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Emanuele Di Stefano, il Titos immortalis di Romulus II

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Emanuele Di Stefano alla Festa del Cinema di Roma
Tempo di lettura: 7 minuti

Emanuele Di Stefano, il giovane attore romano, ci parla di Titos, ruolo interpretato nella serie Romulus II di Matteo Rovere, sovrano fanciullo ed eccentrico che ha fortificato la sua esperienza di attore. 

Re, per origine divina sul set e attore, per origine del fato nella realtà. Un dualismo, che in questo momento caratterizza la vita del giovane attore romano Emanuele Di Stefano, studente alla TNT company compagnia teatrale diretta da Barbara Chiesa, che ha interpretato Titos (Tito Tazio) in Romulus II di Matteo Rovere.   

La serie presentata alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, disponibile dal 21 ottobre su Sky, è ispirata al mito di Roma e dei due fratelli che, inizialmente combattono insieme per lo stesso scopo e successivamente, diventano rivali. In questo percorso disseminato di scontri e disvelamento dei sentimenti piomba in tutta la sua aura eterea, fanciullesca ed eccentrica Tito Tazio. Un ruolo, che Emanuele interpreta intensamente, quasi fosse la proiezione di una parte della sua anima: delicato nella gestualità, sensibile, schietto e intrepido nel prendere la vita e le sfide di petto, come un combattente di muay thai (arte delle otto armi), la sua disciplina preferita.  

Ma Tito è solo una delle centomila essenze che si augura di interpretare Emanuele, che ha all’attivo ruoli in La Chiesa cattolica, Il Filo invisibile  e  Siccità; e dal 26 ottobre è tra i protagonisti della serie Corpo libero su Paramount+.   

Ecco cosa ci ha raccontato di sé attore, promessa del cinema italiano riflessivo e sincero, a detta sua anche incoerente, che è stato capace di “origliare” alla porta dei suoi desideri e capire l’obiettivo da perseguire nella vita.

Edoardo Carbonara, Emanuele Di Stefano, Giulio Fochetti, Scuola Cattolica. Ph. Claudio Iannone

Quando hai capito che saresti diventato un attore? 

«Che sarei diventato attore ancora non l’ho capito. Che avrei voluto provare a intraprendere questa strada, quando mi hanno scelto per il mio secondo film. Nel primo film La scuola cattolica mi hanno preso per caso; non ricercavo questa strada.  

Ho iniziato teatro con la compagnia per risolvere dei miei problemi privati, solo che di lì a poco è arrivata la mail di un casting in cui cercavano dei ragazzi per La scuola cattolica e la nostra insegnante ci ha dato come esercizio quello di rispondere alla mail; così mi hanno preso. Il primo film è stata un’avventura. Quando poi mi hanno scelto per il secondo, mi sono detto “forse potrei viverci di questa roba!”».  

Se dovessi descrivere la recitazione? 

«Sicuramente cambierò idea nel corso degli anni o magari mi farò l’idea più giusta, ma per quello che ho capito ora, da un lato è divertimento, un gioco. Una volta, parlando con un’amica le ho descritto l’immagine del palcoscenico teatrale come una specie di parco giochi, dove tutti gli attori giocano la vita per te che sei spettatore. Si mettono nei panni delle persone con diverse emozioni e sensazioni, e giocano a essere vita in modo da trasmetterle.  

Dall’altro lato, penso che sia pure un lavoro un po’ “malato”, perché in certi momenti devi forzare il tuo cervello a credere vere delle cose che, per te, in quel momento non lo sono o non sono naturali. Magari, devi auto convincerti di amare o odiare una persona, di essere triste quando sei felice e viceversa».   

Un film che non ti stancheresti mai di guardare? 

«Più facile che non mi stanchi dei cartoni, perché sono più immediati, veloci e più semplici da seguire, trattando anche tematiche profonde con dei tempi comici e battute divertenti».  

C’è un attore che ammiri e al quale ti ispiri quando reciti? 

«Che ammiro sì, a cui mi ispiro no. Proverei a ispirarmi più a un personaggio interpretato da un attore che può, in qualche modo, somigliare a uno che devo interpretare io. Ammiro i super grandi come Al Pacino, lui mi emoziona tanto».  

Emanuele Di Stefano sul set Il filo invisibile con Giulia Maenza e Matteo Oscar Giuggioli. Netflix

L’esperienza che ti ha fatto crescere di più? 

«La seconda stagione di Romulus, perché Matteo Rovere ha avuto un’apertura mentale che mi ha permesso di fare delle lezioni con Barbara Chiesa, la mia insegnante di teatro.

Questo, mi ha consentito di preparare il mio personaggio. E poi è un progetto che è stato fatto con grande attenzione e cura. C’è stata una grande preparazione atletica, abbiamo imparato l’equitazione, il combattimento scenico e a recitare in un’altra lingua».  

Ti aspettavi di essere scelto per Romulus II e com’è andato il provino? 

«Non mi sono fatto aspettative. Al provino, devo dire, che mi sono divertito molto. Avevano detto di andare spettinati e scapestrati per rappresentare gli antichi romani, così sono andato in bicicletta e sono arrivato tutto affannato. C’erano Matteo, Francesca Borromeo, la sua assistente e Danilo Sarappa. Sono state un paio d’ore divertenti e l’ho presa di petto e positivamente, senza ansie».   

