Salute
Disturbi dello spettro autistico e nuovi approcci di ricerca

Non è ancora certa la causa dell’autismo, ma la maggior parte degli studiosi ritiene che si sviluppi da una combinazione di variabili genetiche, non genetiche e ambientali
di Antonio Virgili – pres. comm. Cultura Lidu onlus
I disturbi dello spettro autistico sono un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo caratterizzati da deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in molteplici contesti e modelli di comportamenti, interessi o attività ristretti, spesso ripetitivi. In Italia, si stima[1] che un bambino su 77 (nella fascia di età 7-9 anni) presenti un disturbo dello spettro autistico, ciò con una prevalenza nettamente maggiore nei maschi: i maschi sono 4,4 volte in più rispetto alle femmine. In media, confrontando i dati di diversi Paesi, si può dire che il disturbo sia presente in un bambino ogni 50-100 bambini.
Gli studi epidemiologici internazionali riportano un incremento generalizzato della prevalenza di questi disturbi, tuttavia è bene tener presente che tale incremento è sicuramente dato anche dalla maggiore formazione dei medici, dalle modifiche dei criteri diagnostici e dall’aumentata conoscenza del disturbo da parte della popolazione generale. Le caratteristiche della sintomatologia clinica possono essere estremamente eterogenee sia in termini di complessità che di severità e possono pure presentare un’espressione variabile nel tempo. Inoltre, le persone nello spettro autistico frequentemente presentano alcune co-morbilità neurologiche, psichiatriche e mediche di cui è fondamentale tenere conto in ambito terapeutico.
Alcune persone con diagnosi di autismo sono in qualche modo compromesse dal punto di vista cognitivo, tuttavia, diversamente dalla tipica compromissione cognitiva, che è caratterizzata da ritardi relativamente uniformi in tutte le aree di sviluppo, le persone con disturbo dello spettro autistico mostrano uno sviluppo non uniforme delle competenze. Anche i primi segnali di autismo si manifestano con problemi solo in alcune aree, in particolare nella capacità di comunicare e relazionarsi con gli altri. Tuttavia, è possibile riscontrare abilità insolitamente sviluppate in altre aree, come disegnare, suonare, risolvere problemi matematici o memorizzare i fatti, ed è per questo motivo che possono risultare sopra la media in test di intelligenza non verbale.
Non è ancora certa la causa dell’autismo, ma la maggior parte degli studiosi ritiene che si sviluppi da una combinazione di variabili genetiche, non genetiche e ambientali. Sembra che queste influenze aumentino il rischio che un bambino sviluppi l’autismo, tuttavia è chiaro che si tratta di un’approssimazione eziologica. Attualmente, l’autismo viene definito come una condizione organica causata da un insieme di fattori di rischio genetici e ambientali ed ancora oggi la diagnosi di autismo viene effettuata osservando dei criteri comportamentali. Gli studi degli ultimi dieci anni stanno dimostrando l’importante ruolo di una predisposizione genetica, probabilmente dei geni interagiscono tra loro e con fattori ambientali determinando i disturbi. Nonostante tali risultati, diverse persone sembrano rifiutare a priori una quota di possibile ereditarietà per questi disturbi, sebbene le stesse persone siano probabilmente orgogliose di dire che i figli hanno “ereditato” il colore dei capelli o degli occhi, o la fisionomia di un familiare. Per quanto non esistano ancora dei test genetici in grado di diagnosticare la predisposizione ad un disturbo dello spettro autistico, vari dati confermerebbero il ruolo genetico, tra questi il fatto che i gemelli monozigotici hanno entrambi percentuali molto maggiori di manifestazioni autistiche rispetto ai gemelli dizigotici, inoltre le coppie che hanno già un figlio autistico hanno una probabilità 25 volte superiore di averne un altro rispetto ad una coppia qualsiasi. Non ultimo, questi disturbi sono molto più comuni nei maschi. Ѐ quindi molto probabile che l’autismo sia la conseguenza di una alterazione o predisposizione, genetica e ormonale, nello sviluppo del sistema nervoso centrale. Alterazione che comunque si sommerebbe agli altri fattori di rischio.
Stante la ancora limitata conoscenza circa le cause, le numerose terapie e interventi per questi disturbi seguono metodologie eterogenee, quasi tutte puntano sul miglioramento delle interazioni, purtroppo non si può invece parlare di un pieno recupero. Nessun approccio viene considerato in assoluto migliore degli altri e nessuno è efficace allo stesso modo per tutti i bambini.
I principali metodi diffusi di approccio all’autismo sono:
- a) il metodo AERC (Attivazione Emotiva e Reciprocità Corporea) presuppone che il bambino ricerchi attivamente l’interazione con l’ambiente su base motivazionale. Propone attività che favoriscano l’intersoggettività nel bambino, la capacità di riconoscere sé e l’altro come soggetti di una interazione, il bambino è stimolato su diversi livelli interattivi così da favorire una successiva crescita di alcune capacità;
- b) Il metodo o programma educativo E.A.C.C.H. (Treatment and Education of Autistic and related Comunication Handicaped Children), prevede interventi lungo l’intero percorso di vita delle persone con autismo, proponendosi di: modificare l’ambiente in funzione delle esigenze individuali; sviluppare l’autonomia del soggetto grazie ad un programma basato sulle abilità emergenti; migliorare la qualità di vita del bambino e dei suoi familiari;
- c) Il metodo comportamentale B.A. (Applied Behavioral Analysis), utilizza date strategie per inibire i comportamenti disfunzionali del bambino e promuovere quelli corretti. Le idee chiave alla base della terapia ABA si collegano al concetto di rinforzo: il comportamento è influenzato da stimoli provenienti dall’ambiente circostante e se un comportamento è seguito da conseguenze positive, è più probabile che si ripeta. Questo metodo riscuote sia pieni consensi che contestazioni riduttive, in Italia l’Ist. Super. di Sanità lo suggerisce quale tecnica comportamentale, tuttavia nel Documento finale dell’Indagine della Commissione Bicamerale circa la Salute psicofisica dei minori, del 2017, gli esperti avanzano dubbi sulla sua efficacia generale e sulla durata degli effetti ottenuti;
- d) Il metodo E.D. (Therapie d’Echange et Developpement) è centrato sull’ abilitazione di funzioni psicofisiologiche necessarie per costruire l’intersoggettività. Questo metodo vuole favorire l’abilitazione degli aspetti comunicativi e la stimolazione delle aree motoria, sensoriale, emozionale, cognitiva in un ambito interattivo. Il progetto terapeutico si fonda sull’analisi funzionale e sul coinvolgimento dei genitori del bambino;
- e) Il metodo S.D.M. (Early Start Denver Model), una tecnica di terapia comportamentale basata sul gioco e adatta ai bambini più piccoli, fissa una serie di obiettivi personalizzati di sviluppo e si avvale del metodo ABA, sopra citato, per gli interventi.
