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Cinema & Teatro

Al Salone del Libro di Torino il progetto multisensoriale del film Figli del Minotauro, storia di uomini e animali

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L’appassionante storia- metafora del cammino degli uomini, l’intervista al regista di Figli del Minotauro, storie di uomini e animali, Eugenio Attanasio

di Antonio Martinelli Carraresi

Figli del Minotauro, storie di uomini e animali, film di grande interesse storico sociale che continua ad essere selezionato in molti tra i più prestigiosi festival nazionali ed internazionali, riscuotendo molto interesse di pubblico e critica, incontriamo il regista Eugenio Attanasio. Attanasio è tra i fondatori dei Teatri Calabresi Associati, Presidente della Cineteca di Calabria, regista, scrittore, (Vittorio De Seta, Lettera dal Sud, Figli del Minotauro, Storie di uomini e animali, Calabria, Guida al Cineturismo, Il cammino di Gioacchino da Fiore, Tony Gaudio, Nicholas, Misuraca, La grande avventura, Elio Ruffo, Tempo di cinema), drammaturgo, operatore culturale.

Attanasio, Figli del Minotauro, storie di uomini e animali, un film di grande impatto storico ed emotivo che è costato tre anni di lavorazione, senza contare il tempo di preparazione e ricerca, che ha portato anche ad una interessantissima pubblicazione, che sta raccogliendo grandi consensi, perchè ha deciso di lavorare proprio su questo progetto?

 “L’idea era stata incubata da oltre vent’anni. Come Cineteca avevamo già condotto lavori di recupero sul documentario antropologico degli anni ’50 e ’60 e sentivamo l’esigenza di raccontare come si è evoluta quella che definiamo convenzionalmente “Civiltà contadina”. Da Vittorio de Seta, a Pasolini e Olmi, la nostra era un po’ una missione, essendo nati in Calabria, ma anche una forte vocazione. Poiché il lavoro di riprese doveva essere necessariamente lungo, con gli stessi materiali, abbiamo realizzato, assieme ad Antonio Renda che è un gande fotografo, dapprima una mostra fotografica, e poi l’anno successivo abbiamo pubblicato il libro. Il terzo anno è uscito il film, che ora siamo riusciti anche a sottotitolare in quattro lingue, confezionando un cofanetto multisensoriale immersivo che contiene, il film, il libro e i suoni della transumanza. Nell’era del virtuale proponiamo invece un prodotto fisico, che si può vedere, leggere, ascoltare e riporre nella propria libreria.”

Il film ha già portato a casa diversi riconoscimenti e partecipato a molti festival, premiato al festival di Catania, a quello di Maratea e di Salerno. Unanime è stato il riconoscimento riguardo la scelta dello stile di narrazione che porta a raccontare una Calabria insolita, valorizzando il grande patrimonio culturale e storico che possiede, ce ne può parlare?

  “Il film rappresenta Una mitopoiesi del contemporaneo sulla figura degli allevatori che praticano la transumanza, antica forma di trasferimento di animali e uomini dal mare alla montagna. Ma la transumanza è anche una metafora del cammino dell’uomo e del bovino, iniziato diecimila anni fa con la domesticazione. Ancora prima però il toro veniva rappresentato dai primi artisti della storia sulle pareti delle grotte con significati ancora a noi sconosciuti. Il documentario segue una famiglia di allevatori nelle stagioni che pratica l’allevamento semibrado delle podoliche, la razza tipica calabrese, ricostruendo di ipotesi di caccia primordiale e raffigurazioni parietali; in Calabria è sito uno dei piu’ antichi e misteriosi graffiti del mondo, il Bos Primigenius di Papasidero.  La civiltà cosiddetta pastorale custodisce un ricco novero millenario di conoscenze; un etnomusicologo ci accompagna nel percorso sonoro dei campanacci, emblemi sonori di questo mondo arcaico ma calato perfettamente nella contemporaneità. Un lavoro che parte dalla preistoria per compiere una riflessione sul mito, sull’arte, sull’allevamento non industriale, sul rapporto dell’uomo con la natura e con il territorio. la transumanza è stata dichiarata dal comitato patrimonio mondiale dell’Unesco, riunitosi a Bogotà, patrimonio culturale immateriale dell’umanità.”

