Arte & Cultura
Apre con Cavalleria Rusticana e Pagliacci (e Aida) L’Arena di Verona 2021, tempio di civiltà italiana
Il festival veronese mette la città scaligera al centro del quadro nazionale della cultura.
di Sergio Bevilacqua
Cecilia Gasdia, già eccelso soprano, è sovrintendente della Fondazione Arena di Verona solo dal 2018, e già si è trovata di fronte a sfide colossali quanto il più grande teatro romano del mondo ancora pienamente attivo, la sua Arena. La pandemia ha messo a dura prova le sue capacità manageriali, che non coincidono necessariamente con una stupefacente carriera canora. Invece, dopo il coraggioso 2020 con il palcoscenico al posto della platea, Cecilia e l’intera squadra di top management della vigorosa istituzione veronese, in primis il presidente Federico Sboarina, sindaco della città, hanno fatto un altro equilibrismo riuscitissimo, questa volta non architettonico ma istituzionale, sostenuto con vigore anche dalla Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, nella persona del suo Direttore Vincenzo Tiné: connettere a ciascuno spettacolo in cartellone una importante istituzione culturale nazionale.
Ed ecco il clamoroso risultato:
Biblioteca Apostolica Vaticana e Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi per il contesto visuale di tradizione popolare siciliana di Cavalleria rusticana; per Pagliacci si avranno suggestioni felliniane in collaborazione con il Museo del Cinema di Torino e il Fellini Museum che il Comune di Rimini inaugurerà a breve; per Aida, il Museo Egizio di Torino, le cui straordinarie collezioni, attueranno dialettica tra le pietre romane dell’Arena e l’iconografia egizia; in Nabucco il MEIS, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, per un excursus sulla storia dell’ebraismo italiano dalle origini agli anni ’40 del Novecento; Turandot, il Museo d’Arte Cinese ed Etnografico di Parma, piccola-grande esposizione di tesori di epoche e popoli lontani, ma anche di apertura alle loro culture remote; La Traviata, le Gallerie degli Uffizi di Firenze ove brillano iconografie del mondo di Violetta della grande arte; nella serata Verdi Requiem, il Sito Archeologico di Paestum e del Parco Archeologico di Pompei; per la IX Sinfonia di Beethoven, in un percorso la Fondazione Alinari per la Fotografia focalizzato sulle piazze, simbolico luogo d’incontro universale, come universale è la sinfonia e il suo messaggio extramusicale di gioia e speranza.
Si respira aria di gran festa, venerdì 25 giugno, dopo una doppietta propedeutica di Aida in concerto per la direzione di Riccardo Muti, svoltasi nella settimana stessa. In attesa che il classico gong areniano scarichi nell’aria il suo suono allegro e suggestivo e si apra l’ideale, impossibile sipario del palcoscenico “più grande” del mondo con il dramma di Turiddu e Santuzza, sono ospiti d’onore, facondi e sereni, Pippo Baudo e Katia Ricciarelli. Katia, dopo un breve saluto lascia al marito tutta la scena per gli aneddoti della sua grande esperienza d’opera. Sempre bella coppia, loro due… E la sono davvero! Prima di rivederli qui, li ho incrociati un giorno nel tempio della tradizione gastronomica veronese, il Greppia, a pochi passi dall’Arena, ma, soprattutto, mi è capitato di passarci insieme alcune serate in amicizia, tra il 1996 e il 2001 a Roma, e sembrano davvero gli stessi: arte, spettacolo e amore, grande miscela!
Così, contento per due battute con l’una e con l’altro, prendo posto e attendo invece la tragedia della coppia che vedremo sul palcoscenico in Cavalleria Rusticana. L’Arena non pare stipata: i 6000 posti che le politiche di sicurezza hanno consentito sui 15000 possibili non sembrano tutti occupati, ma è forse un effetto ottico. Sinceramente, sarebbe un’ingiustizia, visti la grande qualità del lavoro fatto (e illustrato sopra), il cast delle voci e l’impegno scenografico, proverbiale e mai scontato in cotanto spazio. La reggiana Sonia Ganassi (brava!) è una grandissima Santuzza: canta proprio come “all’Arena”, le note della sua voce si diffondono in tutto l’anfiteatro e lo fa coscientemente, riesce a tenere in fila il registro vocale, le note, la espressività del personaggio e la “mira”. Perché per essere dei grandi cantanti all’Arena occorre avere magistralità balistica, sparare la voce in questa geometria così enorme, e inusuale per i nostri teatri settecenteschi e ottocenteschi; e ben venga l’urlo, ma come la mettiamo col sospiro? Grandissima Sonia! Buona la scenografia e la regia. Certo, domani l’Aida si troverà nel suo ambiente, grande come le piramidi, ma anche il dramma dell’”hundred -not one!- opera man” Mascagni merita questi spazi, se c’è una Ganassi che li riempie d’inattesa, geniale intimità e Karahan (Turiddu) la segue. Rare le prevedibili derive di senso, evitate dalle intelligenti coreografie e dall’ottima direzione di Marco Armiliato. Grande rischio, grande risultato e, ripeto, una eroina dello spettacolo: Sonia Ganassi!
