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Un Incidente “Diplomatico” a Melbourne – A “Diplomatic” Incident in Melbourne

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Tempo di lettura: 8 minuti
di emigrazione e di matrimoni

Un Incidente “Diplomatico” a Melbourne

In un recente articolo  parlo di ‘usanze incivili’ a danno di immigrati. Questa volta voglio raccontare un incidente particolare che mi ha coinvolto in una manifestazione sportiva di livello internazionale, un Gran Premio di Formula Uno a Melbourne in Australia, che dimostra come certi atteggiamenti si trovano a tutti i livelli, e non tengono conto del livello professionale di chi li subisce. 

In passato ho avuto il piacere e l’onore di collaborare con una squadra italiana di F1 e l’incidente ‘diplomatico’ si è svolto nel corso di questa attività. 

Come usuale questa squadra aveva un cuoco e altri addetti per il catering, non solo per gli sponsor e gli ospiti, ma anche per i meccanici e gli ingegneri con orari lunghi di lavoro e quindi costretti a consumare i pasti sul luogo di lavoro. Quindi noi dell’organizzazione logistica uscivamo ogni pomeriggio per fare la spesa dedicata al catering. 

La sera dell’incidente siamo rientrati alle 18 con un pulmino, che io guidavo, carico di cibi e bevande per la cena e il pranzo del giorno dopo. All’arrivo al cancello del circuito il sorvegliante non ci ha permesso di entrare. Il tizio sosteneva di avere ordini di non lasciar passare nessuno prima delle 19, benché il pass del nostro veicolo mostrasse chiaramente l’autorizzazione di entrare alle 18. 

A questo punto Gianni, il cuoco del team con me nel pulmino, ha cominciato a preoccuparsi per non poter essere in tempo per preparare la cena come anche per il deteriorarsi di carne e gelati acquistati per il team viste anche le temperature superiori ai 30 gradi in quel periodo dell’anno.  Ma nonostante le mie pacate proteste al sorvegliante, la risposta è stata che aveva ordini precisi e del resto non gli interessava nulla.   

A ogni tentativo di far capire alla guardia intransigente che potevamo entrare, dovevo riferire al cuoco in italiano ed in inglese alla guardia per fargli cambiare idea. 

Dopo qualche minuto gli ho chiesto di chiamare il suo responsabile per risolvere la situazione. La risposta è stata: “Lui è indaffarato e non ha tempo per una sciocchezza del genere”. Da qui ulteriori botta e risposta nelle due lingue all’uno e all’altro. 

Qualche minuto dopo abbiamo visto passare il pulmino di una squadra inglese, da un altro cancello, altrettanto carico di cibi e bevande. Ho chiesto immediatamente alla guardia: “Perchè loro sono entrati e noi non possiamo?”. Non mi ha risposto, ma un paio di minuti dopo è passato un altro pulmino, di nuovo squadra inglese, e gli ho ripetuto la domanda. 

A questo punto ha parlato nella sua radio e dopo un paio di minuti mi ha consentito di entrare. In tutto questo tempo sono stato calmo. 

Mentre muovevo il pulmino per entrare un tizio lì presente, che aveva seguito lo “spettacolo” in assoluto silenzio, ha detto “Mi sembrano un pò arrabbiati”, e a quel punto la guardia con un tono di voce chiaramente compiaciuto ha commentato “Cosa ti aspettavi? Sono italiani”, confermando che il problema non era l’orario bensì le nostre origini. 

Io ho spento il motore immediatamente e sono uscito dal pulmino dicendogli a voce alta; “Ripeti quel che hai già detto”, la guardia stava per rispondere ma uno dei manager ha urlato in mia difesa “You’re out of order, step back!” (Sei fuori di testa, fa un passo in dietro!). 

Stavo per ripetere il mio commento quando il responsabile si è messo tra me e la guardia, occhi sul viso della guardia e ha ripetuto il suo ordine a lui che è arretrato. Il manager poi mi ha detto di andare al box e che sarebbe passato dopo aver parlato con la guardia. Ho saputo poi che quel sorvegliante era stato sostituito. 

Al ritorno ai box ho immediatamente avvisato il manager del team dell’accaduto e mi ha detto di tenerlo informato del seguito. Due ore dopo il responsabile del circuito è venuto al box, accompagnato dalla guardia che mi ha chiesto scusa per il suo comportamento. 

Ho quindi saputo dal responsabile che la guardia era stata ammonita e che rischiava molto per il suo comportamento e di nuovo aveva chiesto scusa per l’accaduto. A quel punto avevamo chiaramente il diritto di presentare una protesta formale agli organizzatori, ma alla fine il manager del team, in apprezzamento del comportamento del responsabile del circuito ma anche dispiaciuto per l’accaduto in una manifestazione di alto livello sportivo, ha lasciato a me la decisione poiché ero il diretto danneggiato dal comportamento ‘razzista’. Ho preso tempo per decidere sino al giorno dopo. 

Confesso che ho dormito poco quella notte. L’incidente era simile a troppi altri incidenti del mio passato, ma non volevo creare problemi o disagi alla squadra perché una protesta del genere sarebbe stata occasione ghiotta a partire dai giornalisti. Alla fine ho deciso di non fare una protesta ufficiale, ma di lasciare le conseguenze in mano delle autorità locali. 

Ogni tanto penso a quella sera e mi domando se ho preso la decisione giusta, e non ho rimpianti. Ma quell’incidente è stato l’ennesima dimostrazione del motivo per cui io ed altri ci sentiamo pesci fuor d’acqua nel nostro paese di nascita. Non solo noi in Australia, ma molti figli di immigrati in tutto il mondo. 