Il film è stato presentato con un evento speciale alla Università La Sapienza di Roma, partner del progetto, ed accolto con grande entusiasmo dai presenti e in particolare dagli studenti che hanno animato con molte domande l’incontro che ha seguito la proiezione, quali le impressioni che ha colto dalle domande degli studenti?

.“E’ stata una giornata molto emozionante, quella organizzata presso il cinema teatro Ateneo dal prof. Antonello Ricci, docente di etnoantropologia all’Università di Roma La Sapienza, che ha visto la proiezione del film Figli del Minotauro, con l’incontro con studenti e docenti. Erano presenti i professori Laura Faranda docente di antropologia culturale Sapienza Università di Roma, specialista in antropologia del mondo antico, Gianfranco Spitilli, docente di antropologia culturale Università di Teramo, specialista della relazione uomo animale, Roberta Tucci, docente di catalogazione dei beni culturali demoetnoantropologici presso la scuola di specializzazione in Beni DEA di Sapienza Università di Roma. E’ stato una specie di esame di maturità per il nostro film, con una vera e propria commissione di etnoantropologi, e poi il pubblico dei ragazzi, degli studenti, il loro il giudizio piu’ importante. Con i docenti c’è stato un confronto aperto sulle scelte narrative e stilistiche che si discostano dall’idea di antropologia visiva pura. I ragazzi sono stati colpiti da questo mondo degli allevatori calabresi di podoliche che vivono a stretto contatto con gli animali, con i quali riescono ad instaurare un rapporto, universo in cui le donne pur non apparendo hanno però un ruolo decisivo, nella gestione e nel mantenimento dei rapporti familiari che vi sono alla base. Sono stato molto contento di aver ricevuto il loro apprezzamento”

Un lavoro attento per parlare e proporre una Calabria originale, e questa credo sia una caratteristica del suo percorso di documentarista, è così?

“Rispondo io con una domanda: Può la narrazione della Calabria emendarsi dall’immagine di terra di n’drangheta, dal peccato originale di essere regione povera e terra di emigrazione, dagli stereotipi piu’ comuni, dal trash sfrenato della promozione dei bronzi di Riace?  E’ possibile una nuova via del racconto in Calabria, letterario e cinematografico, cogliendo nel contemporaneo i segni di una civiltà contadina ancora assai vitale. Ultimi eredi di un mondo ancestrale, gli allevatori calabresi di podoliche, si muovono ancora andando dietro agli animali che si spostano in cerca di pascoli freschi, utilizzando ora il cavallo, ora il pick up, ora il quad, interpretando una modernità ancora sostenibile, dove uomini, animali, e specie vegetali creano un ecosistema”

Alla realizzazione del documentario ha partecipato anche un autorevole team di rappresentanti del mondo della ricerca, della scienza, senza contare  il lavoro del cast tecnico a cominciare da Nicola Carvello per la cinematografia, ce ne può parlare ?

  “Il risultato è stato possibile grazie alla troupe tecnica che abbiamo creato insieme a Nicola Carvello che è direttore della fotografia e montatore del film. Il grosso problema sono stati gli stacchi di lavorazione tra una ripresa della transumanza e l’altra, poi ci si è messo anche il covid a rallentare la lavorazione. Ma con Nicola siamo riusciti a trovare una fotografia anche in condizioni di luce impossibile, a quaranta gradi e con il sole a picco; è stato molto bravo a calibrare i toni girando a luce naturale. Nella troupe c’è il delicato drone di Dario della Mora, la seconda unità di Mattia Isaac Renda, Salvatore Paravati ai fuochi. Con loro abbiamo ripreso per ben tre anni monticazione e demonticazione della famiglia Mancuso di Marcedusa, composta dallo zio Salvatore e dal nipote Antonio, che mantengono ancora i richiami verbali con i quali riescono a comunicare con gli animali, chiamandoli per nome e riuscendo a farsi intendere. Fondamentale è stata la collaborazione con un etnoantropologo di fama come Antonello Ricci, con il quale si è creata subito una grande sintonia, direi necessaria per la buona riuscita del lavoro.”

