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Arte & Cultura

Anna Maria Rita Daina, dalla Sicilia alle Marche sull’onda della poesia

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Anna Maria Rita Daini, di professione psichiatra, da sempre coltiva la passione della poesia

Di Francesca Rossetti

Anna Maria Rita Daini, di professione psichiatra, da sempre coltiva la passione della poesia: a Lei la parola.

Chi è Anna Maria Rita Daina e come nasce la passione per la poesia? 

Sono siciliana, nata nel 1958, marchigiana di adozione, sposata e vedova dal 2000, madre di 3 giovani uomini e sono psichiatra e psicoterapeuta sistemica, sempre curiosa e mai sazia di conoscenza, continuo a farmi un sacco di domande. Sono contenta della mia vita e benedico anche le difficoltà che ho avuto, perché in qualche modo mi hanno arricchito.

All’età di 21 anni ho iniziato a scrivere poesie, iniziando con qualche appunto da qualche parte, non avevo alcuna velleità. Quando il cuore era pieno di commozione è nata  la prima poesia che ho scoperto solo tanto tempo dopo che l’avevo pensata in siciliano, ma ancora non mi davo il permesso di scrivere in questa lingua. Si chiamava “Attesa d’amore” e l’ho scritta 2 mesi prima che incontrassi quello che sarebbe diventato mio marito. Ho scritto poi altre poesie che poi sono rimaste dentro un quaderno e che raccoglievano il mio sfogo, la mia solitudine e comunque trovavo il piacere nello scegliere le parole che davano insieme essenzialità e profondità. Quelle parole non potevano essere altro che quelle e questo era un gioco che mi affascinava e contemporaneamente mi aiutava a prendere le distanze dalla situazione angosciante che stavo vivendo, oppure a volte mi accadeva di poter celebrare la gioia. Poi ho continuato a scrivere ed un impulso enorme è avvenuto dopo la morte di mio marito, che mi ha costretto a rinascere in qualche modo. Da li’ mi sono resa conto, dal commento di un mio amico marchigiano, che la prima poesia l’avevo scritta in italiano ma l’avevo pensata in siciliano e mi sono nate quasi in automatico altre 4 poesie in siciliano. Le ho pensate e scritte in siciliano e sono un piccolo capitolo di poesie che non ho corretto, erano perfette, scene o comunque fatti che riguardavano la mia vita nelle Marche nella fase di rinascita dopo la morte di mio marito, e mi sono accorta che non era un caso, io che non avevo mai scritto in siciliano se non in pochissime occasioni (a casa mia era proibito parlare e scrivere in siciliano) e credo che quell’espressione del mio sentire, la mia anima senza filtro mentale, direttamente in siciliano si spiega come una sorta di rinascita nelle Marche, come un segnale che avevo messo piede e radici in questa terra e si esprimeva con la prima lingua che ho sentito quando sono venuta al mondo.

Lei è psichiatra: come si combinano medicina e passione letteraria? 

Sono due cose molte legate, per esperienza che mi è toccata personalmente credo che potersi raccontare sia molto sano, aiuti anche per l’integrità della personalità ed è come se quando ti confronti con un foglio bianco (meglio che col computer) tieni sveglia un’area cerebrale che abbiamo solo noi umani ed è come se potessi incontrarti un po’ diversa da quella che sei, come se già quando hai raccontato fai un passo avanti e hai un po’ piu’ chiara la tua situazione. Non è un caso che molti medici si appoggiano alle varie arti, la letteratura in particolare, credo che sia anche un modo di approcciarsi alla vita e di celebrare l’essere nella relazione di aiuto, e credo che la parola raccontata, profonda, sia terapeutica e vitale, in principio era il Verbo, e il Verbo si fece carne.

Di che cosa parla il ultimo libro ” Vado contro corrente e vivo”?