Pagliacci. Ottima idea scoprire l’anima felliniana del poeticissimo lavoro di Ruggiero (o Ruggero) Leoncavallo, che è sempre un po’ triste, ma attacca bene. Strano destino di questo apolide-ma-napoletano compositore, che ebbe la sfortuna di scontrarsi disastrosamente con Puccini sulla realizzazione sincrona di una Bohème, che da quella del lucchese fu sepolta, danneggiando severamente anche la sua carriera. Credo, però, che debba compiersi un percorso di rivalutazione del compositore con più nomi propri della storia della musica (Ruggiero, ma poi Giacomo Maria Giuseppe Emmanuele Raffaele Domenico Vincenzo Francesco Donato). In aggiunta, Puccini strafottente maramaldeggiò fino ad appellarlo “Leonronzino”. Un poco di aneddotica divertente, per parlare poi di un vero capolavoro, Pagliacci: Pippo Baudo ricordava l’altra sera che il titolo originario fosse Pagliaccio, ma nulla fu sereno artisticamente per Leoncavallo, e anche qui successe una querelle, come sulla concezione drammaturgica che gli fu contestata per plagio da Mendes che la considerava simile al suo “Femme de tabarin”, contestazione poi rientrata. Una disfida tra cantanti, con il baritono (Tonio) che non voleva passare in secondo piano rispetto al tenore (Canio) e s’intestardì fino a far mutare il titolo da Pagliaccio a Pagliacci. Tutto fa spettacolo, e anche dunque la bella ispirazione felliniana. La scenografia e la quantità e varietà circense dei figuranti e comparse ci guida in un’atmosfera da mondo dello spettacolo sognante e psicotropo, come fu quello del grande Federico. Giulietta Masina spesso presente nell’iconografia che scorre dietro i cantanti, completa, col suo sguardo vagamente attonito, la dimensione onirica della regia. Ma non si perde il dramma, così carnale e materiale, dell’uccisione della donna traditrice e del suo amante, e il gioco teatro-vita-teatro che è intimità estetica del capolavoro, vera primizia di un genere poi di grande successo sia teatrale che cinematografico.
Mi piace in chiusura citare due eventi importanti, anche se di diversa levatura.
Il primo, l’apertura presto a Rimini del nuovo Museo Federico Fellini, partner in Pagliacci appunto dell’Arena, che si estenderà su tre luoghi: Castel Sismondo, già sede di un’importante mostra per il centenario della nascita del grande regista, il settecentesco Palazzo Valloni ove ha sede il cinema Fulgor che vide sorgere l’immaginario audiovisivo del piccolo Federico, e un’area urbana pensata come “Piazza dei sogni”.
Il secondo, a Roma, il 16 settembre prossimo presso la Sala Bernardino da Feltre in Trastevere a Roma, per celebrare il centenario della nascita di Giulietta Masina (22 febbraio 1921 a San Giorgio di Piano, Bologna). L’associazione Arte & Cinema, con la regia di Daniele Luxardo, coerede del famoso studio fotografico che immortalò Cinecittà e Dolcevita romana, presenterà un libro di Gianfranco Angelucci, collaboratore alla sceneggiatura di alcuni degli ultimi film di Fellini, che ha conosciuto personalmente e indagato l’animo mutevole e ipersensibile della grande Giulietta, legata per 50 anni al regista romagnolo, suo maestro e compagno di vita, del quale condivise gioie, successi, ma anche inquietudini profonde e dolori, magistralmente interpretati in “Giulietta degli Spiriti”
Insomma, una grande apertura, per questo festival 2021, brava Gasdia. Con grandi promesse per ciò che verrà!