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I Rider: lavoratori fin troppo “sfruttati”

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Tempo di lettura: 2 minuti

I Rider non chiedono altro: un contratto ma, invero, un adeguamento di quel che prevede ormai da tempo la Normativa Comunitaria UE

 di Giordana Fauci

I Rider sono ben 28,4 milioni solo in Italia, per lo più giovanissimi: li vediamo ovunque, correre e sfrecciare a bordo di bici e finanche di monopattini, a tutte le ore del giorno e della notte, col bel tempo e con le intemperie, per consegnare, nel più breve tempo possibile, cibo e non solo in ogni angolo delle città.

Si tratta di lavoratori che svolgono un lavoro a dir poco pesante, oltre che pericoloso, vista la celerità con cui sono costretti ad effettuare le consegne e, perciò, le velocità con cui sono costretti – loro malgrado – a guidare.

Lavoratori che devono affrontare il freddo più intenso e la pioggia battente in inverno, senza dimenticare la calura più insopportabile in estate.

Per questo si sono mobilitati in più occasioni per rivendicare i loro diritti: in manifestazioni e presidi pubblici svoltisi nelle principali città d’Italia, da Genova a Palermo, da Bologna a Milano.

Perché il loro intento è unico, ovunque: intendono  arrestare lo sfruttamento a cui sono sottoposti, chiedendo e, invero, ottenendo un contratto da dipendenti.

Non a caso la Normativa Comunitaria è unicamente tesa a migliorare la condizione giuridica, economica e sociale di tanti e tali lavoratori.

Perché, del resto, vi sono oltre 500 piattaforme digitali che intermediano e organizzano dette attività: società che nell’ultimo  anno hanno ottenuto ricavi pari a circa 20,3 miliardi di Euro, addirittura quintuplicato negli anni 2016-2020.

La Commissione Comunitaria ha, in effetti, stimato che oggi sono ben 2,4 milioni i platform worker, per lo più appartenenti a generazioni di giovanissimi.

E, a quanto pare, il loro numero è destinato a raggiungere la soglia dei 43 milioni entro  il 2025.

Si tratta, quindi, di un vero e proprio esercito di lavoratori sfruttati come manodopera a basso costo, senza garanzia di accesso ai diritti e alle tutele più basilari e con paghe oltretutto da fame.

Ecco perché non vi è Rider che non aspiri ad ottenere il riconoscimento di lavoratore dipendente, oltre all’applicazione del Contratto Nazionale delle Merci.

Dunque, no al cottimo e sì a tutti i diritti che nel mondo dei rider sono delle chimere: ci si riferisce a contributi, malattia, infortuni e ferie.

Un percorso che, invero, hanno compiuto ed ottenuto da tempo coloro che lavorano per Just Eat: lavoratori che hanno avuto la contrattualizzazione come dipendenti: così 6 mila ciclo-fattorini in tutta Italia sono divenuti lavoratori a tutti gli effetti, come meritavano di divenire, perché non certo autori di meri “lavoretti”.

Mentre ulteriori 600 saranno assunti a breve dalla società Mymenu.

L’augurio e, invero, il dovere è ora riuscire a coinvolgere anche altre multinazionali del food delivery.

Non a caso, nella proposta di direttiva vi sono piccole ma grandi rivoluzioni: in primis è il datore (ovvero la piattaforma digitale) a dover dimostrare che il lavoratore è autonomo e non quest’ultimo a vedersi costretto a rivendicare la subordinazione e, poi, vi dovrà essere un necessario intervento sull’algoritmo che determina la loro velocità, al fine di regolamentare maggior trasparenza all’uso di tale tecnologia.

…Tutti cambiamenti grazie ai quali tanti e tali giovani non saranno più sfruttati, bensì rispettati nella loro dignità di persone e come, invero,  si conviene ad ogni lavoratore.

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