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Diritti umani

Corte di Cassazione, estradizione e tutela dei diritti umani

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Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito che non possa essere concessa l’estradizione di una persona verso un Paese qualora ci sia un “rischio concreto di sottoposizione a trattamenti incompatibili con il rispetto dei diritti fondamentali”

di Antonio Virgili – pres. comm. Cultura Lidu onlus

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 21125, depositata il 17/5/2023, sesta Sezione penale) ha nuovamente ribadito un principio molto importante in tema di tutela dei diritti umani in un contesto internazionale.  La sentenza, che segue l’indirizzo della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 6/10/2022, caso “Liu contro Polonia”, ha ribadito che non possa essere concessa l’estradizione di una persona verso un Paese qualora ci sia un “rischio concreto di sottoposizione a trattamenti incompatibili con il rispetto dei diritti fondamentali”, ciò se pure le Autorità di quel Paese abbiano fornito generiche assicurazioni.  Inoltre, per consolidata giurisprudenza della Corte stessa, la verifica in ordine all’esistenza di violazioni dei diritti umani nel Paese richiedente va condotta anche sulla base di documenti e rapporti elaborati dalle organizzazioni internazionali.  Ciò come nella analoga giurisprudenza della Corte EDU.    Non si tratta quindi, come qualcuno ha affermato, di una sentenza storica, sia perché non è la prima in Italia sia perché si attiene alle indicazioni della Corte EDU ed a sentenze della Corte Europea stessa.

L’esistenza di una situazione caratterizzata da grave e diffusa pratica della tortura al fine di estorcere confessioni e la presenza di endemica violenza nell’intero sistema carcerario costituisce motivo ostativo alla estradizione.

Va ricordato pure che la formulazione di accuse aggiuntive a carico dello estradando riferite a generiche condotte di terrorismo che, a prescindere dal concreto esercizio di un’azione penale, sono suscettibili di esporlo ad attività di indagine in relazione alle quali non è remoto il pericolo di subire atti di tortura anche in ambito carcerario, impone un impegno aggiuntivo volto ad appurarne il contenuto.      Costituisce fatto noto che, a livello internazionale, sia tra Stati che non rispettano lo stato di diritto (Arabia Saudita, Iran, Egitto, Rep. Popolare Cinese) che tra Paesi formalmente a sistema politico pluripartitico, ma connotati da forti venature autoritarie (Russia, Turchia), accuse di terrorismo mascherano frequentemente l’esercizio di attività repressive del dissenso politico manifestato anche in forma pacifica.  Purtroppo non mancano i casi, anche molto recenti, in vari Stati.

In tempi non lontani, anche in Paesi che rispettano la rule of law come gli Stati Uniti d’America (il principio di derivazione britannica con cui si fa riferimento al principio della pari dignità di ogni persona di fronte alla legge, a tutela da qualsiasi tipo di arbitrio che ne possa ledere i diritti fondamentali), un’accusa di terrorismo era sufficiente a fare decadere ampiamente le garanzie processuali spettanti all’imputato.   Nei casi di richiesta di estradizione, come confermato non solo da casistiche cinesi ma anche iraniane, turche e di vari altri Paesi, si verificano spesso forti pressioni, in alcuni casi anche arresto e detenzione, su familiari residenti nel Paese che chiede l’estradizione al fine di spingere la persona al rientro.

Ѐ chiaro che gli Stati dell’Unione Europea non hanno interesse a diventare una sorta di “luogo di rifugio” per ricercati di altri Paesi, tuttavia, garantire il rispetto dei diritti fondamentali per i quali le società e la cultura europee sono state paladine nel mondo risulta doveroso anche per conservare credibilità.  Fondamentale è l’osservanza e l’applicazione effettiva degli standard a tutela dei diritti umani, i compromessi rischiano di indebolire solo la posizione europea.

