Arte & Cultura
Editors live @Bologna

Sold out per la band di Tom Smith, nell’unica data italiana del tour di supporto all’album “No Harm”. Un concerto che non ha deluso i fan, che hanno assistito ad uno show praticamente perfetto
di Luca Cameli
Foto di Fabio Crescenzi
Ascoli Piceno, 2 dicembre –Bologna. Sono passate le 21 da una manciata di minuti, quando sul palco, praticamente privo di scenografia, sale Elliott Williams, il tastierista della band. Partono le note di “No Harm” , e subito si materializza sul palco il frontman Tom Smith, con la sua voce potente, profonda, ipnotica. Uno alla volta arrivano sul palco Russell Leetch (basso), Ed Lay (batteria) e Nicolas Willes (chitarra), che sostituisce il chitarrista titolare Justin Lockey (assente per la sua recente paternità). Mentre il brano va avanti, i componenti della band prendono il loro posto, senza nessun cenno di saluto, quasi a voler mettere le cose in chiaro con il pubblico. Così comincia il concerto degli Editors, uno show che è una dimostrazione di stile,bravura, eleganza e carisma. Il gruppo non parla praticamente mai, fatta eccezione per qualche “…Thank You…” e “…Ciao Bolonia…” , è assolutamente concentrato sulla performance. Il secondo brano in scaletta è “Sugar” , dal discusso album “The Weight of your Love” del 2013, che aveva fatto storcere un po’ il naso ai fan, per via del suo sound fin troppo solare, seguita da “Life is a Fear” ,che dal vivo sembra ancora più bella, e fa definitivamente sciogliere il pubblico, rendendo il PalaDozza una bolgia. Gli Editors vanno diritti per la loro strada, spaziano senza problemi all’interno del loro repertorio, eseguendo brani di tutti i loro cinque album, dimostrando una padronanza della situazione invidiabile, con Smith sempre al centro della scena, con la sua presenza carismatica, che catalizza l’attenzione, senza mai sembrare eccessivo, neanche quando si lascia andare alle sue danze apparentemente sconclusionate (anche se stavolta non si è arrampicato sul pianoforte verticale, posto al centro del palco, come fa di solito). Il concerto va avanti, fra vecchi e nuovi successi come”An End Has a Start” , “Eat raw meat=blood drool”, “Formaldehyde”, “Bones”, fino ad arrivare ad una delle poche licenze che gli Editors si concedono, verso metà spettacolo, quando Tom Smith resta solo sul palco, senza che quasi il pubblico se ne accorga, tanto è imponente la sua presenza scenica, per eseguire una splendida versione chitarra-voce di “Smokers outside the hospital doors”. La band si ricompone, e lo show riprende sempre senza sosta, con gli Editors che con disinvoltura continuano a muoversi fra atmosfere cupe, e più leggere come in “A Ton of Love” (che tutti cantano a squarciagola, dimostrando che “The Weight of your Love” in fondo non era poi tanto male), fino ad arrivare all’intramontabile “Munich”, che chiude la tracklist prima del bis, composto da “Ocean of night” che dal vivo convince molto più che nella versione del disco, dall’immancabile “Papillon” che in concerto sembra sempre infinita e da “Marching orders”, che chiude lo spettacolo con il gruppo che si raduna al centro del palco, per un saluto con tanto di inchino, che mette la parola fine ad uno spettacolo davvero bellissimo, chiarendo ancora di più quello che sono gli Editors.
Un gruppo con una consapevolezza totale dei propri mezzi, che ha raggiunto un livello qualitativo che pochi posso vantare. Sono l’esempio di quello che dovrebbe essere la musica: poche note, poche accordi, che girano sempre nel verso giusto, costruendo canzoni bellissime, sempre con la costante di un’esecuzione impeccabile, senza sbavature. Gli Editors riesco in qualcosa dove molti falliscono: riescono ad essere trasversali, senza mai perdere credibilità. Nel loro repertorio ci sono le atmosfere cupe, che li hanno fatti amare ai fan della new-wave, c’è quel sapore indie con quegli intro di chitarra che ti si stampano nella testa e creano dei veri tormentoni da stadio, ci sono testi ben scritti, che non scadono nel banale neanche quando si lasciano andare all’uso delle rime baciate come in “All the Kings” (…”Beat of your heart/is alone in the dark), c’è l’uso, a volte massiccio, dell’elettronica. Una band, in definitiva, dalle molteplici sfaccettature che sul palco del PalaDozza non ha perso occasione di dimostrare la sua grandezza.
Foto di Fabio Crescenzi