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Arte & Cultura

Il Testimone. L’obelisco di Nerone e San Pietro, lo splendido romanzo storico di Paolo Biondi

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L’obelisco del Vaticano, osservatore silenzioso, continua ad essere testimone dell’evolversi del cristianesimo, da tempo proprio dalla piazza dov’è il soglio di Pietro.

Con l’attenzione e la delicatezza propri solo di coloro i quali sono “innamorati” della storia e con l’esperienza e la maestria di chi ha scritto per oltre quarant’anni, Paolo Biondi ci accompagna nel periodo storico da Caligola a Nerone attraverso l’insolita testimonianza dell’obelisco che viene da Eliopoli.

Paolo Biondi nasce a Rimini e vi inizia la sua carriera giornalistica alla fine degli anni ‘70 con il Resto del Carlino. Si occupò, originariamente, dell’attività del consiglio comunale, di eventi sportivi e della comunicazione per l’importante evento Fiera. Trasferitosi a Roma negli anni ’80, per lavorare al settimanale Il Sabato, si occupò del reportage sull’attività culturale nelle periferie italiane. In prima linea per documentare il terremoto in Irpinia, per un breve periodo fu nella redazione milanese del settimanale. Il suo ritorno a Roma coincise con la documentazione del tentato omicidio di Sua Santità Giovanni Paolo II.

Biondi scrive per il settimanale fino al 1993, anno della chiusura dello stesso e dopo alcuni anni all’Informazione e alla Rai, dal dicembre 1998 intraprende la sua carriera all’interno dell’agenzia internazionale Reuters, fino a diventarne il capo della redazione romana.

Dal 2015 la sua passione per la storia Augustea si riversa nella scrittura di quattro romanzi, attraverso i quali ci porta per mano nei tempi e nei luoghi della storia. Perché tra un mistero e l’altro, tra le righe, tutto ha un filo logico preciso e documentato che parte da Augusto e prosegue nella sua discendenza: Giulia, figlia della prima moglie Scribonia, educata da Livia, seconda moglie, nonna di Germanico e Claudio, bisnonna di Caligola e trisavola di Nerone. Ecco quindi Livia, una biografia ritrovata, I misteri dell’Ara Pacis, Giulia. Passione, poesia, potere e il dono di questo 2021, Il Testimone. L’obelisco di Nerone e San Pietro.

Quante volte osservando i monumenti, testimoni silenziosi della storia, ci siamo chiesti cosa avrebbero potuto raccontarci se avessero avuto voce.  Ed una voce, Paolo Biondi ha avuto la fortuna di “ascoltarla”. Quella di un obelisco di circa venticinque metri di granito rosso, senza punta e senza iscrizioni che stimolassero la curiosità dei passanti, Testimone privilegiato degli accadimenti della Roma imperiale.

L’iscrizione visibile oggi ECCE CRUX DOMINI – FVGITE – PARTES ADVERSAE – VICIT LEO DE TRIBV IVDA, Ecco la croce del Signore, fuggite parti avverse, trionfa il leone della tribù di Giuda, è del 1586 voluta da Papa Sisto V, come simbolo della sconfitta del paganesimo, il quale fece spostare l’obelisco, che abbelliva anticamente il circo di Caligola, davanti alla facciata della Basilica di San Pietro allora in costruzione.

Ci è dato conoscere che, il magnifico obelisco, fu fatto scolpire in Egitto dal faraone Nencoreo, quasi duemila anni prima di Cristo, trasferito poi per volere di Augusto, dopo la conquista romana dell’Egitto, da Eliopoli ad Alessandria e in seguito a Roma per ordine di Caligola. Dell’impresa titanica di quest’ultimo trasporto, nel bellissimo romanzo storico di Biondi, riceve incarico un giovane ebreo, Daniele. Le chiedo subito, conoscendo la sua passione per la storia, soprattutto quella legata al primo cristianesimo, se la scelta del nome ha in qualche modo attinenza con il Daniele ebreo considerato come l’ultimo dei quattro grandi profeti dell’Antico Testamento, al quale furono rivelati misteri concernenti gli avvenimenti futuri relativi al suo popolo, Israele.

«No, non c’è un riferimento diretto al profeta. Mi fa piacere, comunque, che lei abbia colto questa sfumatura molto pertinente. Mi permette subito di dire una cosa: i libri sono come figli. Lo scrittore dà loro vita, ma poi vivono la loro avventura in autonomia. E rivelano cose nuove e che stupiscono l’autore stesso. Perciò bisogna, in un certo senso, lasciarsi scrivere dal proprio libro. Questo ovviamente vale per tutti i libri, non solo questo».

Daniele rimane a lavorare poco distante dal luogo in cui l’obelisco trova collocazione, ovverosia nel circo che oggi conosciamo con il nome di Circo di Nerone sul quale sorse il Vaticano, e prende contatto con la comunità ebraica romana. Nella casa della promessa sposa di uno dei suoi amici conosce Pietro, il Pietro pescatore di uomini, che li coinvolge con la narrazione su Gesù. E Pietro lo rincontreremo, ammirato e contemporaneamente turbato, presago, vicino all’obelisco, quel monolite che da primo vescovo cristiano lo vedrà morire. La scelta di questo particolare obelisco ha a che fare con il suo posizionamento all’interno del circo nel quale, sulle tribune, furono forse decise le sorti dell’Impero e dei cristiani di Roma?

