Italiani nel Mondo
Il Natale di una volta dei nostri emigrati— Christmas of the past for our Migrants
Il Natale di una volta dei nostri emigrati
di Gianni Pezzano
Vogliamo iniziare l’Avvento guardando un aspetto del passato che i giovani d’oggi non potrebbero immaginare, eppure era una realtà dei nostri parenti e amici all’estero fino alla fine degli anni ’70, se non più tardi in alcuni luoghi in giro per il mondo. Non esistevano gli smartphone e le prime telefonate interurbane e poi intercontinentali si facevano tramite i centralini.
Natale e Pasqua sono le due occasionali annuali che più rendono tristi non solo gli emigrati, ma anche i loro parenti in patria, perché sono i giorni in cui si notano di più le assenze a tavola. Oggigiorno la tecnologia ci permette di tenerci in contatto stretto ma questo non era affatto il caso nel passato.
Quando sono iniziate le telefonate internazionali erano carissime per cui le notizie buone arrivano via lettere e le notizie brutte invece con l’arrivo del telegramma alla porta. Ma era un costo che gli emigrati pagavano volentieri per sentire le voci lontane dei genitori, fratelli e sorelle, ed in cui nonni potevano finalmente sentire le voci dei nipotini che avevano visto solo nelle foto dei battesimi, prime comunioni e così via.
Certo, ogni anno per Natale, e spesso anche in altre occasioni, arrivavano i pacchi con regali, ricordi del passato in Italia ed in non pochi casi con prodotti italiani che non erano permessi nei paesi di residenza, come semi e prodotti culinari proibiti, che facevano rischiare le multe ai migranti, ma erano rischi accettati da molti per poter finalmente mangiare verdure e anche frutti che non c’erano nei loro nuovi paesi.
Ma le telefonate erano il punto centrale di queste occasioni e si preparavano in anticipo perché non si facevano da casa, ma chiamando il centralino mesi prima per prenotare il giorno e l’ora. Mi ricordo mia madre che lo faceva appena possibile perché sperava sempre di sentire quelle voci care proprio il giorno di Natale, a volte capitava, ma altre volte no e non perché lei aveva sbagliato prenotazione. E bisogna ricordare anche che le linee a disposizione per le chiamate intercontinentali erano molto limitate quindi non tutti potevano farle durante le grandi occasioni.
Per noi giovani di quegli anni durante Natale e Pasqua c’era un rito che a volte sembrava una catena, perché non ci era permesso allontanarci da casa finché non fosse arrivata la telefonata perché dovevamo fare gli auguri ai nonni e ringraziarli per i regali.
C’erano poi regole per quelle telefonate, non solo essere presenti alla chiamata del centralino, ma soprattutto di non stare troppo a lungo per via del numero limitato di linee, però, una volta iniziata la telefonata nessuno aveva voglia di chiudere la linea. A volte, magari perché poche le prenotazioni, la centralinista permetteva una chiamata più lunga, ma non raramente, soprattutto i giorni stessi di festa, la centralinista interrompeva per chiedere la fine della chiamata per permettere ad altri di poter parlare con i loro cari.
Per via di queste telefonate lunghe, spesso la telefonata non arrivava in tempo e un paio di volte è arrivata il giorno dopo, se non anche due o tre giorni dopo. Per noi ragazzi voleva dire stare chiusi in casa per tutto il tempo. Ora da adulto, specialmente ora che anch’io son emigrato, nel mio caso dall’Australia in Italia, mi rendo conto dell’importanza di quelle chiamate per i miei genitori e zii.
Mi ricordo benissimo che in ogni occasione le telefonate finivano con le lacrime di mia madre e la tristezza di tutti perché nessuno sapeva se e quando si sarebbero parlati di nuovo nel futuro.
Per questo motivo il Natale dell’anno in cui i nonni materni sono venuti in visita in Australia è stato speciale per noi tutti. E la prova di questo fu qualche mese dopo al molo del porto il giorno del loro ritorno in Italia. Mia madre era sconsolata, come tutti noi.
Ricordo benissimo il viaggio in auto dopo la partenza della nave perché l’abbiamo percorsa sul litorale accompagnando la nave il più possibile e siamo rimasti poi a guardarla rimpicciolire verso l’orizzonte. L’unico suono nella macchina era delle lacrime di mia madre.
In un certo senso le partenze moderne sugli aerei sono molto più indolori perché veloci e quindi non prolungano il dolore.
Oggi abbiamo le video chiamate via smartphone e pc portatile. Nelle grandi occasioni, come anche matrimoni, prime comunioni, ecc., possiamo mettere l’apparecchio sul tavolo per condividere la giornata con i parenti lontani. Infatti, oggi ci sono persino riti funebri che vengono trasmessi online a parenti all’estero per poter anche condividere il dolore dell’occasione più triste.
Ma il ricordo delle lacrime nella macchina di mia madre quel giorno è ancora una prova che le chiamate non bastano nelle occasioni più importanti, perché la voce non basta senza vederli e poterli abbracciare e baciare, sia in gioia che in tristezza.
E questo sentimento è stato rinforzato qualche anno dopo nella nostra prima visita in Italia, perché ormai nonno non c’era più e la prima tappa di quel viaggio è stata al cimitero per depositare fiori sulla sua tomba. E ho la fortuna, perché molti non hanno avuto questa opportunità, di ricordarlo e onorarlo ancora oggi ogni volta che gioco a scopa e briscola perché mi ricordo ogni volta che è stato proprio lui ad insegnarli a me e a mio fratello.