Quali le prossime aspettative riguardo il progetto?

 “Saremo al salone Internazionale del libro di Torino a presentare un cofanetto multisensoriale del film, da leggere, guardare e ascoltare. Una nuova esperienza tattile, sonora e ovviamente visiva per fisicizzare il supporto anziché renderlo sempre piu’ immateriale, andando in controtendenza.

Stiamo distribuendo il film con una politica diversa, curando noi le proiezioni nei festival, nelle sale, senza diffonderlo sulla piattaforma. Lo abbiamo pensato per il grande schermo girando dei campi lunghi, come si faceva una volta nel cinema. Oggi il cinema si è tristemente ridotto a piani stretti e primi piani, impoverendone il linguaggio e adattandolo per la televisione e il computer. E’ interessante notare la reazione dei ragazzi che non sono tanto abituati a vedere i film nella sala, ma su Netflix a Prime. In fine dei conti Figli del Minotauro è un piccolo western calabrese in cinemascope. C’è un grande interesse del mondo universitario, dalle facoltà di agraria, ad architettura, da Lettere a Sociologia, continueremo la turnèè nelle Università italiane ed estere, presso gli istituti di Cultura italiani nel mondo.

Oltre all’impegno come regista e documentarista, lei è anche presidente della Cineteca di Calabria, quale il progetto per la cineteca di Calabria?

 “In venticinque anni di attività siamo diventati una istituzione importante che opera in Calabria in Italia e all’estero. Le nostre produzioni culturali, dai recuperi alle mostre, dai documentari alle pubblicazioni, partono dalla Calabria per girare per tutta Europa. Quest’anno abbiamo poi degli anniversari importanti: i cento anni della nascita di Vittorio De Seta, il nostro nume tutelare e i 140 anni di Tony Gaudio, il primo Oscar italiano, direttore della fotografia a Hollywood. L’anno passato, che è stato ’anno del ritorno del pubblico nelle sale dopo l’era della pandemia che ha condizionato fortemente la fruizione dello spettacolo cinematografico abbiamo deciso di organizzare un convegno seminario proprio per analizzare le mutazioni nella fruizione del cinema presso l’Università della Calabria insieme a Pedro Armocida, direttore del Festival di Pesaro.  E’ emerso che il pubblico delle piattaforme non è nemico del pubblico della sala, anzi è quello che piu’ spesso compra il biglietto del cinema ma, nel contempo dai dati rilevati vi sono delle fasce di spettatori che si sono persi durante la pandemia e che non ritorneranno piu’ nelle sale cinematografiche. Le riflessioni sul cinema oggi sono necessarie.”

Sta già lavorando ad un nuovo progetto?

 “Stiamo lavorando assieme a Isabel Russinova ad un progetto di film-documentario sulla Marchesa Maria Elia, madre di Vittorio de seta.  Sul finire dell’estate del 1937 un gruppo di intellettuali compie un viaggio in macchina percorrendo tutta la Calabria, da nord a Sud. A guidare la compagnia c’è Maria Elia De Seta, che fa guidare la macchina al figlio Francesco, appena diciottenne, e con lei Corrado Alvaro, all’epoca già affermato scrittore, saggista e giornalista, fresco reduce dal viaggio in URSS che gli ispirerà il libro “L’uomo è forte”. Maria Elia, figlia di Giovanni Emanuele Elia aveva sposato in Calabria il marchese Giuseppe De Seta, figlio di Francesco de seta, che era stato senatore, prefetto e sindaco di Catanzaro, ed aveva già quattro figli, tra i quali Vittorio, che diventerà il padre del cinema documentario italiano. Da questo viaggio la marchesa scriverà un libro che è anche un invito alla scoperta della Calabria, delle sue bellezze paesaggistiche, delle sue grandi vestigia storico-archeologiche”

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