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Attualità

Da Barbablù a Gilles de Rais: il doppio volto della malvagità

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Gilles de Rais non uccise donne, né tantomeno la sua unica moglie, ma la sua follia si scatenò sui bambini, maschi e femmine, piccoli mendicanti adescati da lui e dai servitori, suoi complici, in vere e proprie retate nei villaggi, con la promessa di un pasto o di un lavoro da paggetti nei suoi castelli. Una volta all’interno delle mura, poi, infliggeva loro le peggiori torture, da abusi di natura sessuale, prima, durante e dopo la morte, fino a percosse, decapitazioni e strangolamenti.

di Luca Rinaldi

Rovine abbandonate e torri monche e decadenti: questo è ciò che, nelle campagne francesi intorno al fiume Loira, rimane dei castelli del barone Gilles de Rais, ricchissimo nobiluomo, eroe nazionale francese, compagno d’armi nientemeno che di Giovanna d’Arco nella difesa di Orléans assediata dagli inglesi nel 1429,maresciallo di Francia a soli 25 anni e consigliere del re Carlo VII.

Eppure, fino al secolo scorso era rimasto anche qualcos’altro tra quei ruderi d’epoca feudale: resti di ossa umane. Spoglie di bambini, per la precisione. Vittime di un mostro cresciuto nel corpo di un eroe.

Già perché lo stesso uomo descritto poco fa, Gilles de Rais, si rivelò essere il precursore di tutti i serial killer moderni, tanto da essere identificato nell’immaginario comune come il Barbablù narrato da Charles Perrault un paio di secoli dopo in una celebre fiaba nella quale il protagonista è descritto come un sanguinario uxoricida. A testimonianza di questa sovrapposizione di figure, quella storica e quella fiabesca, ci sono le credenze che in quella zona della Francia hanno fatto sì che il popolo, ancora oggi, non abbia dubbi: quelli erano i castelli di Barbablù.

Nella realtà Gilles de Rais non uccise donne, né tantomeno la sua unica moglie, ma la sua follia si scatenò sui bambini, maschi e femmine, piccoli mendicanti adescati da lui e dai servitori, suoi complici, in vere e proprie retate nei villaggi, con la promessa di un pasto o di un lavoro da paggetti nei suoi castelli. Una volta all’interno delle mura, poi, infliggeva loro le peggiori torture, da abusi di natura sessuale, prima, durante e dopo la morte, fino a percosse, decapitazioni e strangolamenti.

Ma da dove nasceva questo macabro desiderio di infliggere il male? Diverse sono le possibili origini, le quali hanno probabilmente tutte contribuito a fare di un eroe un mostro, a cominciare dal contesto in cui è nato e cresciuto Gilles de Rais, durante la terza e più cruenta fase della Guerra dei Cent’anni,conseguenza dello scontro civile scoppiato in Francia tra Armagnacchi, fedeli al re Carlo VI, e Borgognoni, schierati invece con il duca di Borgogna Giovanni senza Paura, al quale si allearono anche gli inglesi. Gilles nacque nel 1404e, diventato prematuramente orfano di entrambi i genitori, venne cresciuto dal nonno Jean De Craon, ricco signore feudale, capo di una banda di predoni, con i quali, in cerca di riscatti e di sempre nuove ricchezze, assaliva nobili e proprietari terrieri. Un uomo violento e senza scrupoli, insomma, che ebbe modo di manipolare il giovane de Rais, facendogli conoscere sregolatezza e immoralità.

Guerra e morte, dunque, furono costanti per Gilles già dalla tenera età. Indirizzato alla carriera militare dal nonno, divenne presto un brillante e valoroso condottiero, ottenendo, come detto, il prestigioso titolo di maresciallo di Francia a soli 25 anni, carica accordatagli da Carlo VII in persona. Fu proprio in questo periodo di gloria che si ritrovò a combattere fianco a fianco con Giovanna D’Arco durante l’assedio di Orléans da parte degli inglesi, e poi anche in seguito, trovando paradossalmente nella santa, nell’innocente pastorella guidata da Dio, in una donna con valori completamente opposti ai suoi, un’anima affine, probabilmente per il carisma e per il coraggio che questa dimostrava in battaglia o forse per le voci che volevano Giovanna guidata da poteri pericolosi e demoniaci, che tanto fecero parte della vita di Gilles in seguito.

Oggi, con terminologia moderna, si riconoscerebbe il cosiddetto fattore di stress, cioè la molla che fa passare un soggetto dalla semplice fantasia al vero e proprio atto delittuoso, in due eventi della vita di Gilles de Rais: l’ingloriosa morte sul rogo di Giovanna d’Arco nel 1431, seguita al processo per stregoneria, eresia, idolatria e commercio col Diavolo e, nell’anno successivo, la dipartita del nonno. I due punti di riferimento di Gilles sparirono così a pochi mesi di distanza, lasciandolo, da un lato, senza la sua eroina che rappresentava l’attaccamento agli ideali cavallereschi e di gloria e che permetteva a Gilles di sfogare i suoi impulsi più oscuri nell’arte della guerra, e senza più il nonno che fungeva a suo modo da impositore di limiti e che indirizzava secondo i propri scopi la sregolatezza del nipote. Fu dunque in quel momento che in Gilles de Rais qualcosa cambiò: la sua vera natura, covata nei lunghi anni di violenza e di conflitto, iniziò a fuoriuscire, senza più paletti né morale, con nessuno se non sé stesso a cui rendere conto.

