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Bullismo e sindrome di Hikikomori

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Il bullismo nelle scuole è  diffuso anche nel nostro Paese e negli ultimi anni il problema è aggravato con il cosiddetto cyberbullismo. Nel lungo periodo, oltre alle conseguenze dirette del bullismo c’è un altro disturbo, molto meno noto, che può avere la sua origine principale nel bullismo, è la sindrome di Hikikomori.

di Antonio Virgili  – pres. comm. Cultura Lidu onlus

Sempre più frequentemente oramai il bullismo è parte delle notizie di cronaca e, sebbene se ne parli spesso pure nelle scuole per prevenirlo, la società contribuisce a produrre modelli comportamentali sempre più spesso aggressivi.  Il bullismo nelle scuole è una questione fin troppo diffusa anche nel nostro Paese, dalle ricerche recenti risulta che almeno un adolescente su cinque lo abbia subito.  Negli ultimi anni il problema è aggravato dal fatto che spesso le persecuzioni si espandono anche al di fuori del contesto scolastico, attraverso il cosiddetto cyberbullismoI contraccolpi psicologici del bullismo non vanno intesi solo nell’immediato, le vittime tendono spesso ad ammalarsi di depressione e, in casi estremi, arrivano anche al suicidio.  Nel lungo periodo, oltre alle conseguenze dirette del bullismo in termini di prevaricazione, traumi e danni relativi, c’è un altro disturbo, molto meno noto, che in molti casi ha la sua origine principale proprio nel bullismo, è la sindrome di Hikikomori    

Secondo la Società Italiana di Psichiatria in Italia ci sono almeno 100.000 casi di sindrome di Hikikomori tra giovani, ma secondo altre stime, che includono gli adulti, si raggiungono cifre sei sette volte più alte, cifre molto preoccupanti, che potrebbero essere cresciute negli ultimi due anni di isolamento a causa della pandemia.

   Oltre alle indagini sociologiche, molte sono le testimonianze cliniche del legame tra bullismo e Hikikomori, nella maggior parte dei casi riportati viene, infatti, dato grande risalto ai maltrattamenti subiti durante le ore scolastiche e al grave disagio vissuto.     Gli hikikomori sono ragazzi molto fragili e sensibili, che hanno difficoltà a relazionarsi con i compagni, non solo per senso di inadeguatezza caratteriale o per forte timidezza ma, in alcuni casi, anche perché si sentono più maturi rispetto agli altri e si convincono di non aver poco o nulla in comune con i compagni.   Possono allora entrare in un circolo di negatività che può portarli a interpretare un episodio di derisione, o una battuta detta nel momento sbagliato, in modo particolarmente doloroso, fino al cosiddetto “fattore scatenante“, ovvero un episodio specifico al quale gli hikikomori collegano la loro decisione di ritiro.

Il termine Hikikomori è della lingua giapponese e significa, letteralmente, “stare in disparte”, il termine è nato proprio in Giappone perché è lì che il fenomeno si è sviluppato maggiormente a partire dagli anni 80, periodo nel quale le nuove tecnologie di comunicazione hanno registrato ampia espansione.    In Giappone i ragazzi più colpiti da questo problema sono maschi, primogeniti, appartenenti ad un ceto sociale medio alto, poche invece le ragazze. Gli hikikomori in sostanza, sono adolescenti che decidono volontariamente di isolarsi dal mondo, rinchiudersi nella loro camera e utilizzare il computer come unico mezzo di contatto con l’esterno.  

Spesso questo ritiro estremo dalla vita sociale, messo in atto dagli adolescenti hikikomori, si traduce nel vivere di notte e dormire di giorno, fare un utilizzo spasmodico di tv, internet e videogames e negarsi completamente alcun contatto con l’esterno.  Sempre in Giappone, in un sondaggio di alcuni anni fa risultava che oltre il 50% degli alunni delle scuole medie ha dichiarato di aver subito bullismo.  Una definizione sociologica condivisa della sindrome afferma che la paura del giudizio, la sofferenza legata alla competizione e una negatività che si viene a creare nei confronti della società vissuta come opprimente sono le caratteristiche sociali che contraddistinguono un hikikomori.   Per alcuni aspetti sono soggetti che rinunciano a progettare un futuro e vivono sul sostegno dei loro genitori, con disagio anche delle stesse famiglie di appartenenza.

Cercare di prevenire ed arginare il bullismo porta utilmente a contrastare anche il fenomeno degli hikikomori.   

Tuttavia appare solo propagandistico scaricare ancora una volta solo sulla scuola la soluzione del problema, negli ultimi decenni sembra che la scuola italiana debba occuparsi di tutto tranne che delle finalità istituzionali, se ne ha ancora.  Dall’integrazione dei ragazzi con difficoltà alla prevenzione delle malattie, all’ambiente, alla lotta alla criminalità, alle strategie di parità, oramai ogni tema di qualche rilevanza sociale, culturale, economica sembra debba passare per la scuola, a dimostrazione che le altre agenzie di socializzazione, anzitutto le famiglie, sono sempre più assenti ed ignave.  La scuola appare dover inevitabilmente seguire una deriva che la allontana sempre di più dalla formazione e dall’istruzione dei giovani per trasformarla in una sorta di contenitore-intrattenitore multiuso. Non sorprende allora che il risultato di una recente indagine trovi che quasi la metà degli studenti degli istituti superiori -dico superiori- italiani ha difficoltà a leggere e scrivere correttamente in lingua italiana.

A parte il bullismo, Il fenomeno degli hikikomori può avere anche altre cause diverse, caratteriali, sociali e familiari, o essere il risultato di una serie di concause.    

Il denominatore comune è dato sia dall’isolamento sociale, dovuto soprattutto alla paura del confronto con l’altro, che può durare mesi o anni, sia dal fatto che è una sindrome di isolamento sociale che non si risolve spontaneamenteDa notare che in Italia la fascia di età prevalente è dai 13 ai 25 anni e che una parte di questi ragazzi non ha evidenti problemi scolastici, ciò porta ad una minore visibilità del fenomeno, se a ciò si aggiunge che gli adolescenti tendendo a chiudersi dal mondo esterno appaiono ancora meno facilmente individuabili rispetto ad altre manifestazioni o disturbi, sono quasi invisibili, ma non dovrebbero esserlo quanto meno alle proprie famiglie.  Secondo alcune analisi si tratta di una modalità difensiva, messa in atto volontariamente e in modo consapevole per far fronte alle eccessive aspettative sociali tipiche della società odierna, sempre più caratterizzata da un’esasperata competizione.  

Quando il divario tra la percezione di sé e le sollecitazioni di genitori, allenatori, insegnanti e coetanei, avvertite come forti pressioni psico-sociali, diventa troppo grande, i ragazzi possono sperimentare sentimenti di impotenza, perdita di controllo e fallimento. Ciò può alimentare sentimenti negativi che portano a un atteggiamento di rifiuto verso tutte le situazioni relazionali avvertite come cause di malessere, portando i ragazzi a difendersi autoescludendosi nel tentativo di proteggersi dal mondo esterno.  Questa sindrome non è classificata come tale nei repertori diagnostici internazionali dei disturbi mentali, quindi, a meno che non vi siano altre comorbilità (quali autismo, depressione, ansia, o altre) va principalmente intesa come una patologia sociale, effetto principalmente di fattori sociali (bullismo o traumi relazionali), familiari, culturali, ed oggetto di intervento prevalente della sociologia clinica.

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