E’ il mio terzo libro, il primo era “Caleidoscopio” con le 5 poesie in siciliano(2002), il secondo è stato “Cantiere” (2005) mentre “Vado contro corrente e vivo” è del 2020 , raccoglie 65 delle poesie che ho scritto in quei 15 anni (2005 – 2020) e parla del mio vivere nel mondo. Molte di essere partono dall’osservazione di me nel mondo e stavolta c’è anche il sentirsi nel flusso dell’umanità, ogni tanto è come se andassi su una collina per vedere dove stiamo andando. Sono domande che mi faccio spesso e il libro è diviso in 3 capitoli:  “Vado”,  “Contro corrente” e “Vivo”, nei quali affronto appunto quest’argomento. Il senso del titolo è collegato alla prima poesia, “Vado controcorrente per vedervi bene in faccia; quando marcio in fila indiana sono sola nel mio cuore e neanche di uno incontro lo sguardo. L’incontro non è per fare la guerra ma è per un in-contro con l’altro”.  In “Vado” raccolgo poesie che danno un po’ questo sentirsi nel flusso dell’umanità e cerco di individuare il sentire e le difficoltà, la fatica e le contraddizioni del vivere. In “Contro corrente” affronto il tema della follia, non solo come sofferenza ma soprattutto come capacità di dire “no, non ci sto”,  di andare appunto contro corrente. In “Vivo” raccolgo l’energia delle prime 2 parti e la unisco alla forza del sogno: come vuoi vivere, cosa vuoi fare della tua vita, quale obiettivo ti prefiggi, quali sono i tuoi intenti e progetti, che mondo vuoi. Ogni capitolo ha un suo Santo protettore ed ho scelto 3 personaggi che per me sono stati fondanti: Don Milani, il medico Basaglia e Margherita Lotti di Roccaporena ovvero Santa Rita da Cascia. Io mi chiamo Rita oltretutto e la scelta di queste tre persone, un prete, uno assolutamente laico e una Santa, è una sorta di intenzionalità a superare quelle barriere tra credente e non credente che personalmente mi hanno stancato. Queste 3 persone sono accomunate da una grande fede nell’uomo e da una grande passione per la dignità e l’amore per l’essere umano e per il mondo pur andando oltre, sono persone che hanno affrontato tantissime enormi difficoltà ma con la fede e la fermezza nel loro cuore sono riuscite a cambiare cose inimmaginabili. Io mi sento molto grata a queste figure e per questo le ho volute mettere a protezione/modello, ho voluto invocarle come ispirazione per il mio libro.

Il rapporto con la Sicilia, sua terra di origine, e con le Marche, sua terra di adozione 

La Sicilia è come una madre per me, madre terra che senti nei sensi prima che nella testa, senti l’odore. Ho abitato a Roma quando studiavo al Gemelli e da allora e poi successivamente da  quando sto nelle Marche ho visto che il sole c’era anche li’ ma mi mancavano l’aria e il mare della Sicilia, le lunghe passeggiate col vento caldo, la cantilena a tratti del dialetto, i sapori delle melanzane fritte, ma siccome sono curiosa poi frugo nella nuova terra. Credo che dalla Sicilia mi sia rimasto dentro il senso dell’accoglienza e di sana curiosità che mi permette di essere un po’ cittadina del mondo: dovunque vado mi interessa sapere come la gente vive, le tradizioni, le modalità di relazione, i riti di passaggio fra le varie età della vita e per questo mi piace tanto viaggiare e spero di farlo il piu’ possibile. Le Marche le amo come una madre adottiva, all’inizio non è stato facile perché nei piccoli centri a volte c’è un po’ di diffidenza nei confronti degli sconosciuti, tanto piu’ poi quando si è la prima donna medico in un paesino di 2500 abitanti e in piu’ siciliana, quindi non è stato facile i primi anni. Intanto però li’ mi sono sposata, ho continuato a lavorare, a fare concorsi e tutta la mia gavetta come medico. Sono nati tre figli e poi è successo il terribile della mia vita, come dico in un verso del “Cantiere”: nel 2000 mio marito è morto e con 3 figli minorenni ho dovuto riorganizzare la mia esistenza. Mi sono accorta che dovevo mettere radici, anche perché ormai ero diventata una straniera in Sicilia, non avevo piu’ relazioni continuative e feconde ed è stato necessario approfondire nuove relazioni, avere nuova fiducia, allargare gli orizzonti per trovare a chi poter affidare i miei figli, oltre alla scuola e ai nonni. Giustamente loro hanno una crescita da affrontare piu’ serenamente possibile e sono contenta di aver trovato delle belle persone con cui ho tessuto bellissimi rapporti sia di amicizia che di fratellanza. Sentendo le Marche come una madre adottiva a volte si possono fare confronti, si può cogliere la ricchezza ma si può anche adottare un po’ di ironia che permette una sorta di leggerezza che poi darà a sua volta fecondità sia in termini letterari e professionali che come ricchezza del vivere. E’ una terra molto bella che va scoperta e che mi ha stupito molte volte, forse perché l’attenzione è piu’ selettiva e ho visto molte coppie composte da siciliani e marchigiani. Ho scoperto anche affinità nelle parole dialettali e questo mi dà un senso di appartenenza al mondo intero, all’universo, per cui non sento mio l’atteggiamento campanilista ma piuttosto la mia sicilianità mi permette di esercitarla meglio nella capacità di accoglienza, di confronto, di stupore mentre a volte invece osservi e vedi che ogni cocuzzolo marchigiano ama molto il proprio campanile e avere qualcuno con cui prendersela, nell’ambito dei piccoli centri. Queste dinamiche emergono già nei tornei e nelle feste, nelle disfide fra le varie contrade e corporazioni come è tipico dei Comuni che hanno una storia medievale che si basa sul confronto fra le forze delle persone. Al Sud invece chissà, forse la presenza araba o il fatto che non esistessero i Comuni fa si’ che l’attenzione all’organizzazione sociale del vivere e l’essere nella vita è piu’ basata sulla dimensione dell’Io e Dio, del confronto con le forze della natura, con il mistero, anche perché ci sono la Magna Grecia, i filosofi che hanno intessuto la cultura e si respirano nell’aria e la cosa curiosa è proprio che nelle Marche mi sono permessa di poter scrivere in siciliano, come una sorta di reminiscenza, di musica interiore che mi permette di uscire quando sono lontana dalla mia terra e sono libera di poterlo fare, dato che in casa mia era proibito e allora forse per quello non mi era venuto prima.

