Diritti umani
Il mondo è ancora pieno di campi di concentramento» lo evidenzia la WOIR
La World Organization for International Relations: «Dai kwan-li-so della Corea del Nord ai láodònggǎizào della Repubblica Popolare Cinese, oggi come 76 anni fa milioni di persone sono private della libertà e dei diritti umani per motivi politici, etnici o religiosi »
Settantasei anni fa le truppe sovietiche liberarono il campo di sterminio di Auschwitz, il più grande mai realizzato dal nazismo, simbolo universale del lager.
Settantasei anni anni fa ebbe fine il genocidio degli ebrei e con esso ebbe fine la follia nazista dello sterminio di massa che portò —tra il 1933 ed il 1945— all’uccisione 6 milioni di ebrei e di 11 milioni di altre vittime dell’olocausto.
Settantasei anni dopo la storia continua a ripetersi: di campi di concentramento ancora oggi è pieno il mondo. A metterlo in evidenza è la World Organization for International Relations fondata nel 1978 per iniziativa di Emilia Lordi-Jantus, già funzionaria della Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) e del World Food Programme (WFP), allo scopo di contribuire in maniera indipendente allo sviluppo e all’applicazione delle Relazioni Internazionali ed a preservare così l’armonia nel mondo, promuovendo la cooperazione internazionale ed operando al servizio della causa della pace e della difesa dei diritti umani.
E sì, esistono ancora oggi campi di concentramento. Ne esistono ad esempio in Corea del Nord. Non se ne conosce il numero esatto, ma ve ne sono almeno 20, includendo 6 «kwan-li-so» nei quali vengono internati prigionieri politici detenuti senza processo e senza data di scarcerazione. La stima del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America è di un numero compreso tra gli 80 mila e 120 mila prigionieri politici.
All’interno di queste strutture i detenuti sono obbligati a lavorare dalle 4 di mattina alle 8 di sera, spaccando rocce nelle miniere di oro e antracite o trascinando tronchi d’albero nelle imprese di disboscamento.
«I prigionieri vengono praticamente schiavizzati e denutriti e dormono su tavole di legno in baracche non riscaldate dove la temperatura d’inverno può raggiungere i meno 20 gradi. Quando muoiono, i detenuti vengono sepolti nudi affinché la loro unica uniforme possa essere riutilizzata da un altro prigioniero» riporta Alejandro Gastón Jantus Lordi de Sobremonte, presidente e segretario generale della World Organization for International Relations (WoirNet.org).
Esistono ancora oggi campi di concentramento anche in Cina. Qui i prigionieri politici vengono detenuti in campi di concentramento denominati «láodònggǎizào» dove uomini e donne lavorano a ritmi disumani per 18 ore al giorno e —se rallentano il loro ritmo di lavoro— vengono puniti con la denutrizione e con la tortura.
Secondo un’indagine della Laogai Research Foundation, nella Repubblica Popolare Cinese sono presenti 1422 «láodònggǎizào» dove sono imprigionate 8 milioni di persone che hanno spesso l’unica “colpa” di appartenere a minoranze etniche come quelle tibetane, mongole ed uigure.
«Numerose testimonianze parlano perfino di espianto di organi su persone vive, ma il governo ha sempre negato queste accuse» commenta Viola Lala, press officer della World Organization for International Relations.
Poi ancora in Myanmar, in Malesia ed in Bangladesh vi sono campi di concentramento dove vivono oltre un milione di rohingya, un gruppo etnico musulmano perseguitato dal governo birmano che secondo i rapporti delle Nazioni Unite costituisce una delle minoranze etniche oggi tra le più perseguitate al mondo.
E l’elenco non finisce qui. In Asia Centrale, in Eritrea, nella Repubblica Centrafricana, in Siria, in Iraq ed ancora in molti altri Paesi —anche insospettabili— la storia continua a ripetersi.
«Nel ricordare gli orrori di 76 anni fa, pensiamo dunque anche a loro. L’orrore di ieri per milioni di persone è orrore ancora oggi: nel giorno della memoria non dimentichiamocelo» conclude il portavoce di WoirNet.org.
Fonte: AJ-Com.Net