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Emigrazione, la fatica di integrarsi. Gli italiani all’estero un esempio da non dimenticar

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Gianni Pezzano, editorialista italo australiano chiarisce ‘il prezzo che gli emigrati italiani  hanno pagato è stato anche aiutare le loro famiglie rimaste a casa a dunque contribuire alla rinascita della loro Patria

Di Gianni Pezzano

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I conflitti culturali esistono sempre e ovunque e chi li sente di più sono gli immigrati. Mio zio ne ha avuto la prova in modo divertente quando arrivò in Australia all’inizio degli anni 50. Essendo nato e cresciuto in paese di villeggiatura sul mare era naturale che al primo weekend andasse alla spiaggia indossando il costume da bagno che era l’ultima moda in Italia. Quel giorno finì alla centrale della Polizia dopo essere stato arrestato per oltraggio al pubblico pudore. Stranamente era uno dei pochi casi in cui gli immigrati italiani avevano idee più “libere” degli australiani. Spesso chi sentiva di più le differenze tra gli immigrati e gli australiani erano le donne italiane e in modo particolare le figlie. Nel caso australiano gli immigrati provenivano principalmente da zone agrarie con poca esperienza della vita nelle città italiane che erano più vicine ai comportamenti degli australiani. Questi commenti non si limitano solo alle regioni del Sud, ma anche a certe zone del Nord e particolarmente il Veneto che alla fine della guerra non era certamente più ricco delle regioni meridionali, un fatto che pochi oggi ricordano. Per i padri di famiglia italiani la presunta libertà delle ragazze australiane era una sorpresa e l’effetto immediato era di restringere la loro libertà. Finché queste ragazze stavano a casa non sentivano questi limiti, ma quando hanno iniziato la scuola e soprattutto con l’arrivo dell’adolescenza le differenze tra coetanee si facevano sentire e cambiò drasticamente solo alla fine degli anni 70. Inevitabilmente lunedì mattina a scuola per queste ragazze era difficile quando paragonavano i weekend appena trascorsi con le australiane che raccontavano le prime uscite con i fidanzatini mentre le italiane potevano solo raccontare le manifestazioni di famiglie, oppure la festa religiosa o paesana di quel weekend. Nella maggioranza dei casi le ragazze italiane frequentavano scuole cattoliche che allora erano separate e quindi le loro opportunità di conoscere ragazzi non italiani erano limitate. Questo cominciò a cambiare con il tempo e la fine della scuola. Naturalmente questi limiti spesso creavano dissidi in casa e specialmente con i padri. Altrettanto naturalmente c’erano anche litigi tra le sorelle e i fratelli che spesso avevano la libertà dei loro coetanei australiani e potevano uscire senza limiti. Per molti in Italia d’oggigiorno sembrerebbe leggere racconti di un’Italia prima della Guerra e in effetti cosi era. Ma sarebbe anche uno sbaglio credere che questi comportamenti si limitassero solo alle ragazze perché in molte famiglie italiane c’erano pressioni sui figli, maschi e femmine, di sposare paesani, o al peggio corregionali. Paradossalmente, anche questo creava problemi, non tanto se il potenziale candidato non fosse italiano, ma anche da regioni italiane non gradite ai genitori. Per un periodo i figli italiani sposavano prima figli di paesani e poi non italiani prima di sposare italiani di altre regioni. Tristemente, in certi casi il rifiuto di genitori di accettare la scelta della figlia o il figlio ha portato alla sua decisione di non cercare altro sposo o altra sposa e non si sono mai sposati. Poi i primi viaggi di famiglia degli emigrati italiani in Patria hanno fornito una sorpresa, amara per i genitori e di gioia per le figlie. A causa delle distanze e la mancanza di notizie regolari e i programmi televisivi che ora esistono tra i due paesi i genitori italo-australiani hanno scoperto un’Italia nuova, radicalmente cambiata dal paese in rovine che avevano lasciato uno o due decenni prima. In molti casi stentavano a riconoscere i loro paesi e certamente si trovavano spaesati dai nuovi comportamenti dei loro parenti e amici. Per le figlie era un’arma in più per persuadere i genitori a dare loro più libertà, ma non era l’unica fonte di amarezza per gli emigrati di ritorno. Ricordo il nostro primo viaggio in Italia, ben venti anni dopo la partenza dei miei genitori per il continente australe e le loro reazioni al paese irriconoscibile. Dopo la vaste estensioni delle città australiane i loro paesi sembravano piccolissimi e cambiati in modo inatteso. Il loro ritorno in vacanza non era accolto come aspettavano e un giorno ha suscitato la rabbia dei miei genitori che di solito reagivano in modo pacato. Quel pomeriggio hanno incontrato alcuni conoscenti di vecchia data e sono stati accolti con la frase “Perché siete partiti? Dovevate rimanere qui. Questa è l’America e stiamo meglio noi che voi all’estero”. Non credo che capirò mai l’amarezza e delusione dei miei genitori a quel rimprovero e sono sicuro che non siano stati gli unici a sentire frasi del genere. Gli emigrati italiani erano partiti perché all’epoca non c’era speranza di lavoro in un paese devastato da guerra e lotte politiche asprissime. Peggio ancora, molti erano costretti a emigrare da autorità locali che non sapevano cosa fare con i disoccupati dei loro territori. Ma i rimproveri di chi è rimasto erano ingiusti per ben altri motivi. Loro dimostrarono d’aver scordato chi aveva fornito i soldi che permise il Boom economico di quegli anni. Per decenni i soldi che i miei genitori e i loro coetanei spedivano alle loro famiglie erano tra i maggiori introiti di fondi esteri del paese e sarebbe interessante sapere quanti dei nostri politici e professionisti si sarebbero potuti laureare senza questi soldi. Queste sono due delle facce dell’emigrazione italiana dei due decenni dopo la Seconda Guerra Mondiale poco conosciute nel Bel Paese. Nella prima, le lotte per ambientarsi nel nuovo paese non è stata soltanto di imparare una lingua e di iniziare a lavorare. La lotta è stata anche di poter mantenere la propria identità e la propria vita di famiglia. Con il tempo questi sogni cambiano e diventano sempre più parte del nuovo paese, ma sempre con aspetti tipicamente italiani. Nella seconda, abbiamo la prova che il nostro paese ha scordato che il prezzo che gli emigrati hanno pagato era anche di aiutare le loro famiglie rimaste a casa a dunque di contribuire alla rinascita della loro Patria. Questo è un contributo quasi totalmente ignoto al pubblico italiano del 2016. Ma sono facce che il Bel Paese deve ricordare al miglior modo possibile perché sapere queste storie è anche il miglior modo per sapere come integrare gli immigrati che ora vengono in Italia e che è anche la nostra sfida più grande per il futuro.

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