Com’è stato interpretare Tito Tazio, figura ambivalente: da un lato psyco sovrano e dall’altro fanciullo indifeso quando gli portano via le Sabine? 

«Molto divertente e molto istruttivo. Penso sia più bambino indifeso che psyco sovrano; la sua psicosi è dovuta al fatto che è solo come un cane. Nel momento in cui gli strappano l’unica cosa che ha, impazzisce. È stato illuminante e piacevole interpretarlo: dal banale movimento corporeo, al meno banale lavoro emotivo; era la prima volta che piangevo sul set».  

Ci sono degli aspetti che ti accomunano a questo personaggio? 

«Sicuramente sì, ma servirebbe un occhio esterno. Tutti i personaggi che sto interpretando partono da me in qualche modo. Per fare un esempio, Pirandello dice che siamo uno, nessuno e centomila; il personaggio è uno di quei centomila, però rientra nel contenitore della mia persona».  

Francesco Di Napoli, Andrea Arcangeli e Emanuele Di Stefano in una scena di Romulus II

Come hai affrontato la sfida del protolatino? 

«Leggevo e ripetevo. Nella prima stagione Danilo Sarappa è stato per tutti gli attori il dialogue coach, la persona che stava sul set e faceva quasi da gobbo. Quando ci si dimenticava di una battuta lui era pronto a dirla, aiutava con la cadenza, con gli accenti e controllava che andasse tutto liscio. Nella seconda stagione ci ha seguito il suo successore Matteo Vagliani». 

La scena che ti ha diverto di più a girare e quella più complessa? 

«C’è stata una scena tremenda nella prima puntata. Quella in cui scagliamo frecce sulle due schiave in fuga; una scena lunga e faticosa per le inquadrature, per le difficoltà recitative, per l’avvoltoio che stava in scena e vomitava da tutte le parti. Quella sera stavamo tutti cotti, è stato brutale (ride).

Mi sono divertito tanto in tutte le scene, nonostante ce ne siano molte in cui Titos è dilaniato dal dolore per la perdita delle persone care; ce ne sono altre in cui fuoriesce la sua pazzia, il suo lato gigione (come lo chiamava Matteo) e anche fanciullesco, come quando considera la sua tirannia quasi un gioco con le bambole.

In tutte quelle scene in cui si diverte il mio personaggio, il primo che doveva farlo ero io, quindi di base mi sono divertito molto. Quella in cui sono stato più felice forse e la scena finale del primo episodio, in cui dichiaro guerra a Roma e sono distrutto dal dolore. Ho espresso dei sentimenti mai provati prima in scena».   

La serie è ambientata nell’VIII sec a.C. C’è un aspetto che ti affascina di quel periodo? 

«Vivevano un po’ come porci. Dobbiamo ricordarci che Romulus, ambientato nell’VIII sec ha un’attentissima guida storica e anche una grande linea fantasy, quindi tutto ciò che succede può essere anche immaginazione, com’è immaginazione e fantasia il mito di Roma. A me fa molto ridere che in Romulus II i protagonisti si lavano le mani; secondo me le mani non le lavavano (ride). Non c’è nulla di quella vita là che mi possa attirare sinceramente!». 

Se Tito Tazio fosse tra noi, su cosa avrebbe da ridire della Roma odierna? 

«Beh, che non è il re; non è al comando».  

Emanuele Di Stefano Tito Tazio in Romulus II  

In Romulus II tra combattimenti e scontri vige la legge del più forte. Secondo te nel 2022 che tipo di legge vige? 

«Mi auguro, almeno, che le persone a cui voglio bene seguano la legge di voler bene a se stessi e agli altri, perché in qualche modo quello che fai agli altri ritorna sempre indietro. Se qualcuno dovesse seguire la legge di Romulus di tirare mazzate, prima o poi le mazzate ritornano. Mi auguro che ci sia più buon senso che mazzate».  

C’è un regista in particolare con il quale vorresti lavorare? 

«Tutti! Non è per fare il paraculo (scusa il francesismo). Ho iniziato teatro e poi subito a lavorare, perciò non ho una grande formazione. Ti dico tutti, perché avere la possibilità di lavorare con tanti registi, che dirigono diversamente è un modo per imparare diversi metodi. Quindi, più sono vari e meglio è».  

Un ruolo che vorresti interpretare in futuro? 

«Vorrei essere in grado di interpretare l’80% dei lavori che nascono nella fantasia degli scrittori».  

Cosa consiglieresti ai giovani attori che vogliono trovare il loro spazio nel cinema? 

«Se a 20 anni hai già il sogno, la convinzione e la voglia che la tua strada sia il cinema, la recitazione o la regia, ti auguro di riuscirci. Questa è l’età in cui si deve riuscire ad ascoltarsi; secondo me ognuno nasce con un obiettivo originario che lo guida, possiamo anche decidere di non seguirlo e di cambiare.  

Ma nel momento in cui si è in grado di ascoltarsi e seguire l’obiettivo per cui sei nato, la vita si fa moto più scorrevole e vivibile. In generale, mi auguro che i ragazzi abbiano un bel po’ di fortuna, che nella vita serve anche, di ascoltarsi e rendersi conto di quello che è fatto per loro».   

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