Attualità
Arabia Saudita dichiara la morte del giornalista Jamal Khashoggi. Si cerca il corpo

La comunità internazionale accusa il Paese arabo di aver ucciso il reporter, ma la monarchia saudita nega ogni responsabilità.
di Vito Nicola Lacerenza
L’Arabia Saudita ha reso noto la morte del giornalista Jamal Khashoggi, sostenendo che un “cittadino saudita è cao in seguito ad una colluttazione avvenuta tra lui e 15 agenti segreti, suoi connazionali, all’Interno dell’ambasciata dell’Arabia Saudita a Istanbul”. Il luogo in cui Khashoggi era stato visto entrare l’ultima volta il 2 ottobre e da cui non era più uscito. Negli ultimi diciotto giorni la polizia turca ha indagato sul caso sostenendo che il giornalista sia stato assassinato all’interno del consolato per ordine del governo saudita, il quale ha respinto ogni accusa e ha sempre dichiarato che il reporter sia uscito dall’edificio “sano e salvo”. Almeno fino a ieri. Giorno in cui gli inquirenti turchi hanno annunciato di avere “prove audio e video in grado di dimostrare che Jamal Khashoggi è stato ucciso e fatto a pezzi all’interno della stessa ambasciata”. Ore dopo tale dichiarazione, il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman ha riconosciuto la morte del giornalista. Ma il decesso, secondo il monarca, sarebbe stato causato da una colluttazione avvenuta tra Khashoggi e i 15 agenti, che lo avrebbero strangolato nel tentativo di immobilizzarlo.
Sebbene non esistano prove a sostegno di tale tesi, in Arabia Saudita 18 persone sono finite in carcere per l’omicidio di Khashogi: i 15 agenti esecutori dell’omicidio, due dipendenti del consolato saudita e un autista. La loro detenzione è avvenuta senza alcuna prova in quanto il corpo del giornalista non è ancora stato trovato e nessuno, all’interno della catena di comando dell’esercito saudita, sembra avere informazioni a riguardo. Persino il principe ereditario Mohammad bin Salman ha dichiarato di non essere a conoscenza dei dettagli dell’operazione che sarebbe “avvenuta a sua insaputa”. Questa versione dei fatti però non ha convinto i Paesi occidentali. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha definito “inadeguate” le argomentazioni del principe Mohammad bin Salman ; l’Australia, l’Olanda, e il Regno Unito hanno boicottato una convention organizzata insieme all’Arabia Saudita; e il governo francese ha accusato lo Stato Arabo di voler “lasciare senza risposta diverse domande sul caso Kahshoggi”. Moltissimi si domandano come sia stato possibile che Jamal Khashoggi, uno scrittore di sessant’anni, abbia ingaggiato uno scontro fisico contro 15 agenti dei servizi segreti, tutti professionisti ben addestrati. Con gli agenti c’era anche il generale Maher Mutreb, personalità di primo piano all’interno delle forze armate saudite e uomo molto vicino al principe Mohammad bin Salman, il quale in passato lo ha scelto come accompagnatore nei suoi viaggi all’estero.
Si tratta di un particolare che rende inverosimile l’ipotesi che il sovrano saudita sia stato all’oscuro dell’operazione condotta contro Jamal Khashoggi, il giornalista costretto a lasciare il suo Paese d’origine per poter svolgere liberamente il suo mestiere. Anche lui era un uomo vicino alla corte saudita e per tale ragione ne era un profondo conoscitore e critico. In una delle sue ultime interviste Khashoggi ha descritto la sua condizione di dissidente con le seguenti parole: «Noi cittadini sauditi siamo lontani dalla democrazia. La democrazia in America, in Finlandia, in Danimarca rende i leader politici umili, li rende responsabili di fronte alle persone semplici. In Arabia Saudita non funziona così. I sovrani sauditi ritengono di comprendere la realtà meglio di chiunque altro. Per loro le persone come me sono solo degli ostacoli alle loro riforme».