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Arte & Cultura

Hate speech e hate words: l’eloquente titolo del libro di Donatella Pacelli

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L’odio è una passione negativa, che appartiene alla sfera dei sentimenti di inquietudine e paura, una patologia sociale difficile da combattere: Donatella Pacelli analizza il fenomeno dell’hate speech e words con “rappresentazioni, effetti ed interventi”. 

di Damiana Cicconetti

Donatella Pacelli è autrice di un interessante libro dal titolo Hate speech e hate words. Rappresentazioni, effetti, interventi, pubblicato nel 2021, in cui ci si sofferma a considerare come i rapidi progressi tecnologici abbiano drasticamente modificato il modo di connettersi e accedere alle informazioni così amplificando l’odio.

Le innovazioni digitali hanno sì generato opportunità ma, al tempo stesso, creato effetti sfavorevoli, quali l’aumento della propagazione di false informazioni e, persino, di discorsi d’odio.

Non a caso, di recente, il Dicastero Vaticano per il Dialogo Inter-Religioso ha sottolineato che non si può contrastare la cultura dellodio e promuovere  una cultura dell’amore e dell’amicizia senza una sana educazione in tutti gli spazi in cui vengono formate le generazioni e, dunque, in famiglia, nella scuola, nei luoghi di culto e sui social media.

Siamo consapevoli, cari amici, che la convivenza pacifica e amichevole si trova di fronte a molte sfide e minacce: estremismo, radicalismo, polemiche, dispute e violenza a sfondo religioso. Le minacce sono alimentate dalla cultura dellodio. Abbiamo bisogno, quindi, di trovare le modalità più opportune per contrastare e vincere tale cultura, fortificando lamore e lamicizia…”. Questo l’importante messaggio del Dicastero del Vaticano.

”Gli atteggiamenti e i comportamenti negativi nei confronti di chi è diverso da noi sono numerosi: paura, rivalità, discriminazione, esclusione, persecuzione, insulti.     Le piattaforme dei social media sono spazi comuni…”, ha aggiunto il Dicastero per il dialogo Inter-Religioso.

L’odio è una passione negativa, che appartiene alla sfera dei sentimenti di inquietudine e paura, una patologia sociale difficile da combattere.

I discorsi d’odio costruiscono ruoli e posizioni, con forme di linguaggio che si basano su valutazioni finalizzate a manipolare la realtà, esasperando una contrapposizione tra un “Noi e Altri”, sulla base di una presunta superiorità tra chi è dentro e fuori lo spazio del pubblico.

E ciò non può non avere gravi conseguenze, come testimoniamo i fenomeni della guerra e delle persecuzioni, che hanno reso il Novecento un secolo di odio, massacri e dolore.

La tendenza a giudicare gli altri ha prodotto stereotipi e pregiudizi culturali che portano a considerare l’altro come diverso e mancante di qualcosa, in virtù del riconoscimento della supremazia della propria cultura.

“I pregiudizi nascono nella testa degli uomini, bisogna combatterli con lo sviluppo delle conoscenze e con leducazione…”: queste le parole del Filosofo Norberto Bobbio che non possono non essere condivise, ancor oggi a distanza di un secolo.

L’errore provocato dal pregiudizio deriva da una credenza falsa, che alimenta percezioni su fatti e persone, in quanto le opinioni si affermano senza cognizione di causa e costruiscono certezze volte a stigmatizzare laltro, col rischio che si venga a creare un pensiero unico e totalizzante.

I media, pertanto, non possono non avere un ruolo cruciale nella trasmissione di orientamenti su base ideologica, soprattutto nei più giovani.

Occorre così lavorare sull’età evolutiva e proporre modelli educativi orientati a valori universali, a sentimenti di appartenenza, per far emergere la forza di un’umanità che esige rispetto nei confronti di ogni persona, come ha ribadito la Dottoressa Donatella Pacelli, Docente di Processi Culturali e Agende Mediali presso l’Università LUMSA di Roma.

Senso civico e democrazia sono processi incompatibili con comportamenti razzisti: la democrazia si ispira a principi universali, come libertà e non-violenza.

Il contrasto al pregiudizio e all’odio richiede un cambiamento antropologico che faccia recuperare la forza di virtù dimenticate.

Dunque, bisogna promuovere una cultura che valorizzi la coesione sociale, contro l’uso di parole insultanti, mediante progetti educativi dentro e fuori la scuola, partendo dalla considerazione che nessuno ha il diritto di umiliare gli altri.

Senza dubbio vi sono leggi che puniscono l’incitamento all’odio, oltre ad associazioni e movimenti che lottano contro forme di razzismo.

Non a caso lo scrittore e poeta Tahar Ben Jelloun suggerisce: “Se uno lascia correre, permette al razzismo di svilupparsi anche tra persone che avrebbero potuto evitare di abbandonarsi a tale flagello…”.

Aspetti su cui vale la pena riflettere e che ha, giustamente evidenziato la Dottoressa Pacelli nella sua interessante opera, dal titolo oltremodo eloquente.

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