che svela come la lingua è cambiata allo stesso modo negli Stati Uniti.

Questo è successo ovunque ci fossero emigrati italiani e non ho dubbi che alcuni “falsi amici”, cioè parole simili nelle due lingue che hanno significati diversi, e la parola “marchetta” sopra ne è un buon esempio, abbiano creato equivoci tra emigrati all’estero e i loro parenti in Italia. Un esempio di “falso amico” tra l’italiano e lo spagnolo del Sud America è “burro” che in spagnolo vuol dire “asino”

E poi, nel caso particolare degli Stati Uniti dobbiamo considerare che, più di qualsiasi altro paese di emigrazione e per motivi che potrebbero essere più tristi di quel che sappiamo, una percentuale delle famiglie, e purtroppo non possiamo più sapere quante, hanno deciso di non parlare l‘italiano (o il dialetto) in casa. E quel che rende questi casi interessanti è che hanno mantenuto altre tradizioni, come in cucina e le grandi feste, ecc.

Benché la decisione di bisnonni/nonni/genitori di fare questo passo drastico fosse indubbiamente per il bene dei loro figli, questo ha avuto un effetto che ora vediamo ogni giorno nei social media, con utenti discendenti di questi emigrati che ora cercano le loro origini, così come chiedono aiuto per cercare parole e ricette, ecc. perse nel tentativo di “assimilare” i figli ed i discendenti negli Stati Uniti. E la prova della ricerca della parte italiana della loro identità personale è nel numero di persone che ora fanno le prove del DNA per mostrare la loro italianità. Un fatto da non sottovalutare affatto.

Le scuole dei paesi di residenza hanno dato loro poca possibilità di poter imparare la lingua o la Storia e la Cultura d’Italia, e quindi hanno poche idee di cosa vuol dire essere italiano tranne quel poco che rimane di ricordi infantili che, come succede a tutti, cambiano mentre cresciamo fino al punto che quel che ricordiamo non assomiglia a quel che era stato detto o raccontato. E dunque il tempo, e soprattutto il passaggio delle generazioni, ha solo aumentato il distacco tra i figli/discendenti e il paese d’origine dei loro avi.

Per capire questi cambi basta vedere un qualsiasi film italiano degli anni ’30 per vedere quanto sia cambiata la nostra lingua nel corso dei decenni. Che vale anche in Italia con l’italiano parlato da città a città e da regione a regione.

Allora, se la nostra lingua è cambiata, e cambia ancora in Patria, come poteva NON cambiare all’estero? 

Come sappiamo, la lingua che parliamo è una parte fondamentale della nostra identità personale e quindi la lingua parlata, o non parlata in molti casi, ci fa capire le origini di ciascuno di noi perché la lingua italiana parlata all’estero identifica chi è nato e/o cresciuto in un determinato paese. E tutto questo dovuto alle decisioni dei bisnonni, nonni o genitori per cui non è affatto colpa dei loro discendenti oggigiorno se sanno poco o niente della nostra lingua…

Qualche lettore in Italia ora si chiederà perché abbiamo deciso di spiegare questi fatti in un articolo, ed i motivi sono semplici e molto più vasti di quel che alcuni potrebbero immaginare.

Il primo è ovviamente che i discendenti sentono la voglia di riconoscere il loro passato e origini, ma non hanno i mezzi di poterlo fare a causa della mancanza di linguaggio, e anche la mancanza di mezzi, compresi libri, film e programmi televisivi, nelle lingue dei paesi di nascita/residenza.

Quindi, se davvero vogliamo avvicinare i discendenti dei nostri emigrati nel mondo al Bel Paese dobbiamo ANCHE farlo nelle loro lingue.

Il secondo motivo è altrettanto importante perché è legato alla nostra voglia di promuovere ogni aspetto della nostra Cultura all’estero. Se i discendenti dei nostri emigrati sanno poco o niente della nostra Cultura e la nostra Storia, come possiamo partire con il presupposto che sentiamo fin troppo spesso dagli addetti ai lavori che “tutto il mondo sa…” su un qualsiasi aspetto del nostro paese?

Questi sono i motivi che devono spingerci a documentare e capire i cambi nella lingua italiana all’estero e non solo, per quanto sia importante, per attirare i discendenti a scoprire il loro paese d’origine.

Capire le condizioni culturali e l’atteggiamento di altri paesi verso l’Italia ci da anche la chiave per come promuovere la nostra Cultura. Questo vuol dire non solo vendere molti più prodotti della nostra Cultura all’estero, ma anche attrarre più turisti internazionali e mettere l’Italia, il paese con il Patrimonio Culturale più grande del mondo, in testa alla classifica delle mete turistiche del mondo, invece di occupare il settimo posto che non riflette affatto quel che abbiamo da offrire a turisti di ogni tipo e da tutto il mondo.

