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Altri Episodi di Vita Italiana – Other Episodes of Italian Life

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Tempo di lettura: 11 minuti

di emigrazione e di matrimoni

Altri Episodi di Vita Italiana

Siamo cresciuti pensando d’essere più italiani che australiani, però, il primo viaggio in Italia per trovare i nonni, zii e cugini ha dimostrato che non eravamo nemmeno questo.

La settimana scorsa ho scritto un articolo sulle tradizioni della famiglie italiane all’estero (Vivere in due mondi destinati a sparire – Living in two worlds destined to disappear), in modo particolare nel mio paese di nascita, l’Australia. Questo articolo ha descritto un aspetto del vivere in due mondi, però ha fatto solo riferimenti brevi ai figli degli emigrati che si trovavano a dover creare un’identità nuova, che mette insieme il mondo italiano della casa di famiglia e il mondo del paese di residenza.

Anche questi episodi fanno parte della vita degli italiani all’estero e abbiamo l’obbligo di ricordarli perché, anche se svolti in altri paesi, gli aspetti che determinano che vita avrà ogni figlio/discendente degli emigrati italiani, sono legati all’Italia tramite i genitori e quindi anche loro sono parte della Storia d’Italia.

Inoltre, come dirò in seguito, queste esperienze sono comuni non solo tra gli emigrati italiani e i loro discendenti, ma anche tra tutti gli emigrati in tutti i nuovi paesi di residenza, senza eccezioni, e faremmo bene a tenerlo in mente nei dibattiti degli italiani all’estero.

Scuola e oltre

Mentre cresci in una casa italiana all’estero e tutti i contatti sono con parenti e amici italiani, non ti rendi conto che il tuo paese di nascita non è l’Italia. Poi arriva il tuo primo giorno di scuola e capisci che il mondo fuori casa non è proprio quel che pensavi.

Anche se non ricordo più tanti dettagli, mi ricordo ancora quel giorno e il senso di sentirmi perso perché non capivo quel che dicevano gli altri. Senza dubbio le suore che dirigevano la scuola avevano esperienza con altri figli di italiani, ma un ragazzo di quattro anni non poteva comprendere questo. Ma di una cosa sono sicuro, è stato sicuramente l’inizio di una battaglia per scoprire la mia identità, perché avranno cercato di registrami con la versione inglese del mio nome e non ho mai smesso di combattere quella battaglia perché il mio nome, in italiano, fa parte della mia identità.

In quel primo anno ho iniziato a imparare la lingua del mio paese di nascita, l’Australia e man mano che aumentava la mia capacità nell’inglese, ho cominciato ad aver più contatti con i miei coetanei australiani che abitavano vicino a casa. Non mi ricordo esattamente quando sono iniziati questi contatti, però mi ricordo benissimo la fine di quel rapporto.

Un pomeriggio caldissimo cinque o sei di noi ragazzi giocavamo per strada sotto il sole. A un punto uno dei ragazzi ci ha invitati a casa sua per bere qualcosa di fresco. Abbiamo aspettato alla porta mentre chiedeva al padre il permesso di farci entrare. Poi ho sentito l’urlo di lui, “Quel bastardo italiano non entrerà mai in questa casa!”. Avrò avuto sei o sette anni. Non ho più giocato con loro.

La scena si è ripetuta dieci anni dopo, quella volta durante una partita di pallacanestro giovanile tra scuole quando l’allenatore dell’altra squadra ha utilizzato la frase “wog bastard” (l’epiteto verso gli italiani che odiavamo di più all’epoca) indicando me al suo difensore, l‘allenatore era anche un giocatore della nazionale australiana di cricket all’epoca.

Al secondo o terzo anno di scuola sono iniziate le battute di pessimo gusto riguardo gli italiani che mi hanno seguito per il resto della mia vita. All’inizio non le capivo, però dopo poco tempo ho cominciato a perdere la pazienza all’ennesima ripetizione. Solo molti anni dopo mi sono reso conto che i miei coetanei ripetevano quel che dicevano i genitori a casa. Sento ancora queste battute oggi durante scambi sui social con utenti di paesi anglosassoni.

Però, la battaglia più importante per molti di noi figli di italiani era la lingua. Per via dei suoni “th” e “ph” che non esistono in italiano non avevamo una pronuncia perfetta e, purtroppo, molti insegnanti interpretavano questo difetto come mancanza di intelligenza invece che un problema di apprendimento. In questo modo eravamo timbrati come meno intelligenti dei nostri coetanei autoctoni, anche se gli anni seguenti hanno dimostrato che questo non era affatto il caso.

Siamo cresciuti pensando d’essere più italiani che australiani, però, il primo viaggio in Italia per trovare i nonni, zii e cugini ha dimostrato che non eravamo nemmeno questo.

Italia

Per noi tutti quel primo viaggio in Italia rappresenta una tappa indimenticabile durante la quale abbiamo cominciato a capire che il nostro patrimonio personale, sia di famiglia che culturale, era molto, ma molto più ricco di quel che sapevamo. Però abbiamo anche scoperto per la prima volta che non eravamo esattamente italiani.