Analoga la situazione per Stati nei quali è applicata la pena di morte, in presenza anche di una ragionevole probabilità (“fondato motivo“) di non applicazione della pena di morte la estradizione va comunque negata: l’irrogazione deve essere esclusa con certezza, pena il contrasto con un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico.   In proposito, è utile ricordare che – come ha puntualizzato la Corte costituzionale nella sentenza n. 223 del 27 giugno 1996, con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del precedente testo dell’art. 698 c.p.p., comma 2, – “il divieto contenuto nell’art. 27 Cost., comma 4, ed i valori ad esso sottostanti, primo fra tutti il bene essenziale della vita, impongono, infatti, una garanzia assoluta“; aggiungendo che “l’assolutezza di tale garanzia costituzionale incide sull’esercizio delle potestà attribuite a tutti i soggetti pubblici dell’ordinamento repubblicano, e nella specie su quelle potestà attraverso cui si realizza la cooperazione internazionale ai fini della mutua assistenza giudiziaria. Si che l’art. 27, comma 4, letto alla luce dell’art. 2 Cost., si pone quale essenziale parametro di valutazione della legittimità costituzionale della norma generale sulla concessione dell’estradizione e delle leggi che danno esecuzione a trattati internazionali di estradizione e di assistenza giudiziaria“.

In modo analogo, sempre la Corte di cassazione (VI Sez. Penale, sentenza del 2021, n. 18122) aveva negato l’estradizione ad una persona indiana, accusata di traffico di stupefacenti, per: violazione dell’art. 698 c.p.p., comma 2, in relazione al rischio effettivo di essere condannato a morte; violazione dell’art. 705 c.p.p., comma 2, lett. a) in relazione al fatto che il procedimento penale in India non assicura il rispetto dei diritti fondamentali con riferimento all’inversione dell’onere della prova previsto dagli artt. 35 e 54 del NPDS Act del 1985; violazione dell’art. 705 c.p.p., comma 2, lett. a) in relazione alla circostanza che il procedimento estero non assicura il rispetto dei diritti fondamentali con riferimento alla mancanza di un termine predefinito di durata massima della custodia cautelare; Violazione dell’art. 698 c.p.p., comma 1 e art. 705 c.p.p., comma 2, lett. c) in reazione al rischio effettivo di essere sottoposto a trattamenti crudeli, inumani o degradanti; violazione dell’art. 698 c.p.p., comma 1, in reazione al rischio di essere sottoposto ad atti persecutori o discriminatori.             Quest’ultimo rischio in quanto ulteriore ragione ostativa all’estradizione era l’appartenenza del ricorrente alla minoranza Sikh e la sua origine della regione del Punjab, ciò per il noto ricorso all’uso massiccio della tortura da parte delle forze di polizia indiane a danno di appartenenti alla minoranza separatista del Punjab.

Non ultimo, quando per la richiesta di estradizione sono utilizzate prove ottenute attraverso il ricorso alla tortura, ad esempio in un caso nel quale entrambe le condanne riportate si fondavano essenzialmente sulle dichiarazioni rese sotto tortura da alcuni dei coimputati, ciò risulta in violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.   Si tratta infatti di un diritto assoluto, è uno dei casi in cui le disposizioni della Convenzione non consentono alcuna eccezione o limitazione, e anche la Corte non ne ha dedotto alcuna. Ne deriva che né l’interesse generale, né i diritti altrui, né la condotta della vittima, per quanto pericolosa o criminale, possono giustificare i trattamenti vietati da questo articolo.

L’articolo 3 della CEDU è stato invocato in numerose situazioni diverse tra di loro, ma il contesto più frequente riguarda il trattamento delle persone private di libertà. Di conseguenza, gli agenti delle forze dell’ordine e altri responsabili della custodia delle persone detenute (guardie carcerarie, funzionari dell’ufficio immigrazione e quanti lavorano presso i centri di detenzione e le unità psichiatriche) devono essere particolarmente vigilanti per impedire ogni violazione di questo articolo. È prudente procedere a una valutazione precoce del rischio di maltrattamenti, soprattutto per le categorie vulnerabili (presunti pedofili, gruppi minoritari, donne, minori, ecc.).  In proposito va sottolineato che la Corte Europea ha ritenuto tra l’altro che costituivano atti di tortura gli stupri e le umiliazioni di tipo sessuale, le minacce di violenze nei confronti di membri della famiglia, il fatto di essere mantenuto con gli occhi bendati e le finte esecuzioni. La sofferenza può essere mentale e non solo fisica.

Parlando di tutela dei diritti umani è doveroso ricordare queste sentenze, sia per dare il giusto valore alla tradizione giuridica italiana ed europea in materia, sia perché a fronte di violazioni sistematiche dei diritti fondamentali e della dignità umana nel mondo, è necessario sapere che esistono ancora presidi di legalità e di difesa.  L’Europa, nonostante i suoi limiti e difetti, ne è ancora ampiamente depositaria.

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