Si, la lingua che parliamo ci identifica, ma la lingua che parliamo all’estero è anche la chiave per poter finalmente realizzare il nostro enorme potenziale turistico/culturale che non abbiamo mai realizzato in pieno. Ed i posti di lavoro creati da queste promozioni ci aiuterebbe a fare crescere il nostro paese ancora di più nel periodo post-covid.

 

di emigrazione e di matrimoni

The Italian we speak (or not) identifies us

I have two mother tongues and a lot of children of Italian migrants around the world are like me. Obviously the first mother tongue is Italian which was the language we spoke at home and then came the English of my country of birth, Australia.

In my case I was lucky enough to have parents from two different regions, my father from Calabria and my mother from the Lazio region which meant we spoke Italy’s national language. But in the majority of cases Italian migrants married people from the same town, or from the same region, and subsequently the language spoken at home was their dialect.

And in the discussion we want to make in this article readers must always remember that until not long ago the vast majority of our migrants had rural origins, almost all illiterate, which does not mean unintelligent, with a vocabulary limited to their life in Italy before leaving or, in the case of the males, also to what they had learnt during their military service, whether compulsory or at time of war for the migrants of the post war migration, that was certainly not suitable for life in the new country.

Hence, in talking about the language of our migrants, and my home was not an exception, the language we spoke changed because over the years we added words of English origin to describe things for which the parents did not know the Italian words.

Below is the photo of a “dictionary” that compares English with Italian and the “Italo-Australian” used at home. What makes this image particular is the modification into “Italo-American”, that is how they usually describe themselves, which also reveals that the language changed in the same way in the United States.

This happened wherever there were Italian migrants and I have no doubts that some “false friends”, that is similar words in the two languages that have different meanings, and the word “marchetta” above is a good example, created misunderstandings between migrants overseas and their relatives in Italy. An example of a “false friend” between Italian in Spanish is “burro” (butter) that in Spanish means a donkey.

And then, in the particular case of the United States we must consider that, more than in any other country of emigration and for reasons that may be sadder than what we know, a percentage of the families, and unfortunately we can no longer know how many, decided not to speak Italian (or the dialect) at home. And what makes these cases interesting is that they kept other traditions, such as the cuisine, the great feast days, etc.

Although the decision of the great grandparents/grandparents/parents to take this drastic step was undoubtedly for the sake of the children, this had an effect that we now see every day on the social media with users, descendants of these migrants, who now ask for help in finding words, recipes, etc that have been lost in the attempt to “assimilate” the children and descendants into the United States. And the proof of this search of the Italian part of their personal identity is in the number of people who now take DNA tests to show their Italianness. A fact that is not to be underestimated at all.

The schools of the countries of residence have given them little possibility to be able to learn Italy’s’ language or its history and Culture and therefore they have little idea of what it means to be Italian except for the little that remains of childhood memories that, as happens to everybody, changes as we grow to the point that what we remember does not resemble what was said or told. And therefore time, and above all the passage of generations, has only increased the gap between the children/descendants and the country of origin of their forefathers.

And to understand these changes we only have to watch any Italian film from the 1930s to see how much our language has changed over the decades. And this is also true in Italy with the Italian spoken from city to city and from region to region.

So, if our language has changed, and still changes, in the home country how could it NOT change overseas?

As we know, the language we speak is an essential part of our personal identity and therefore the language spoken or not spoken in many cases, lets us understand the origins of each one of us because the Italian spoken overseas identifies who is born and/or raised in a certain country. And all this due to the decision of the great grandparents, grandparents or parents so it is not at all the fault of their descendants today if they know little or nothing about our language…

Some readers in Italy we now wonder why we have decided to explain these facts in an article and the reasons are simple and much broader than some could imagine.

The first is obviously that the descendants feel the desire to know their past and origins, but they do not have the means to do so due to the lack of language, and also the lack of means, including books, films and TV programmes, in the languages of the countries of birth/residence.

So, if we really want to bring the descendants of our migrants around the world closer to the Bel Paese (Beautiful Country, Italy) we must ALSO do this in their languages.

The second reason is just as important because it is linked to our desire to promote every aspect of our Culture overseas. If the descendants of our migrants know little or nothing of our Culture and History how can we start from the premise that we hear all too often from our experts that “the whole world knows…” of any aspect of our country?

These are the reasons that must push us to document and understand the changes in the Italian language overseas, and not only, as important as it is, to attract the descendants to discover their country of origin.

Understanding the cultural conditions and the attitudes of other countries towards Italy also give us the key to knowing how to promote our Culture. This means not only selling many more of our Culture’s products overseas but also attracting more international tourists and putting Italy, the country with the world’s greatest Cultural heritage, at the top of the ladder of the world’s tourist destinations, instead of occupying seventh place that does not at all reflect what we have to offer to tourists of every type from all over the world.

Yes, the language we speak does identify us but the language that we speak overseas is also the key to being finally able to fulfil our enormous touristic/cultural potential that we have never fully achieved. And the jobs created by these promotions would help us to make our country grow even more in the post-Covid period.

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