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Caccia all’anarchico?

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Ci sono critiche forti dal mondo intellettuale non solo di sinistra riguardo alla “caccia all’anarchico” che sembra di leggere nelle cronache di questi giorni.

di Sergio Bevilacqua, sociologo e sociatra

Ci sono critiche forti dal mondo intellettuale non solo di sinistra riguardo alla “caccia all’anarchico” che sembra di leggere nelle cronache di questi giorni. Il tema è profondo e complesso. Non vi è dubbio che l’anarchia (parola che significa obiezione a tutti i poteri costituiti e anche alla filosofia stessa del concetto di potere) è una dimensione originaria dell’uomo, che vede il principio della umanità comune e della varietà individuale come principio essenziale e sufficiente per una civiltà benefica e costruttiva.

Sull’essenza credo di potere convenire: tutte le antropologie hanno questa base, sia a est (induismo e buddismo) che a ovest (i monoteismi) per considerare tra parentesi importanti principi filosofico-religiosi che hanno guidato la crescita dell’Uomo, le sue espressioni societarie e tante visioni teoriche della sua collettività. Anche il pensiero socialista viene dalla corrente anarchica bakuniniana e così tanta destra vede nel filosofo anarchico Stirner il mito dell’individuo come guida dell’agire, fino a decomporsi nei nihilismi, ad esempio quello nietzschiano, e magari anche terroristico nostrano.  L’anarchia è un progetto che vede l’umanità basarsi sull’idea originaria di una purezza dei sentimenti dell’individuo umano che si constata nelle prime fondazioni psicologiche, prima del suo affacciarsi all’organizzazione sociale e societaria.

L’anarchico vero è un bambino. Gli voglio bene, ma mai gli affiderei le sorti della mia famiglia, della mia gente, della mia umanità. Lo rispetto per la purezza e posso ascoltarlo per la sua visione libera da condizionamenti. Ma ognuno sa che l’individualismo anarchico, che fa sì che gli estremi si tocchino, è solo un mito e, come i miti, un vero concime culturale e civile: un concime per fare buona società, per capire le diverse qualità umane, per riconoscere l’autorevolezza della conoscenza e dell’esperienza, per capire la necessità del potere e della sua migliore gestione.

Ma, cari figlioli anarchici, non è il potere, il problema! Il potere è una condizione necessaria. Il problema vero è la coscienza societaria dell’uomo: questo è proprio dei cervelli più fruttiferi, che sanno operare per il bene olistico, compiendo onesta congiunzione societaria, e abbandonando in modo regolato e consapevole l’immaturità del povero individuo, narciso e suicidale.

Per questo sostengo che l’anarchia è fuga nel mondo ludico che scorre senza soluzione di continuità tra il reale e l’immaginario. Essere Alice nel paese delle meraviglie è una condizione che va preservata dentro di noi, come un fanciullino pascoliano, uno dei tanti giochi dell’arte che però poi diviene cosa serissima in quanto sentimento puro e condiviso di catarsi. Ma la vita è anche amicizia e amore, sentimenti che ci legano e che proprio oggi occorre considerare per la loro vera forza coesiva e pura, così avversata dai demoni della pandemia emersi a frotte.

Per questo, cari amici, non è sbagliato mettere in guardia oggi rispetto all’anarchia, al suo disperato principio individualistico, ove viene scambiato il dono della speciale particolarità di ciascuno con il sacrificio (fare sacro!) della congiunzione societaria. E scrivo societaria, proprio perché questa parola non significa la semplice e difficilissima sommatoria delle particolarità individuali (il semplice “sociale” o “comunitario”), che anima in realtà lo stigmatizzare le differenze (hostes… i nemici, in latino, gli stranieri) per il rispetto reciproco non trasformato, e la conseguente ostilità, dovuta a semplice commisurazione del valore. Societario implica la reciproca comprensione delle differenze, la loro acquisizione come valore, e anche come problema di lavoro e non di ostacolo, e la messa a fattor comune delle valenze, con logiche condivise e dialettiche costruttive. Fare organizzazione è fare società, e farla bene è combattere la colonizzazione delle società umane (famiglie, aziende, enti pubblici, organizzazioni tutte) da parte delle logiche perverse e distruttive. Fare organizzazione sana, fare buona società è fare Il Bene. E perché ciò avvenga occorre combattere! Fare vivere l’amicizia, l’amore e l’arte, che sono 3 sentimenti.

Ogni epidemia porta con sé per sua natura la diffidenza. Ricordate le pestilenze e “La maschera della morte rossa” di E. A. Poe…

La società siamo noi, siamo noi che possiamo usare questa parentesi dolorosa come una lezione per fare BUONA SOCIETÀ. Certo, dopo il covid l’ostilità si è estesa, le astuzie individualistiche si sono ancora più affermate, ma chi sa fare società, chi sa creare con gli altri, chi sa proiettarsi con la mente in risultati impossibili a ciascuno di noi da solo, questo uomo provato da una epidemia, come già successe, antropologicamente rinnovato e quasi travolto dalla nuova condizione diluviana di quattro rivoluzioni contemporanee (1. globalizzazione, 2. antropocene, 3. mediatizzazione estrema, 4. ginecoforia), potrà generare un mondo migliore, sia di quello di oggi che di quello di prima.

Occorre alzarsi, muoversi, incontrarsi e operare. Il web è ormai vitale e i libri sono pane vero, e stare a filosofeggiare da una poltrona o da una tastiera può anche servire, ma il mondo fuori è varissimo e mutevole, ancora bellissimo e le persone vogliono stare insieme anche per fare cose migliori.

Fare società significa valorizzare l’individuo, non portarlo all’ammasso.

Non fare società è suicidio e adorazione (metaforica) di Satana e della morte in disgrazia.

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