Diritti umani
Indonesia, in otto fucilati per reati di droga

Nonostante le pressioni della comunità internazionale contro Jakarta eseguite le condanne a morte per fucilazione di otto persone, di cui sette stranieri, accusati di spaccio di droga in Indonesia.
Roma, 28 aprile – Lo scorso weekend la notifica delle 72 ore dall’esecuzione della pena è stata consegnata dal tribunale di Jakarta ai condannati per il reato di contrabbando di droga, punito in Indonesia con la pena capitale mediante fucilazione. Si tratta dell’indonesiano, Zainal Abidin, degli australiani Andrew Chan e Myuran Sukumaran, del brasiliano Rodrigo Gularte, dei nigeriani Sylvester Obiekwe Nwolise, Raheem Agbaje Salami e Okwudili Oyatanze, e del ghanese Martin Anderson, che oggi hanno perso la vita a seguito di un processo durato dieci lunghi anni in Indonesia la cui sentenza è stata di condanna . Sospesa la pena per la filippina Mary Jane Fiesta Veloso, che è stata graziata perché scagionata da una donna che si è consegnata alla polizia confessando di averla assoldata come “corriere” e di essere quindi lei colpevole di traffico di droga. Mentre il francese Serge Atlaoui, per cui si è mobilitato il presidente Francois Hollande che ha minacciato ritorsioni diplomatiche sottolineando come un’esecuzione sarebbe “dannosa per le relazioni bilaterali” e denunciando “gravi carenze della giustizia indonesiana” nel corso del processo, resta in attesa entro 15 giorni del verdetto della Corte Suprema sul ricorso presentato. Gli appelli dei vari Stati di provenienza sono stati inutili. L’esecuzione è avvenuta a mezzanotte, ora locale, sull’isola di Nusakambangan, con un plotone di esecuzione composto da 12 uomini per ogni condannato, facenti capo all’unità di polizia paramilitare Brimob, con fucili automatici SSI impostati con un unico colpo. In esecuzioni precedenti, le persone erano legate a un palo. Ma nelle esecuzioni da gennaio in poi è stato messo a punto un nuovo metodo che vede i condannati legati a una tavola. La vittima può scegliere di sedersi, inginocchiarsi o stare in piedi. Come da prassi un medico controlla i corpi e se una persona è rimasta viva, il comandante del plotone di esecuzione ha il compito del ‘colpo di grazia’, una pallottola in testa da distanza ravvicinata. Grande sgomento nella vicina Australia dove, anche in forza delle relazioni di cooperazione con la vicina Indonesia, i casi che hanno fatto più rumore sono quelli degli australiani Andrew Chan e Myuran Sukumaran, i due leader della gang dei “nove di Bali” arrestati da giovanissimi nel 2005 all’aeroporto della meta turistica con otto chili di eroina. In patria, per salvarli si erano mobilitate anche delle celebrità, rinnovando gli appelli al governo di Canberra con la richiesta di un diretto intervento in Indonesia di Tony Abbott; lo stesso ministro degli Esteri Julie Bishop aveva anche minacciato conseguenze diplomatiche in caso di mancata grazia, iniziando dal ritiro dell’ambasciatore. Ma il presidente indonesiano Joko Widodo è stato irremovibile sostenendo che il traffico di droga è diventato sempre più una emergenza nazionale. Nell’ultimo decennio l’Indonesia aveva limitato l’applicazione della pena capitale per reati di contrabbando ma il nuovo presidente già in gennaio non ha voluto fermare con una grazia più volte richiesta dai Paesi d’origine dei condannati a morte, l’esecuzione di sei trafficanti, di cui cinque stranieri, senza preoccuparsi delle conseguenze diplomatiche.