Nel mio caso ho capito che il mio italiano era elementare, anche se, avendo genitori da regioni diverse, parlavamo l’italiano in casa e non il dialetto che era la norma tra le famiglie italiane che di solito sposavano paesani, oppure corregionali.

Per una parte della mia generazione, la prima nata in Australia dall’ondata dopo la seconda guerra mondiale, quel viaggio ha aperto porte nell’anima che non potevamo capire prima. Trovare i paesini dei genitori e luoghi meravigliosi ha toccato corde personali che non sapevamo esistessero.

Queste sono tappe per capire che noi figli di emigrati italiani non siamo italiani oppure australiani, rappresentiamo aspetti dei nostri due paesi, quello delle nostre origini e il paese di nascita.

In un certo senso avevamo sentito qualcosa del genere da alcuni dei nostri coetanei australiani quando ci dicevano “Torna al paese da dove vieni!”, una frase che per me è diventato il presagio della mia decisione di fare proprio questo nel 2010.

Identità

Ciascuno di noi ha dovuto trovare il mezzo giusto per mettere insieme gli aspetti italiani del proprio carattere con gli aspetti australiani. Ciascuno di noi ha trovato un mezzo diverso perché non esiste una soluzione universale che va bene per tutti.

Nel mio caso, non mi identifico come “italiano” o australiano”, ma come “italo-australiano” perché in alcuni aspetti non sono proprio italiano e viceversa. E il mio mezzo è diventato di scrivere le mie esperienze ed incoraggiare altri a raccontare le proprie esperienze per aiutare coloro che hanno difficoltà a capire chi sono.

Per altri la risposta è stata di negare una parte della propria identità, che vuol dire negare una parte essenziale di loro stessi. Altri hanno passato la vita a cercare la soluzione senza mai trovarla.

Poi, nel corso dei miei viaggi in Italia ho capito che se noi in Australia abbiamo avuto difficoltà a capire cosa vuol dire essere figli di due mondi, chi non è mai andato all’estero ne capisce ancora di meno.

La ruota

La vita è una ruota e prima o poi ti trovi a ripassare le tue esperienze e proprio questo è successo sin dal giorno del mio trasloco a Faenza da Adelaide.

Uno degli aspetti che mi ha più colpito in questi anni è di trovarmi in Italia durante l’arrivo di immigrati da tanti paesi. Ne ho conosciuto tanti da molti paesi e vedo e “sento” che quel che stanno passando non è affatto diverso da quel che sentivo sulla mia pelle sin da quel primo giorno di scuola in Australia nel 1960.

Sento gli stessi luoghi comuni, sento le stesse battutacce, anche se mancano i riferimenti alla guerra che utilizzavano gli australiani contro noi italiani, che una volta eravamo i loro nemici bellici, al punto che ho scoperto anni dopo che due miei zii erano stati prigionieri di guerra proprio degli australiani…

E, ancora più tristemente, fin troppo spesso vedo questi sentimenti anche sui social da parte di discendenti di emigrati italiani da molti paesi verso gli emigrati che ora arrivano nei loro paesi di nascita/residenza. Ciò vuol dire che hanno dimenticato quel che i loro nonni/genitori hanno sofferto decenni fa.

Anche per questo abbiamo l’obbligo di documentare la Storia dell’emigrazione italiana nel mondo, perché queste esperienze dovrebbero anche servire da lezione per l’Italia, per aiutare i nuovi arrivati qui ad integrarsi ed evitare le tragedie del passato in altri paesi dove le vittime erano italiani. 

Se vogliamo davvero onorare il ricordo dei sacrifici dei nostri emigrati nel corso di oltre due secoli, abbiamo il dovere di trattare gli immigrati ora in Italia come avremmo voluto che avessero trattato i nostri parenti e amici all’estero, ma che quasi mai è accaduto.

Non bastano belle parole per rendere omaggio al loro impegno, basta capire le lezioni delle loro vite e non ripetere gli sbagli degli altri verso i nostri concittadini.

Se avete storie da discendenti da emigrati italiani da raccontare, inviate le vostre storie a: gianni.pezzano@thedailycases.com

 

di emigrazione e di matrimoni

Other Episodes of Italian Life

We grew up thinking we were more Italian than Australian, however, the first trip to Italy to visit our grandparents, uncles, aunts and cousins showed that we were not even this.

Last week I wrote an article about the traditions of Italian families overseas (Vivere in due mondi destinati a sparire – Living in two worlds destined to disappear), particularly in my country of birth, Australia. This article described one aspect of living in two worlds. However, I only made brief references to the migrants’ children who found themselves having to create a new identity that brings together the Italian world at home and the world of the country of residence.

These episodes are also part of the lives of Italians overseas and we have a duty to remember them because, even if they happened overseas, the aspects that determine what lives every child/descendant of Italians migrants will have are tied to Italy through the parents and therefore they too are part of Italy’s history.

Furthermore, as I will say below, these experiences a common not only amongst Italian migrants and their descendants but also amongst all the migrants in all the new countries of residence, without exceptions, and we would do well to bear this in mind during the debates on Italians overseas.