«Certamente. La scelta è caduta su questo, inizialmente, per due caratteristiche: l’obelisco vaticano è l’unico dei maggiori presenti a Roma (in tutto sono oltre 40) a non avere geroglifici scolpiti sui suoi lati, cioè non ha un messaggio suo da comunicarci ma può solo raccontare ciò di cui è stato testimone. La seconda caratteristica è che questo è l’unico a essere sempre rimasto in piedi, anche dopo la caduta dell’impero romano e le invasioni barbariche. Entrambe queste caratteristiche ci portano a parlare del cristianesimo a Roma, cosa alla quale il mio romanzo non si sottrae».

Il romanzo segue con perfetta documentazione la storia dei cristiani in Roma e degli ebrei resi nuovamente esuli dall’imperatore Claudio, poiché impulsore Chresto assidue tumultuantes ossia «in continuo subbuglio a causa di Cristo». Lei ha voluto ricordare ed evidenziare la nuova diaspora che allontanerà i personaggi dall’occhio vigile del Testimone. Daniele fuggirà a Messina dove incontrerà la comunità cristiana dalla quale prenderà origine il culto attuale della Madonna della Lettera, mentre i suoi amici, oramai sposati, fuggiti a Corinto incontrano Paolo di Tarso. Perché questi due luoghi e perché questi “incontri”?

«La scelta di Messina e di Tindari è in un certo senso casuale, legata ad un viaggio fatto in questi luoghi nel corso del quale sono rimasto stregato e incantato da questi magnifici territori e dalla loro storia a tal punto da decidere che il prossimo libro che avrei scritto avrebbe avuto una parte ambientata nella Sicilia Orientale. Indirettamente questo dice una caratteristica dei miei libri: altro non sono che passeggiate che faccio con i miei lettori, tenendoli per mano, nelle strade dell’antico impero romano, nella storia, nella letteratura, nell’arte e nell’urbanistica, incontrando personaggi nella loro vita quotidiana. La tappa a Corinto di Aquila e Prisca è evento storico documentato, così come il loro incontro con Paolo di Tarso e permette di capire più a fondo la vicenda della quale narro».

La descrizione minuziosa, attraverso documenti e soprattutto attraverso gli Atti, che viene resa dei luoghi e dei personaggi è rievocante e vivida. Una vita fatta di quotidianità trasforma personaggi storici, quali ad esempio Seneca, in uomini semplici. Le botteghe e gli artigiani, i palazzi, la sinagoga ed i percorsi sembrano brulicanti di vita e nel frattempo anche Paolo, giunto a Roma ha ammirato l’obelisco recandosi nelle case dove si riuniscono le piccole comunità di cristiani che ricorderà singolarmente nella Lettera ai Romani. La volontà di documentare la quotidianità, peraltro presente anche nelle sue altre opere, è uno stratagemma per avvicinare qualsiasi tipo di lettore ai personaggi?

«Come dicevo è ancor più che uno stratagemma: è l’essenza stessa dei miei libri, fatti di cose e persone semplici e vive, il mio modo di raccontare e vivere la storia. La ringrazio per avere colto anche questo aspetto essenziale dei miei scritti».

Anche Daniele è tornato a Roma ma ben presto la vita di tutti sarà nuovamente stravolta poiché Nerone, che succederà a Claudio, farà ricadere sui cristiani la colpa dell’incendio di Roma, destinandoli ad una nuova fuga. La dinastia giulio-claudia con Nerone termina, la figlia di questi, infatti, morirà dopo soli quattro mesi dalla nascita. Sembrerebbe interrompersi il filo conduttore che ha legato le sue opere fin qui. Cosa ha in serbo per il futuro?

«Ho un progetto per le mani che prosegue il filo della storia e riprende la tradizione di personaggi protagonisti femminili, come sono state Livia e Giulia. Ma mi permetta di non svelare più di tanto. Cambierò secoli, questo sì. Poi forse tornerò sui miei passi, chissà».

Mi permetta una piccola provocazione, vivere a Roma ed avere l’occasione di abbracciare con lo sguardo in un solo attimo varie epoche storiche costituisce sicuramente una ispirazione incredibile. È pur vero che esiste quella parte di Roma meno conosciuta e che ci porta qualche metro più in giù rispetto al suolo stradale, solo per fare un esempio lo spettacolare tempio del dio Mitra sotto la Chiesa di San Clemente. Per uno scrittore come Lei che sa ricercare ed andare nel profondo, perdoni il gioco di parole, a quando un romanzo storico nel sottosuolo?

«Vuole proprio farmi rivelare segreti… Il progetto che ho in mente scaverà, in un certo senso, nel sottosuolo e nella profondità degli animi. Così come i libri già pubblicati hanno sfruttato ampiamente il lavoro di grandi archeologi, alle scoperte dei quali sono debitore e che ringrazio: a iniziare da Paolo Carafa, il successore di Andrea Carandini sulla cattedra di Archeologia romana all’Università La Sapienza e alla guida della scuola archeologica romana, che ha voluto presentare il mio penultimo libro, Giulia, con entusiasmo e cordialità. Talvolta anche grandi scienziati si divertono con storie come le mie».

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