Il semplice fatto che questo incidente sia accaduto durante un Gran Premio di Formula Uno dimostra che il pregiudizio esiste a tutti i livelli, e che non si può fare finta di niente. 

La soluzione è l’educazione, ed è proprio questo il motivo per cui ci vorranno anni per poter risolvere un problema che esiste in tutto il mondo. Basta seguire gli scambi sui social per leggere commenti di chi crede di avere il diritto di giudicare le persone non per il loro comportamento personale, ma dal colore della pelle, l’accento, oppure per aver parlato un’altra lingua per strada. 

Queste situazioni mi sconvolgono, perché spero sempre che sia l’ultima volta, ed invece sono destinato a delusioni per molti anni ancora. Come società globale dobbiamo capire che questi incidenti non sono mai accettabili e che sono il sintomo di un problema che dobbiamo affrontare in modo decisivo: ognuno di noi ha gli stessi diritti e doveri verso gli altri ed è il nostro comportamento personale a decidere chi siamo, e non le nostre origini. 

A “Diplomatic” Incident in Melbourne  

di emigrazione e di matrimoni

In a recent article I spoke about “uncivilized customs” that hurt migrants. This time I want to tell the story of a particular incident that involved me in an international sporting event, a Formula One Grand Prix in Melbourne, Australia that shows how certain attitudes are found at all levels and they do not take into account the professional level of those who suffer them.

In the past I had the pleasure and honour of collaborating with an Italian F1 team and the “diplomatic” incident occurred in the course this activity.

As usual this team had a chef and other personnel for the catering, not only for the sponsors and guests, but also for the mechanics and engineers with long work hours and are therefore forced to eat their meals in the workplace. Therefore we of the logistics left every afternoon to do the shopping needed for the catering.

On the evening of the incident we returned at 6pm in the minibus, which I was driving, full of food and drinks for dinner and lunch the next day. Upon arrival at the gate the guard did not let us enter. He claimed he had orders to not let anyone enter before 7pm, even though the vehicle’s pass clearly showed it was authorized to enter at 6pm.

At this point Gianni, the team’s chef with me in the minibus, began to worry that he would not be in time to prepare dinner, as well as for the deterioration of the food and ice creams bought for the team due to the higher than 30°C temperatures of that time of year. But despite my calm protest to the guard the answer was that he had specific orders and he was not interested in anything else.

At every attempt at making the intransigent guard understand that we could enter I had to talk to the chef in Italian and in English to the guard to make him change his mind.

After a few minutes I asked him to call his manager to resolve the situation. The answer was: “He’s busy and doesn’t have the time for such a trifling matter”. Thus began another exchange back and forth in the two languages.

A few minutes later we saw the minibus of an English team pass by from another gate, it was just as full of food and drink. I immediately asked the guard: “Why can they enter and we can’t?” He did not answer me and a couple of minutes later another minibus of another English team passed by and I repeated the question.

At this point he spoke on his radio and after a couple of minutes he allowed me to enter. I had been calmed in all this time.

As I started to move the minibus a man who had been present for this whole time and had followed the “show” in absolute silence, said “They seem a little angry” and at that point the guard the guard in a clearly pleased tone of voice said “What did you expect? They’re Italians” that confirmed that the problem was not the time but our origins.

I immediately switched off the engine, got out of the minibus and said in a loud voice: “Repeat what you just said”, the guard was about to answer but one of the managers yelled in my defence “You’re out of order, step back!” 

I was about to repeat my comment when the manager put himself between me and the guard, his eyes on the guard and repeated his order for him to step back. The manager then told me to go to the pits and that he would come after he had spoken with the guard. I later found out that the guard had been replaced.

On our return to the pits I immediately advised the team’s manager of the incident and he told me to keep him informed of developments. Two hours later the circuit’s manager came to the pits, accompanied by the guard who apologized to me for his behaviour.

The manager then told me the guard had been given a warning and he risked a lot for his behaviour and he again apologized for the incident. At that point we clearly had the right to make a formal protest to the organizers but in the end the team manager, in appreciation of the manager’s behaviour and also sorry for what happened at a high level sporting event, left the decision up to me because I was the one directly harmed by the “racist” behaviour. I took until the next day to decide.

I confess I got little sleep that night. The incident was similar to many others incidents in my past but I did not want to create problems or inconvenience for the team because such a protest would have been a great opportunity, starting with the journalists. In the end I decided not to make an official protect but to leave it the consequences in the hands of the local authorities.

Every so often I think about that evening and I wonder if I made the right decision and I have no regrets. But that was the latest demonstration of the reason for which I and other feel like fish out of water in our country of birth. Not only in Australia but many children of migrants around the world.

The mere fact that this incident happened during a Formula One Grand Prix demonstrates that prejudice exists at all levels and that we cannot ignore it.

The solution is education and this is precisely the reason why it will take years solve a problem that exists around the world. You only have to follow the exchanges on the social media of those who believe that they have the right to judge people not by their personal behaviour but by the colour of their skin, accent or for speaking another language in public.

These situations upset me because I always hope that it will be the last time and instead I am destined to be disappointed for many more years. As a global society we must understand that these incidents are never acceptable and that they are only a symptom of a problem that we must face decisively: each one of us has the same rights and duties towards others and it is our personal behaviour that decides who we are and not our origins.

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