School and beyond

As you grow up in an Italian home overseas and all your contacts are with Italian relatives and friends you do not realize that your country of birth is not Italy. Then comes your first day at school and you understand that the world outside the home is not exactly what you thought.

Even though I do not recall many details, I still remember my first day at school and the sense of feeling lost because I did not understand what the others were saying. Without a doubt the nuns would have had experience with other Italian children but the four year old boy that I was could not understand this. But I am sure of one thing, it was surely the start of the battle to discover my identity because they would have tried to register me with the English version of my name and I never stopped fighting this battle because my name in Italian is part of my identity.

During that first year I began to learn the language of my country of birth, Australia, and as my skill in English slowly grew I began to have more contacts with my Australian peers who lived close to home. I do not remember exactly when these contacts began but I remember very well how this relationship ended.

On a very hot afternoon five or six of us young children were playing in the street under the sun. At one point one of the girls invited us to her home for a cool drink. We waited at the door as she asked her father’s permission to come in and I heard him yell “That Italian bastard will never come into this house!” I was about six or seven at the time. I never played with them again.

This scene was repeated ten years later, that time during a basketball game between schools when the other team’s coach used the phrase “wog bastard” (the epithet we Italians hated the most at the time) when he pointed me out to his defender, the coach was also a player of Australia’s national cricket team at the time.

In the second or third year of school saw the start of the jokes in bad taste about us Italians that followed me for the rest of my life. At the beginning I did not understand them, however, after the umpteenth repetition I began to lose patience. I understood only years later that my peers were repeating what their parents said at home. I still hear these jokes today during discussions on the social media with users from Anglo-Saxon countries.

However, the most important battle for many of us Italian children was the language. Because the “th” and “ph” sounds do not exist in Italian we did not have a perfect pronunciation and unfortunately many teachers interpreted this defect as a lack of intelligence instead of a learning problem. In this way we were branded as less intelligent than our native peers, ever if the years that followed showed that this was not the case at all.

We grew up thinking we were more Italian than Australian, however, the first trip to Italy to visit our grandparents, uncles, aunts and cousins showed that we were not even this.

Italy

For all of us that first trip to Italy represents an unforgettable stage during which we began to understand that our personal heritage, both family and cultural, was much, much richer than we knew. However, we also discovered for the first time that we were not exactly Italians.

In my case I understood that my Italian was basic, even if, having parents from different regions, we spoke Italian at home and not dialect that was the norm amongst Italian families that normally used to marry people from the same town or the same region of Italy.

For a part of my generation, the first born in Australia after the wave of migration after World War Two, that trip opened doors to the soul that we could not understand before. Finding our parents’ home towns and wonderful places touched personal chords that we did not know existed.

These are stages towards understanding that we children of Italian migrants are not Italians or Australians, we represent aspects of our two countries, the country of our origins and our country of birth.

In a certain sense we had felt something of this kind from some of our Australian peers when they told us, “Go back to where you come from!”, a phrase that for me became an omen to my decision to do just this in 2010.

Identity

Each one of us had to find the right means to bring together the Italian aspects of our character with the Australian aspects. Each one of us found a different means because there is no universal solution that is good for everybody.

In my case I do not identify myself as “Italian” or “Australian” but as “Italo-Australian” because in some aspects I am not really Italian and vice versa. And my means has become writing about my experiences and to encourage others to tell their own experiences to help those who have difficulty in understanding how they are.

For others the answer was to deny a part of their identity that essentially means denying an essential part of themselves. Others spent their lives looking for a solution without ever finding it.

And then during my trips to Italy I understood that if we in Australia found it hard to understand what it means to be the children of two worlds, those who have never gone overseas understood it even less.

The wheel

Life is a wheel and sooner or later you find yourself reliving your experiences and this is just what happened since the first day I moved to Faenza from Adelaide.

One of the aspects that have struck me most during these years is to find myself in Italy during the arrival of migrants from many countries. I have met a lot of them from many countries and I see and “feel” that what they are going through is not at all different from what I felt firsthand since that first day at school in Australia in 1960.

I hear the same clichés, I hear the same jokes in bad taste, even if there are not the references to the war that the Australians used against us Italians who were once their enemies in war, to the point that years later I discovered that two of my uncles had been prisoners of war of the Australians…

And, even more sadly, all too often I see these feelings also on the social media on the part of descendants of Italian migrants towards the migrants who are now arriving in their countries of birth/residence. This means that they have forgotten what their grandparents/parents had suffered decades ago.

This is also why we have an obligation to document the history of Italian Migration around the world because these experiences should also serve as lessons for Italy to help the newly arrived migrants to integrate and to avoid the tragedies of the past in other countries where the victims were Italians.

If we truly want to honour the memory of the sacrifices of our migrants over more than two centuries we have a duty to treat the migrants now in Italy as we would have wanted our relatives and friends to be treated overseas but which almost never happened.

Beautiful words are not enough to pay homage to their commitment, it is enough to understand the lessons of their lives and not to repeat the mistakes of others towards our fellow citizens.

If you have personal stories to tell as the descendant of Italian migrants, send your story to: gianni.pezzano@thedailycases.com

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