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A giugno ritorna il Festival della carne di cane a Yulin in Cina

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Tempo di lettura: 3 minuti

Migliaia di animali maltrattati e uccisi brutalmente.

di Luca Rinaldi

È una tradizione che si ripropone anno dopo anno e che fa sempre più discutere. A Yulin, città cinese nella regione meridionale di Guangxi al confine con il Vietnam, anche quest’anno, tra il 21 e il 30 di giugno, si terrà il contestatissimo Yulin Dog Meat Festival, una vera e propria sagra di inizio estate ispirata alla tradizione di mangiare carne di cane per affrontare al meglio il caldo della stagione in arrivo.

L’evento, creato nel 2009 e che attira sempre migliaia di visitatori, consiste nella macellazione a cielo aperto di oltre 10.000 animali ogni anno – per la maggior parte cani, ma anche gatti – da poter poi cucinare e mangiare nei ristoranti e sulle bancarelle improvvisate che riempiono le strade della città durante il Festival.

Nonostante in Cina il consumo di carne di cane sia legale, è il Festival a non esserlo, in quanto gli animali dovrebbero , per legge, stare in quarantena in un laboratorio prima di essere trasportati e macellati a Yulin ed essere muniti di un certificato individuale. Questo ovviamente non accade. Accade invece che i cani vengano trasportati in città sotto il sole estivo in condizioni drammatiche, ammassati in piccole gabbie, a bordo di camion, auto e motociclette. La stessa provenienza dei cani destinati alla macellazione è dubbia e spesso sconosciuta: molti vengono letteralmente rubati alle loro legittime famiglie umane, altri sono randagi portatori di infezioni e malattie.

Ciò che rende questo evento ancora più agghiacciante è la credenza che, se si tortura o si abusa di un animale, la sua carne sarà poi più tenera e acquisirà un sapore migliore, più gustoso e dolce, a causa della scarica di adrenalina prodotta dal terrore e se ne potranno di conseguenza trarre benefici per la salute. Una superstizione che non ha ovviamente alcuna base scientifica, ma che è molto diffusa da diversi secoli non solo in Cina, ma anche in Corea del Sud, Vietnam e altri Paesi che considerano la carne di cane un piatto prelibato. I cani dunque, a causa di ciò, subiscono vere e proprie torture, venendo picchiati, scuoiati e addirittura bolliti vivi.

Vien da chiedersi chi, in questa vicenda, sia il vero animale.

Una svolta per queste povere bestiole sembrava essere arrivata nel 2016, quando il nuovo segretario del Partito Comunista di Yulin, Mo Gongming, pareva deciso a vietare tassativamente la vendita della carne di cane, prevedendo pene fino a 14.500 dollari e in alcuni casi anche l’arresto per i trasgressori. Il provvedimento fu poi però mitigato, acconsentendo semplicemente a limitare l’attività di macellazione, vietando che potesse avvenire in strada. Una decisione dunque che, se cambia almeno in parte la forma, non ha cambiato però la sostanza.

A favore dello smantellamento di questa pratica drammatica si sono schierati ovviamente gli animalisti di tutto il mondo, appoggiati dalla Human Society International che ha consegnato 11 milioni di firme alle autorità cinesi per chiedere l’annullamento dell’evento, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha specificato che l’assunzione di questo tipo di carne aumenterebbe di 20 volte il rischio di colera  e da alcune star di Hollywood che hanno fatto un appello con un video di denuncia degli orrori di Yulin.

Gli organizzatori del Festival, invece, accampano a loro difesa il presunto valore culturale della macellazione e del consumo di carne di cane, non diverso secondo loro dal consumo di qualsiasi altro tipo di carne nel mondo, e il fatto, questo paradossale, che vietare l’evento con la forza rappresenterebbe una violazione dei diritti umani.

Se un segnale forte è stato dato da altri due Paesi asiatici come Taiwan e Filippine, che hanno definitivamente vietato l’uccisione di cani e gatti a scopi alimentari, dando inizio ad un percorso che, si spera, possa sensibilizzare al rispetto della vita e dei diritti di questi animali, l’aumento della pressione mediatica a livello mondiale ha soltanto scalfito il Governo di Pechino che, pur in imbarazzo dalla vicenda, si limita a considerare il Festival di Yulin come caso a sé stante, e quindi a tollerarlo.

 

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