Il ruolo della coppia

Il ruolo della coppia penso sia fondamentale, anche nella struttura della persona, abbiamo una parte maschile ed una femminile dentro di noi e il veder rappresentati i propri genitori è come se fosse una specie di film in sottofondo che ci passa. Passa il tempo e poi uno si ritrova a fidanzarsi, a sposarsi, addirittura a mettere al mondo dei figli ancora prima di decidere cosa fare nella propria coppia e credo che ci sia troppa poca cura verso questo aspetto. Io dico sempre che il primo figlio di un uomo e di una donna è la coppia, come se fosse un bambino dimenticato nell’incubatrice, non ce ne si cura, e probabilmente la cultura cattolica che abbiamo porta a questa trascuratezza. L’iconografia cattolica non si cura della coppia coniugale, c’è solo lo Sposalizio della Vergine di Raffaello come situazione ufficiale, ma la coppia di coniugi non è cosi’ celebrata e invece credo che sia fondamentale perché è li’ che si impara il confronto fra le opinioni diverse ed è la cosa piu’ difficile. Nelle mie poesie spesso torno su queste dinamiche ma anche sulla gioia della scoperta e della costruzione di un vivere bello, in cui ci sono lo spazio e la curiosità verso chi è diverso da te e questo prepara la strada a quello che possono vivere i figli sulla loro pelle, di come si possa anche riparare gli errori, il saperli riconoscere. Credo che il riconoscersi diversi e l’incontrarsi proprio perché diversi è una cosa stupenda.

La passione per il teatro e la devozione a S. Rita 

La passione per il teatro mi è sorta nel 2007, io prima non andavo a teatro perché mi annoiavo e finiva che mi addormentavo, pensavo di non essere adatta e non mi era mai stato proposto in un modo divertente. Nel 2007 ho conosciuto poi quello che è diventato il mio Maestro con il quale poi ho seguito un corso di teatro, Vincenzo Di Bonaventura, ed è stato amore a prima vista perché vedevo il teatro vivo, mi tornava in mente il teatro greco, la forza in termini catartici ma anche la possibilità, recitando, di esperire le varie figure che stanno dentro di noi, poter dare voce quasi come rappresentanti dell’umanità. Pirandello lo vedevi e sentivi ed è stata un’esperienza molto bella, ho voluto seguire alcuni corsi e mi piace molto recitare le mie poesie e quelle degli altri.