E con questo pensiero mi ricordo anche che non ho mai avuto l’opportunità di conoscere i miei nonni paterni.
Ora che abito in Italia capisco di più la tristezza di mamma e papà nel non poter mettere fiori sulle tombe dei loro genitori, perché ora la sento anch’io perché la loro tomba è in Australia, ma almeno ho potuto stare vicino a loro fino alla fine.
Ed è anche per questi motivi che Natale e Pasqua sono importanti per gli emigrati perché sono le occasioni in cui più ricordiamo i nostri parenti e anche amici lontani da noi.
Ma abbiamo anche l’obbligo di mantenere questi ricordi perché fino a non tanti anni fa queste telefonate rare e preziose erano l’unico modo di poter sentirci vicini ai nostri parenti lontani, perché la tecnologia moderna non esisteva allora per sconfiggere la tirannia della distanza che era e ancora è il vero flagello degli emigrati.
Christmas of the past for our Migrants
by Gianni Pezzano
We want to start Advent looking at an aspect of the past that today’s young people could not imagine and yet it was a reality of our relatives and friends overseas up to the end of the ‘70s, if not later in some places around the world. There were no smartphones and the first long distance and then intercontinental phone were made through the switchboards.
Christmas and Easter were the two annual occasions that make not only migrants but also their relatives in Italy saddest because they are the days in which we most notice the absent places at the table. Today technology allows us to keep in close touch but this was not at all the case in the past.
When the first intercontinental calls began they were very expensive so good news arrived by letter and bad news came with the arrival of the telegram at the door. But it was an expense that the migrants paid willingly in order to hear the far away voices of parents, brothers and sisters and in which grandparents could finally hear the voices of the grandchildren who they had seen only in the photos of the baptisms, first communions and so forth.
Of course, every year for Christmas and often also on other occasions, packages arrived with gifts, memories of the past in Italy and in not a few cases Italian products that were not allowed in the countries of residence, such as forbidden seeds and culinary products, that made the migrants risk fines but the risks were accepted by many in order to finally eat vegetables and even fruit that did not exist in their new countries.
But the phone calls were the focal point of these occasions and they were prepared in advance because they were not made from home but by calling the switchboard to book the day and time. I remember my mother doing this as soon as possible because she hoped to hear those precious voices precisely on Christmas Day, sometimes it happened but not other times and not because she had made a mistake in the booking. And it must be remembered that the lines available for intercontinental calls were very limited therefore not everybody could make them on the grand occasions.
For us youngsters of those years there was a ritual during Christmas and Easter that sometimes seemed like a chain because we were not allowed to leave the home until the phone call had arrived because we have to give our best wishes to the grandparents and to thank them for the gifts.
And then there were rules for those calls, not only to be present when the switchboard called but above all not to stay too long due to the limited number of lines, however, once the call began nobody wanted to end the call. At times, maybe because there were few bookings, the switchboard operator allowed a longer call but not infrequently, especially on the days themselves, the operator interrupted to ask for the call to end to allow others to be able to call their dear ones.
Due to these long phone calls the call often did not come on time and a couple of times it came the day after, if not two or three days later. For us youngsters this meant staying indoors for all the time. Now, as an adult, especially now that I too am now a migrant, in my case from Australia to Italy, I realize the importance of those phone calls for my parents, uncles and aunts.
I remember very well that on every occasion the calls ended with my mother’s tears and everybody sad because nobody knew if and when they would have spoken to each other again.
For this reason the Christmas of the year my maternal grandparents came to visit in Australia was special for all of us. And the proof of this came a few months later at the wharf of the port on the day of their return to Italy. My mother was grief stricken, as we all were.
I remember very well the trip in the car after the departure of the ship because we took the coast road to accompany the ship as long as possible and we were left then to watch it grow smaller as it went towards the horizon. The only sound in the car was that of my mother’s tears.
In one way the modern departures on airplanes are much more painless because they are fast and therefore do not prolong the pain.
Today we have video calls via smartphones and portable PCs. On the grand occasions, and also weddings, first communions, etc., we can place the device on the table to share the day with distant relatives. Indeed, today there are even funerals that are transmitted online to relatives overseas to be able to share the pain of the saddest occasion.
But the memory of my mother’s tears in the car that day is still major proof that calls are not enough on the most important occasions because the voice is not enough without seeing them and being able to hug and kiss them, whether in joy or in sadness.
And this feeling was reinforced a few years later on our first visit to Italy because my grandfather was no longer with us and the first stop of that trip was at the cemetery to place flowers on his tomb. And I have the fortune, because many never had this opportunity, to remember and honour him every time I play Scopa and Briscola (card games) because I remember that he was the one who taught them to my brother and me.
And with this thought I also remember that I never had the opportunity to know my paternal grandparents.
Now that I live in Italy I understand more mamma and papà’s sadness in not being able to place flowers on their parent’s tomb because I feel it too now because their tomb is in Australia but at least I was able to stay close to them until the end.
And it is also for these reasons that Christmas and Easter are important for migrants because they are the occasions in which we remember most our relatives and also friends far away from us.
But we also have an obligation to preserve these memories because until not many years ago these rare and precious calls were the only way to feel close to our far away relatives because modern technology did not exist then to defeat the tyranny of distance that was and still is the real scourge of migrants.