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Arte & Cultura

Bestia da stile, di Pier Paolo Pasolini al Teatro Studio “Eleonora Duse”

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Saggio di diploma dell´allievo regista,  dell’Accademia Nazionale d´Arte Drammatica “Silvio D´Amico”,  Fabio Condemi

image003Roma, 12 novembre – E’ in scena fino al 16 Novembre 2015, al Teatro Studio “Eleonora Duse”, lo spettacolo BESTIA DA STILE, di Pier Paolo Pasolini, saggio di diploma dell´allievo regista Fabio Condemi. Lo spettacolo sarà replicato tutte le sere alle ore 20.

 “Ho scritto quest’opera teatrale dal 1965 al 1974, attraverso continui rifacimenti, e quel che più importa, attraverso continui aggiornamenti: si tratta, infatti, di un’autobiografia”.

(Pier Paolo Pasolini dalla nota introduttiva di Bestia da Stile)

Pubblicato nel 2005, Bestia da Stile, a cui Pasolini lavorò a più riprese a cavallo del ’68, rappresenta una riflessione sulla difficoltà di raccontare i conflitti della modernità. La vicenda si svolge negli Anni ’30 in Boemia e ha come protagonista Jan, doppio del poeta e ispirato allo studente cecoslovacco che si diede fuoco durante la Primavera di Praga.  Pasolini ripercorre le tappe della sua formazione letteraria e politica e al tempo stesso affronta e subisce l’ingiuria della storia, la guerra, la dispersione e la degradazione degli affetti. Bestia da Stile è l’evoluzione del progetto Pier Paolo – Poeta delle ceneri, rappresentato alla Pelanda lo scorso Aprile, e diretto del docente di Regia Giorgio Barberio Corsetti con il coordinamento di Daniela Bortignoni. “Fabio Condemi ha una mano delicata e consapevole – afferma Giorgio Barberio Corsetti – fa nascere la creazione dal rapporto con gli attori e dal pensiero sul testo, dalla ragione e dalla necessità delle scelte. È attratto dalla poesia e ha una grande sensibilità nel percorrere le strade oscure di un linguaggio denso e turbolento, come quello di Pasolini. Crea una bellissima aderenza e contrappunto al testo. In questo duplice movimento, che Fabio attua nella pratica della creazione teatrale, sta anche la forza del linguaggio poetico di Pasolini, dove la Poesia è magma oscuro e bruciante e la ragione dell’ideologia diventa materia poetica di questa incandescenza originaria. Gabriele Portoghese, Valeria Almerighi e gli altri compagni di viaggio la seguono con anima corpo e pensiero sostenendo la prova con la loro arte”.

 Note di regia

In questa storia della vita poetica di uno scrittore simbolicamente “cecoslovacco”, che Pasolini ha scritto, corretto e riaggiornato per dieci anni (dal ’65 al ’74) si trova, in realtà, l’autobiografia di Pasolini stesso: l’infanzia friulana, i primi grandi amori letterari (Rimbaud su tutti), la decisione di essere poeta, la sessualità, la morte del fratello, l’adesione al marxismo, il rapporto con Roma e la sua gente, l’angoscia derivata dal successo (”Jan,  attento: la cosa più pericolosa per un uomo è un grande successo!”). Quello che affascina del testo è che non si tratta mai di un autobiografismo diaristico, perché la passione poetica di Jan – Pasolini non è mai slegata dal suo rapporto con il   mondo esterno e con gli uomini, rappresentati dal personaggio del coro. Infatti in quest’opera Pasolini descrive, prendendo come esempio la Boemia, quel ‘mutamento antropologico’ di cui parla nelle “Lettere Luterane”: il passaggio da una società contadina, dove si perpetuano da secoli tradizioni ancestrali, ad una società consumistica e omologata. Uno dei monologhi di Jan più belli ed enigmatici del testo comincia con l’affermazione: “Un’idea di stile, uno stilo, piantata nel cuore”’. Per Pasolini lo ‘stile’ si riappropria veramente del suo etimo di ‘stilo’, punta acuminata che lascia un segno indelebile. Questo è anche il suo teatro: letterario, difficile da capire e da recitare, infarcito di riferimenti culturali (la storia della repubblica ceca nel nostro caso), a volte incoerente nella struttura drammaturgica, eppure sempre pieno di una passione, di una disperata vitalità che dà corpo ai concetti e spinge gli attori a fare proprie quelle parole che sembrano venire da altrove (‘io sono una forza del passato’’). Per questo ci appassiona tanto, anche a quarant’anni dalla sua morte, forse proprio perché noi siamo il frutto di quella omologazione e di quel ‘mutamento antropologico’ di cui lui stesso parlava.

 

Interpreti dello spettacolo gli attori diplomati dall´Accademia: Gabriele Portoghese, Valeria Almerighi, Arianna Di Stefano, Paolo Minnielli,  Xhuljo Pethushi e gli allievi Carmelo Alù ed Emanuele Linfatti.

 

Scena  di Bruno Buonincontri

Costumi di Gianluca Falaschi

Luci di Sergio Ciattaglia

Foto di Tommaso Le Pera

 

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