Rita è una figura con cui ho fatto pace da qualche anno, io porto anche il suo come terzo nome perché mia madre, poco prima che nascessi, sognò che avevo il viso completamente devastato e mi consacrò a S. Rita, quindi già all’età di 2 anni andavo alla Novena di S. Rita che mi risuona, almeno in una strofa, abbastanza particolare: “S. Rita tu che godi nel bel cielo il sommo bene, vera amante delle pene che pati’ per noi Gesu’” . Francamente lo sentivo come un peso ingiusto, una sorta di condanna alla sofferenza, tanta, e tuttavia questa situazione lasciava un segno: quella specie di ardore, di desiderio di cimentarsi in situazioni piu’ difficili, cosi quando ho cominciato a lavorare in Psichiatria dopo tanti concorsi e tanta gavetta di cui mi onoro, vedevo che in questo atteggiamento c’era il fatto che non disperassi, che si avesse sempre fiducia nelle capacità delle persone, nei talenti nascosti, ed era divertente andare a scoprirli nei meandri dell’anima derelitta. E’ la stessa operazione che facevo con me stessa, e mentre lavoravo pensavo ad una bozza di questo libro e che volevo dedicarlo a queste 3 figure. S. Rita la sentivo come un’icona dell’utopia, che in pieno Medioevo riusciva a far pacificare le famiglie ostili che si ammazzavano di santa ragione, con determinazione assoluta, senza scalpitare, con un rispetto che non offriva il fianco a nessuna violenza e la sua determinazione nel perseguire il proprio obiettivo mi impressionava, senza seminare odio che purtroppo vediamo tutti i giorni: uno magari rivendica cose giuste ma attacca l’avversario con odio e questo poi ritorna sempre moltiplicato. Una volta a Torino, mentre stavo passeggiando nei viali con le bancarelle dei libri, ho trovato una biografia di S. Rita, l’ho acquistata ed ho cominciato ad incuriosirmi e a documentarmi. In precedenza ero stata a Cascia e grazie alla biografia mi sono sentita piu’ in pace e quando ho realizzato che volevo mettere S. Rita nel mio libro ho mandato ad una mia amica, Lucia Stefanetti, pittrice che ha come mission l’umanizzazione del sacro, la foto dell’icona di S. Rita che sta sulla sua cassa in cui è stata deposta e Lucia ha realizzato il disegno che ho messo all’inizio della terza parte del libro e che rappresenta S. Rita bella come dicono che fosse ma con tutta la dolcezza e determinazione che penso siano stati reali, un dono

Di che cosa parlano le altre sue opere? 

Le altre due sillogi sono “Caleidoscopio” e “Cantiere”, la prima è una raccolta di poesie che parlano della nascita di una relazione di coppia, dall’innamoramento e dall’attesa d’amore come era la mia prima poesia fino all’epilogo anche dopo la morte, dopo l’elaborazione del lutto, e contiene riflessioni sulla vita, sull’essere in pace, non è solo sulla coppia ma anche sull’andazzo del vivere, sulla pace, sulla relazione con i figli, la maternità. Ci ho riflettuto spesso sopra ed un altro errore che si fa molte volte è dimenticarsi che i figli non sono nostri, come dice Khalil Gibran, sono i figli della vita e noi abbiamo avuto l’onore di poter essere portatori della loro vita e probabilmente è vero che abbiamo scelto le famiglie in cui nascere perché dovevamo risolvere qualche problema, come dicono i buddisti. Quindi in “Caleidoscopio” il nucleo fondamentale è una storia d’amore e il nascere delle radici in una nuova terra, quindi l’amore verso le Marche, mentre il secondo libro, “Cantiere”, è proprio un cantiere di un ponte fra mia madre e i miei figli in cui io sono la campata che congiunge questi due pilastri. Mi sento fra la responsabilità di essere fra passato e futuro e quindi anche quello che consegno ai miei figli, infatti la prima poesia è dedicata a loro e mi definisco “Carta per voi in cui annoterete il buono e cancellerete il vecchio, finché diverrete carta” , mentre l’ultima poesia conclusiva è dedicata a mia madre che sento un po’ come sorella, sento tutta la sua stanchezza e prostrazione, come se si fosse messa il mondo sulle spalle, che le china il capo e chiude le speranze. Io la invito alla leggerezza, “al diavolo il mondo, che caschi a brandelli, adesso mi godo la libera uscita, respiro, leggera mi sento, ognuno accudisca il suo pezzo di mondo ed ora con me vorrei portarti a volare”.

“Cantiere” parla della ricostruzione, come in una sorta di terremoto che abbatte, uno tsunami o altro che distrugge quello che sei e poi si analizzano i ruderi, si vede quello che si salva e quello che si scarta, quello che si butta, quello che si rinnova, si ricostruisce in un altro modo oppure si valorizza quello che c’era, insomma una similitudine con cui poi uno ricostruisce, riassetta la propria vita e l’immagine del ponte è insieme a ricostruzione, passaggio transgenerazionale.

Prossime presentazioni 

Faro’ tutte quelle che mi vengono richieste e cerco di proporre anche un incontro piu’ ravvicinato con gli spettatori, perché la poesia secondo me tocca le corde del cuore e cosi’ cambia il mondo, perché questa vicinanza intanto è veramente rivoluzionaria, in cui le parole sono scelte e vanno in fondo come un bisturi e proprio per questo secondo me devono essere poche, molte selettive, aperte nel senso di comprensibili, devono essere un dono.

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