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A Roma ospedali in affanno per il coronavirus. Anche al Pertini mancano le protezioni per i medici

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Troppi i medici contagiati negli ospedali romani. L’allarme del personale sanitario: ”mancano mascherine e guanti. Noi costretti a lavorare senza protezione”

“Mancano i Dpi a tutela del personale sanitario sia in ospedale che nei presidi dell’Asl Roma2, stiamo utilizzando la stessa mascherina per un’intera settimana” lo afferma un medico ospedaliero che ha scelto l’anonimato perché ormai si ha paura anche di parlare.  In realtà si tratta della mascherina da chirurgo, esattamente quella meno indicata per proteggere le vie respiratorie che sono invece le famose Ffp2 e Ffp3, delle quali non esiste traccia tra le esigue scorte dedicate al personale sanitario degli ospedali romani.

Ma non è questo l’unico motivo per cui sono troppi i casi di contagio, circa il 9% del totale di coloro che risultano positivi al tampone dal covid-19 che affligge medici ed infermieri della Capitale. In effetti anche se, dichiarato lo stato di emergenza, la maggior parte dei servizi sanitari considerati non urgenti sono stati rinviati a nuova data, gli ambulatori continuano a lavorare per effettuare le vaccinazioni che non sono state sospese. In ambulatorio quindi ogni giorno arrivano bambini da vaccinare per morbillo, parotite, rosolia, papilloma, meningite e così via, con genitori spesso raffreddati dei quali nulla si sa sull’effettivo stato di salute.

Parte importante della battaglia contro il virus è l’isolamento sociale, e la protezione dei medici e degli infermieri che possono contrarre facilmente un’infezione asintomatica continuando a veicolare l’infezione oltre che tra loro anche ai loro pazienti. A questo si aggiunge il rispetto delle regole, “si arriva al punto infatti, – spiega un operatore medico, -“che nell’effettuare alcuni controlli medici e burocratici di rito bisogna identificare il paziente che naturalmente ormai da due settimane porta la mascherina di protezione. E come si fa ad identificarlo? Semplice, con obbligo dei superiori gli si toglie la mascherina, con tutte le conseguenze caso per caso!”

C’è da dire che anche il personale medico ed infermieristico all’inizio di questa pandemia ha sottovalutato il problema. Ai primi di marzo l’OMS sosteneva che la mascherina doveva essere usata in presenza di paziente sintomatico, poi è venuto fuori che anche l’asintomatico può trasmettere il contagio. Indicazioni fuorvianti che non hanno reso semplice il contenimento del contagio. C’è stata una banalizzazione di una realtà che poi si è rivelata tragica, anche da parte degli stessi medici, gli stessi dirigenti ospedalieri hanno fatto resistenza all’utilizzo della mascherina con la motivazione che il rischio era fare terrorismo psicologico, cioè si spaventava l’utenza.

Sicuramente emerge che la nostra popolazione a partire dalle professioni sanitarie non era preparata culturalmente per questa guerra contro il coronavirus, in Italia come in tutto il mondo. E intanto le mascherine di protezione ormai sono merce rara, sia negli ospedali e nelle Asl, che per il resto della popolazione, con prezzi per il pezzo singolo che superano anche i 100 euro. Senza contare il pericolo dei positivi al virus ed asintomatici, quasi il 75% dei contagiati, che quando sono medici od infermieri rischiano di infettare tutti coloro che vengono a contatto con essi, magari solo per far fare un vaccino al proprio figlio. E’ proprio il caso di dire che è come un gatto che si morde la coda, se continua così non se ne viene fuori. Senza contare che il personale sanitario in questo difficile momento è essenziale, senza di loro chi curerà una popolazione afflitta dalla piaga coronavirus?

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