Esistono poi anche altre possibili forme d’intervento quali la terapia Cognitivo Integrativa (Erskine), quella psicoanalitica (Klein, Mahler), la sistemica-familiare (Manghi). Oltre l’approccio prettamente psicologico, il trattamento dei disturbi dello spettro autistico include la terapia logopedica, la riabilitazione espressivo-corporea con la psicomotricità e forme complementari, in uso anche per i disturbi ADHD, come arteterapia e musicoterapia.
Gli sviluppi recenti della ricerca neurologica nel settore dei disturbi autistici sembrano comunque offrire nuove prospettive di intervento, in particolare si segnalano i contributi del Prof. Baron-Cohen dell’Università di Cambridge. Da numerosi anni il docente indaga su tali disturbi, in particolare con ricerche sul ruolo dell’Ossitocina e su quello del Testosterone, ampliando le conoscenze sia per l’eziologia che per la terapia, partendo da un dato statistico chiaro: questo tipo di disturbo è nettamente prevalente nei maschi. L’importanza dell’ossitocina è stata già studiata in diversi contesti di ricerca ma non era stata applicata a situazioni di autismo, si è invece visto che l’assunzione di ossitocina migliora il contatto visivo e relazionale nei maschi.
La ricerca è stata realizzata su persone, in un contesto non di laboratorio ed i dati sono stati confrontati anche con quelli per la comorbilità della disfrasia, che si associa ai tratti autistici. I dati confermano pure che nei soggetti autistici ci sono anomalie ossitocinergiche e che ciò si associa a quello che Baron-Cohen ha definito il modello neuroanatomico patologico maschile estremo, privo dei caratteri empatici e totalmente concentrato nella sistematizzazione, quasi ossessiva (una persona autistica tende a soffermarsi sui dettagli), con ridotte abilità sociali ed empatiche. Semplificando, i due estremi sono empatia e capacità socio-relazionali da un lato e tendenza alla sistematizzazione estrema ma scarse capacità relazionali dall’altro. Nell’analisi di tali variazioni sono state riscontrate significative correlazioni con il genere sessuale, ciò conduce ai dati relativi al testosterone, in proposito va però chiarito che, diversamente da quanto a volte semplicisticamente diffuso, non basterebbe variare le concentrazioni di testosterone nelle persone per modificare i tratti autistici e neppure potrebbe essere utile farlo in fase fetale, tuttavia è molto probabile che il testosterone sia uno degli ormoni attivanti il meccanismo che porta ai disturbi. Dal 2017 al 2022 altri centri di ricerca hanno indagato tali interconnessioni, apportando approfondimenti in vari aspetti della fisiologia e nella patogenesi delle malattie, quindi, nella medicina clinica.
È stato ribadito che la lateralizzazione della struttura o delle funzioni cerebrali è causalmente correlata al testosterone prenatale, ma i meccanismi sottostanti, che includono i percorsi non genomici, devono ancora essere esplorati. Il legame tra esposizione fetale agli androgeni ed una maggiore prevalenza di disturbi autistici è stato pure confermato da uno studio dell’Università di Odense pubblicato negli scorsi mesi. La ricerca futura dovrà esaminare, tra l’altro, l’associazione delle funzioni e delle disfunzioni cognitive correlate agli androgeni con i metaboliti e i regolatori del testosterone, inclusi l’ormone di rilascio delle gonadotropine e quello luteinizzante, passaggi importanti per la comprensione della psicobiologia dell’intelligenza sociale umana.
Gli esseri umani mostrano dimorfismo sessuale in anatomia, fisiologia, ma anche patologia. Molte delle differenze sono dovute ai cromosomi sessuali e, quindi, alla genetica, altre dovute a fattori endocrini come gli ormoni sessuali, alcune sono di origine sociale. Un numero crescente di studi scientifici ha rivelato inattese differenze nel cervello umano legate al sesso, con notevoli conseguenze comportamentali e cognitive. Il testosterone prenatale e postnatale influenzano, rispettivamente, le strutture e le funzioni cerebrali. Le differenze cognitive tra i sessi includono in particolare alcuni compiti spaziali e linguistici, ma influenzano anche molti altri aspetti del cervello neurotipico. Tali differenze sono verosimilmente rilevanti anche per la patogenesi dei disturbi dello spettro autistico, tipici della popolazione maschile. Il dimorfismo strutturale nel cervello umano è stato già descritto, e nonostante recenti controversie ne mettano in dubbio l’importanza, esistono solide prove per quanto riguarda le differenze di genere in diverse funzioni cerebrali.
[1] Secondo dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e del Ministero della Salute
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