La progressiva discesa verso l’abisso iniziò con il dilapidare le immense ricchezze ereditate. Se prima, con il denaro contribuiva all’organizzazione delle campagne militari, ora, ritiratosi a vita privata,questo serviva a circondarsi di un lusso senza pari, finanziando feste, banchetti, spettacoli teatrali, comprando abiti e arredamento, corrompendo giovani amanti e assicurandosi la benevolenza della Chiesa. Tutto ciò fu portato talmente all’eccesso da essere costretto a svendere i terreni e le proprietà immobiliari di famiglia per cifre irrisorie. A seguito di ciò fu abbandonato dalla moglie e i familiari, per evitare che dilapidasse oltremodo l’eredità, ne chiesero l’interdizione a Carlo VII, che acconsentì, vietandogli la vendita di ulteriori proprietà.

Caduto dunque in disgrazia, Gilles iniziò a dedicarsi a un altro interesse rimasto a lungo sopito: l’occultismo. Si circondò di sedicenti alchimisti con la speranza di produrre oro e ripianare così i propri debiti. Gli esperimenti alchemici si conducevano nei vari castelli ancora in suo possesso a Tiffauges, La Suze, Machecoul, Champtocé, Laval, Ingrande e Nantes, dove si organizzavano invocazioni di demoni, che ovviamente non portarono a nulla e non fecero altro che svuotare definitivamente le casse a favore di ciarlatani e approfittatori.

Fu proprio uno di questi, tale Francesco Prelati, monaco toscano spretato e studioso del modo per ottenere la leggendaria pietra filosofale, che indusse Gilles a praticare messe sataniche con lo scopo di evocare il demone Barron, col quale si diceva in contatto, e compiere stregonerie. Nel momento in cui i riti in questione non davano i risultati sperati, Prelati proponeva come soluzione il sacrificio di bambini. Fu così che il mostro che era in Gillesriuscì a giustificare l’ecatombe di fanciulli che seguì. Le sue vittime erano per lo più bambini maschi, ma anche femmine, che adescava, abusava, torturava e uccideva nei modi più atroci, bruciandone infine i resti o seppellendoli malamente nei più remoti angoli dei suoi castelli, aiutato sempre dai due fedelissimi servitori, Henriet e Poitou. Si stima che siano stati uccisi fino a 150 bambini, ma la conta non può essere precisa proprio a causa delle umili origini delle vittime, la cui scomparsa spesso non faceva notizia.

Eppure, le voci di strane attività praticate nei castelli di Gilles de Rais, in qualche modo, iniziarono a circolare tra il popolino, impossibilitato però a schierarsi contro il ricco nobiluomo e continuando di fatto a lasciare che agisse indisturbato. Fu paradossalmente un errore strategico di Gilles a decretarne la fine. Era il 1440 e il barone de Rais compì un atto di violenza nei confronti di un canonico in una chiesa della Bretagna durante la messa di Pentecoste. Questa azione, considerata un’offesa e un sacrilegio all’immunità della Chiesa, costrinse il vescovo Malestroitdi Nantes a prendere in considerazione le svariate voci che ormai circolavano relativamente alla sparizione e ai rapimenti di bambini e ad avviare un’indagine nelle varie residenze di de Rais. Fu così che vennero scoperte le atrocità compiute in esse, con il presunto rinvenimento dei cadaveri malamente occultati da Gilles e dai suoi complici. Ciò portò all’arresto del maresciallo di Francia Gilles de Rais su ordine del vescovo stesso, avendo commesso reati di competenza dell’autorità ecclesiastica quali eresia, evocazioni del demonio e sodomia. Tutto ciò si sommava ovviamente al reato di omicidio, di competenza dell’autorità civile.

Il processo a suo carico vide Gilles agire con la stessa doppia faccia con cui era vissuto: inizialmente professando la propria innocenza a spada tratta e, successivamente, probabilmente sotto laminaccia di torture e scomunica, confessando in lacrime e con gesti plateali le proprie nefandezze, dimostrandosi pentito e illuminato dalla fede.

Il 26 ottobre del 1442 Gilles de Rais fu impiccato e bruciato sul rogo insieme ai suoi due servitori e complici, davanti a una folla di spettatori che addirittura si commosse nel momento in cui il mostro chiese e ottenne, in lacrime, come ultimo desiderio, che gli fosse ritirata la scomunica, essendo terrorizzato di finire la propria esistenza nelle grinfie di Satana. Venne poi sepolto nella Chiesa di Notre Dame des Carmes, a Nantes, che fu distrutta in seguito durante la Rivoluzione Francese. Con essa furono devastate e scoperchiate anche le tombe e i resti del barone Gilles de Rais finirono per disperdersi definitivamente.

Così terminò la vita di uno dei più sanguinari e controversi criminali della storia. Oggi lo descriveremmo come un serial killer, una personalità disturbata che, come molti suoi successori moderni, conduceva una doppia vita insospettabile, e riconosceremmo nella sua infanzia, vissuta tra guerra, violenza e spregiudicatezza, le cause dei suoi disturbi e delle sue ossessioni di uomo adulto. Oggi probabilmente lo valuteremmo come un pedofilo sadico e perverso con manie di grandezza,uno spiccato senso di onnipotenza e alla ricerca inconscia di un continuo riconoscimento.

Prima di oggi, invece, è bastata evidentemente solo una parola, altrettanto efficace, per descrivere l’incubo, l’uomo nero, il mostro, la malvagità fatta uomo, tanto da far coincidere l’identità di Gilles de Rais con essa: Barbablù.

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